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Aiman Umarova: «Darei la vita per i prigionieri nei campi»

04/04/2019Massimo Introvigne |

Un grande avvocato fa sentire la propria voce per i kazaki imprigionati nei campi per la trasformazione attraverso l’educazione e, nonostante le minacce, promette di non fermarsi

Aiman Umarova

Massimo Introvigne

Aiman ​​Umarova è senza dubbio il più celebre avvocato per i diritti umani dell’Asia centrale. Nel 2018 ha ricevuto a Washington, dalle mani della First Lady Melania Trump, l’International Women of Courage, il premio assegnato annualmente dal Dipartimento di Stato americano. La Umarova sembra una donna tranquilla e gentile, ma i governi dell’Asia centrale, e non solo, hanno imparato che può essere un nemico formidabile quando vengono minacciati i diritti umani. Quando la sua voce si è levata in difesa dei kazaki detenuti in Cina come prigionieri di coscienza, il PCC ha reagito nell’unico modo che conosce: con minacce e con intimidazioni. Ma la cosa ha solo reso più forte la sua determinazione a combattere, anche se sa che in pericolo è la sua stessa vita.

Bitter Winter ha più volte pubblicato notizie riguardanti Sayragul Sauytbay, la donna kazaka sfuggita ai temuti campi per la trasformazione attraverso l’educazione, entrata in Kazakistan con un passaporto falso nel maggio 2018 e arrestata. Anche se nel maggio 2018 un giudice ne ha bloccato il rimpatrio in Cina, non le è ancora stato concesso asilo in Kazakistan. Lei è l’avvocato di Sayragul e sappiamo che oggi [28 marzo] c’è stata un’udienza. Come è andata e di cosa si trattava?

Sono in corso più procedimenti riguardanti Sayragul. Uno riguarda la sua domanda di asilo. L’altro è una causa contro il dipartimento immigrazione del ministero degli Affari interni. Chiediamo alla corte di riconoscere che il Dipartimento ha agito illegalmente nella gestione del suo caso. In effetti è stata sottoposta a varie pressioni irregolari. Quando Sayragul mi ha contattato e io ho assunto la sua difesa, le è stato detto che non doveva farsi rappresentare da me. Le è stato anche chiesto di denunciare Serikzhan Bilash, leader di Atajurt, l’ONG kazaka che si occupa di diritti umani e anch’egli mio assistito. Sayragul è stata tenuta costantemente sotto pressione perché tenesse la bocca chiusa e non parlasse degli orrori a cui aveva assistito nei campi per la trasformazione attraverso l’educazione.

Cosa è successo a questo procedimento?

Originariamente era previsto che la mia assistita fosse sentita il 15 febbraio, ma ho chiesto al tribunale di avere più tempo per approfondire i dettagli del caso e così l’udienza è stata rinviata all’11 marzo. Il problema è che sia l’udienza nel caso di Serikzhan Bilash ad Astana sia l’udienza della mia causa per conto di Sayragul ad Almaty, un’altra città lontana dalla capitale, sono state fissate nella stessa data. Sospetto che le due audizioni siano state programmate per lo stesso giorno proprio per rendermi le cose più difficili. A ogni modo, ho partecipato all’audizione ad Astana, poi mi sono precipitata in aeroporto dove ho preso un volo per Almaty. Qui ho però appreso che l’udienza era stata rinviata al 28 marzo. Oggi si è svolta un’udienza, ma continuerà ancora l’8 aprile. Intanto Sayragul rimane in Kazakistan come richiedente asilo e però senza asilo.

Cosa succederà a Sayragul?

Può ancora essere espulsa, anche se lotteremo perché questo non accada. Speriamo che le venga garantito l’asilo. È però consapevole che, anche se ciò avverrà, i suoi problemi non saranno finiti. Credo vi siano accordi politici tra le agenzie di sicurezza del Kazakistan e della Cina e il punto essenziale è che lei non dovrebbe parlare di ciò che ha visto nei campi. La cosa più terribile di questa vicenda è che i suoi due figli, che erano già in Kazakistan con suo marito prima di lei, vengano minacciati per strada da persone che dicono che ci saranno conseguenze terribili se la loro madre continuerà a criticare la Cina.

Ha già menzionato il caso di Bilash. Qual è la situazione?

