Massimo Introvigne
Ogni anno 1,2 milioni di cinesi visitano la Cambogia e la maggior parte non visita i “campi della morte”, ricordo del genocidio comunista. Altrimenti dovrebbero fare i conti con le le complicità del PCC
Questo mese ho trascorso una settimana in visita in Cambogia. E non sono stato certamente il solo. Lo scorso anno, 5,6 milioni di turisti stranieri hanno visitato la Cambogia e si prevede che il loro numero cresca nel 2018. I magnifici templi medioevali di Angkor Wat sarebbero già una ragione sufficiente per visitare questo Paese, ma, come me, la maggior parte dei turisti si gode anche il lago Tonlé Sap, i villaggi costruiti sull’acqua, le pagode e i palazzi reali della capitale Phnom Penh, nonché il cibo locale. Anche se non tutti sono abbastanza coraggiosi da gustare la più famosa prelibatezza locale, ossia le tarantole velenose fritte (il veleno, ovviamente, viene estratto prima di cuocere il ragno, e sì, le ho provate). Sono uno studioso di religioni e ho visitato il Paese durante il Festival dei Morti, Pchum Ben, osservando come questa celebrazione, la più importante dell’anno in Cambogia, si svolga in modi diversi nelle città e nelle campagne, nei grandi e nei piccoli templi buddisti, dove il riso viene offerto ai monaci per aiutare gli spiriti degli antenati.
Come sociologo, ero anche curioso di osservare come questo piccolo Paese gestisse il boom turistico. Migliaia di scooter, che mostrano ben poca considerazione per le regole del traffico, rendono la visita del Paese con un’auto noleggiata sconsigliabile per gli stranieri. Privatamente o in gruppo, la maggior parte dei turisti assume una guida e un autista, e organizza il proprio itinerario avvalendosi di un’agenzia locale.
Per la maggior parte dei turisti occidentali, giapponesi e vietnamiti, il tour include due fermate obbligatorie, Angkor Wat e i “killing fields” vicino e a Phnom Penh. Quest’ultimo luogo ricorda ciò che la Cambogia oggi considera ufficialmente un genocidio, quando circa tre milioni di cambogiani (anche se le statistiche sono contestate) morirono durante il regime comunista di Pol Pot (pseudonimo di Salot Sar, nato nel 1925 e morto nel 1998, anche se più di un cambogiano mi ha detto che la sua morte è stata una finzione e che potrebbe essere ancora vivo). I Khmer Rossi, come venivano chiamati i comunisti cambogiani, uccisero 1,5 milioni di cambogiani e ne fecero morire di fame oltre 1 milione. Poiché la popolazione cambogiana a quel tempo era di 8 milioni, Pol Pot e i comunisti locali si guadagnarono l’infame riconoscimento di aver sterminato per motivi politici la più alta percentuale del popolo di un Paese nell’intera storia dell’umanità.
Durante il regime di Pol Pot, bastava poco per essere giustiziati o mandati nei campi di lavoro dove la morte per fame era il destino normale. Quelli che vivevano in grandi città erano considerati intrinsecamente borghesi e controrivoluzionari. Phnom Penh fu in gran parte svuotata e ridotta a una città fantasma. I professionisti, chi aveva un diploma di scuola superiore o una laurea, il personale della polizia e dell’esercito, gli impiegati del governo, gli insegnanti e gli studenti delle scuole superiori e persino quelli che indossavano occhiali, prova che avevano letto troppi libri e probabilmente quelli sbagliati, venivano abitualmente eliminati. La stessa sorte toccava monaci, preti, pastori e imam, oltre ad artisti, scrittori, giornalisti, attori e coloro che lavoravano nel circo (un’arte importante in Cambogia) oppure che praticavano uno sport a livello professionale. La maggior parte dei luoghi di culto buddisti, musulmani, cristiani e indù sono stati distrutti. Solamente i templi storici sono sopravvissuti, perché Pol Pot sognava di essere il restauratore della grandezza cambogiana di Angkor.
Una ricerca condotta dall’Università Yale ha identificato in Cambogia 20mila fosse comuni, ma il maggior numero di vittime è stato ucciso in un ex cimitero cinese, Choeung Ek, nei pressi di Phnom Penh (l’area originariamente soprannominata “killing fields”, “campi della morte”). Coloro che erano destinati all’esecuzione venivano identificati, interrogati e torturati nella prigione nota come S21, nella capitale. Entrambi questi luoghi sono ora musei del genocidio e, con l’aiuto internazionale, il governo cambogiano sta ora digitalizzando gli archivi dei Khmer Rossi, che hanno fotografato la maggior parte delle vittime, compresi adolescenti e bambini, sia prima sia dopo le esecuzioni, verbalizzandone gli interrogatori.
Le visite a Choeung Ek e a S21 sono indimenticabili come quelle ad Auschwitz. Gli studenti europei visitano abitualmente Auschwitz, ed è un peccato che la distanza e i costi impediscano loro di visitare anche i killing fields cambogiani perché ne ricaverebbero un quadro più ampio delle ideologie assassine del secolo XX.
La maggior parte dei turisti in Cambogia visita i killing fields. Molti piangono profusamente davanti alle ossa di uomini, donne e bambini estratti dalle fosse comuni e alle inquietanti immagini delle vittime. Visitano e piangono, anche se ci sono pochi innocenti in questa tragedia. In nome della pace e della riconciliazione, il governo cambogiano ha perdonato e incorporato nella politica, nella burocrazia o nell’esercito la maggior parte degli ex Khmer Rossi. Solo pochi di loro sono stati arrestati e anche l’attuale primo ministro, Hun Sen, che occupa tale carica da oltre trent’anni, è stato un Khmer Rosso, ma nel 1977, avendo appreso che Pol Pot intendeva eliminarlo durante un’epurazione interna, è fuggito in Vietnam.
I turisti vietnamiti che visitano i killing fields sono orgogliosi di aver liberato il Paese da Pol Pot invadendolo e occupandolo nel biennio 1978-1979. Tuttavia, preferiscono dimenticare che nel 1975 il Vietnam aveva aiutato Pol Pot ad andare al potere, prima di rompere ogni legame con lui nel 1977 a causa delle dispute sui confini e delle critiche dei Khmer Rossi alla Russia sovietica, lo Stato patrono del Vietnam, accusata di essere moderata e revisionista. Gli occidentali vedono nella Cambogia di Pol Pot l’incarnazione del male del comunismo. Tuttavia potrebbero soprendersi nell’apprendere che gli Stati Uniti e l’Europa, dal 1975 al 1993, hanno continuato a riconoscere una coalizione che comprendeva anche i Khmer Rossi come legittimo governo della Cambogia, rifiutando di riconoscere il governo imposto e controllato dai vietnamiti. Nell’ultima fase della Guerra Fredda, gli americani e i loro alleati consideravano i sanguinari Khmer Rossi un male minore rispetto al governo nominato e controllato dal Vietnam e dall’Unione Sovietica.
I francesi dovrebbero anche ricordare che, come molti altri futuri leader africani, anche Pol Pot ha scoperto il marxismo quando frequentava l’università a Parigi. I media occidentali si sono per molti anni rifiutati di credere che le atrocità dei Khmer Rossi stessero davvero accadendo e gli intellettuali occidentali di sinistra hanno sempre respinto i resoconti su quanto stava avvenendo come propaganda anticomunista. Ho ricordi personali di quegli anni, poiché facevo parte di un gruppo di studenti cattolici che in Italia organizzava conferenze sui massacri in Cambogia. Anche se eravamo in grado di svelare solo una piccola parte di ciò che in seguito è emerso come tragica realtà, i media si rifiutavano di crederci.
Eppure non tutte le responsabilità per i killing fields sono uguali. Gli storici generalmente riconoscono che Pol Pot abbia sviluppato la propria ideologia visitando ripetutamente la Cina a partire dal 1965 e che sia stato indottrinato dal Partito Comunista Cinese (PCC). Il suo modello di politica era la Rivoluzione culturale cinese, sebbene si sia poi dimostrato pronto a garantire il suo sostegno ai nuovi leader del PCC dopo la fine della rivoluzione.
L’ideologia dei Khmer Rossi era il maoismo di stampo culturale-rivoluzionario. Non avrebbero mai potuto vincere la guerra civile in Cambogia, né rimanere al potere per diversi anni resistendo alle pressioni vietnamite e occidentali, se non avessero goduto del massiccio sostegno politico, diplomatico ed economico del PCC. La Cina ha anche fornito la maggior parte delle armi ai Khmer Rossi.
Pol Pot si aspettava che il PCC lo avrebbe protetto dal Vietnam e non aveva del tutto torto. Infatti, quando il Vietnam invase la Cambogia, la Cina dapprima tentò di convincerlo a ritirarsi, poi, nei primi mesi del 1979, lo attaccò militarmente nella guerra sino-vietnamita (中越战争). Alla fine, l’offensiva cinese si fermò ad Hanoi e le truppe si ritirarono perché la Cina era riluttante a rischiare per la Cambogia una guerra globale con l’Unione Sovietica, protettrice e alleata del Vietnam. Il PCC ha comunque continuato a proteggere e a sostenere Pol Pot e i Khmer Rossi fino alla fine. Ed è stata la Cina a persuadere il presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter a riconoscere come unico governo legittimo della Cambogia una coalizione che includesse anche i Khmer Rossi, e questo nonostante il crollo del loro regime nel 1979 e le atrocità da esso commesse. Questo perché era politicamente necessario limitare l’egemonia che, tramite il Vietnam, i sovietici esercitavano nella regione.
Durante gli anni di Pol Pot in Cambogia c’erano consiglieri cinesi. Erano ovunque e avevano un potere considerevole. Ovviamente erano consapevoli dei massacri e delle loro dimensioni. Il genocidio non avrebbe potuto continuare senza l’approvazione cinese. La propaganda cinese, a livello internazionale, tentò per anni di negare che il genocidio cambogiano fosse realmente avvenuto.
Per questo motivo, non è affatto sorprendente che i turisti cinesi in Cambogia evitino i “killing fields”. Anche se le didascalie nei musei evitano di menzionare il ruolo della Cina, diventerebbe presto ovvio per qualsiasi cinese che avesse qualche nozione di storia regionale che anche il genocidio cambogiano dovrebbe essere aggiunto alla lunga lista di crimini commessi o sostenuti dal PCC.