È importante capire che i due casi sono collegati. Bilash si è messo nei guai a causa di Sayragul Sauytbay. Alla Atajurt, la sua ONG per i diritti umani, era già stata negata la registrazione, ma ciò che ha scatenato la reazione più dura contro Bilash e quindi il suo arresto è stato il caso di Sayragul, che è molto noto in Kazakistan e persino a livello internazionale. Bilash si era sempre detto disponibile a incontrare le autorità e si sarebbe recato spontaneamente alla stazione di polizia. Non c’era bisogno di forzare la porta della sua camera d’albergo, di ferirlo e portarlo con la forza da Almaty ad Astana, fra l’altro è anche illegale perseguirlo a Astana. Siccome ha svolto le sue attività ad Almaty, dovrebbe essere giudicato ad Almaty. Questo è un punto di forza della mia difesa. E ciò che è successo a Bilash corrisponde a uno schema che mi è familiare. È stato minacciato e maltrattato per indurlo a prendere un avvocato diverso da me. Ha resistito, ma è stato costretto a registrare diversi video in cui promette di rinunciare alle sue campagne di denuncia su ciò che succede ai kazaki detenuti nei campi per la trasformazione attraverso l’educazione. L’idea delle autorità non si è però rivelata molto buona, infatti tutti hanno capito che ha realizzato i video sotto estrema pressione. Lo ha anche detto a sua moglie e c’è un messaggio audio dove lo afferma. So che le autorità dispongono anche di un altro video girato in circostanze simili, ma ora sono riluttanti a usarlo, perché la cosa potrebbe ritorcersi contro di loro.

Esattamente di cosa viene accusato Bilash?

Di incitare all’odio e causare problemi all’ordine pubblico. Le autorità insistono sul fatto che ha usato la parola jihad quando diceva cosa dovrebbe essere fatto per protestare contro l’imprigionamento e la tortura di diecimila kazaki nei campi per la trasformazione attraverso l’educazione in Cina. È vero che ha usato quella parola, tuttavia gli studiosi della religione sanno che nell’islam la parola jihad ha diversi significati. Il significato principale non è militare o politico, ma indica la lotta per diventare musulmani migliori e vincere i nostri peccati. Vi è anche una jihad culturale, che consiste nella lotta per dire la verità tramite articoli, libri, media. Bilash nel suo discorso ha chiaramente spiegato che stava invocando una jihad dell’informazione per far conoscere la verità sui campi. Ha detto esplicitamente che non intendeva sostenere alcuna forma di lotta armata. Questa parte del suo discorso è stata però eliminata dai video utilizzati in tribunale.

Sappiamo che Bilash è molto popolare in Kazakistan. Perché questa persecuzione di un noto attivista per i diritti umani?

Forse essere popolari non è esattamente di aiuto in certi ambienti politici. Ma il vero problema è la Cina. Il Kazakistan è continuamente sottoposto alla pressione cinese per mettere a tacere chiunque parli dei campi per la trasformazione attraverso l’educazione. Inoltre la Cina può ricattare il Kazakistan in molti modi diversi. Vi sono minacce contro Sayragul, contro Bilash, e anche contro di me. Vengo minacciata ogni giorno, ma sono pronta a sacrificare la mia vita in questa lotta e non cesserò di dire la verità. In realtà, credo che in questa fase sarebbe più pericoloso rimanere in silenzio. Se parliamo e presentiamo il nostro caso a livello internazionale, il PCC potrebbe essere più riluttante nell’estendere il suo lungo braccio sul Kazakistan e a prendere misure estreme contro di noi.

Contrassegnato con: Campi di concentramento in Cina, Diritti umani, Kazakistan

Massimo Introvigne

Massimo Introvigne (Roma, 14 giugno 1955) è un sociologo italiano delle religioni. È il fondatore e il direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni (CESNUR), una rete internazionale di studiosi di nuovi movimenti religiosi. Autore di una settantina di libri e di più di 100 articoli nel campo della sociologia della religione, è stato l’autore principale dell’Enciclopedia delle religioni in Italia. Membro del comitato editoriale dell’Interdisciplinary Journal of Research on Religion e del comitato direttivo di Nova Religio, pubblicato alla University of California Press, dal 5 gennaio al 31 dicembre 2011 ha avuto nell’ambito dell’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) il ruolo di “Rappresentante per la lotta contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione, con un’attenzione particolare alla discriminazione contro i cristiani e i membri di altre religioni”. Dal giugno 2012 al dicembre 2016 è stato coordinatore dell’Osservatorio della Libertà Religiosa, istituito dal ministero degli Esteri italiano per monitorare lo stato della libertà religiosa a livello mondiale.

www.cesnur.org/

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