Rosita Šorytė
Tra il 2 e il 4 settembre, il giornalista austriaco Peter Zoehrer è stato testimone oculare di false “manifestazioni spontanee”, organizzate a Seoul dal Partito Comunista Cinese (PCC) e da esponenti coreani anti-sette contro i richiedenti asilo della CDO. Ora Zoeher racconta tutto a Bitter Winter
Bitter Winter ha ampiamente denunciato le false “manifestazioni spontanee” organizzate tra il 3 e il 4 settembre in Corea del Sud dal PCC e da esponenti anti-sette coreani, contro i richiedenti asilo della CDO, un nuovo movimento religioso cinese di origine cristiana, fortemente perseguitato in Cina.
Abbiamo inoltre riferito che il giornalista australiano Peter Zoehrer è stato testimone oculare degli eventi. Zoehrer è anche segretario del FOREF (Forum for Religious Freedom Europe), e sul canale YouTube dell’organizzazione ha caricato dei filmati degli eventi. Ebbene, abbiamo intervistato Zoehrer a Varsavia allo Human Dimension Implementation Meeting dell’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa).
Lei ha intervistato diversi fedeli della CDO su persecuzione e tortura. Qual è stata la sua esperienza?
Sì, posso dire onestamente che gli ultimi quattro giorni del mio soggiorno in Corea siano stati i più impegnativi ed estenuanti, ma al tempo stesso arricchenti, di tutta la mia vita. Ho intervistato 17 fedeli della CDO, ma non solo: cinque di loro sono stati vittime di torture fisiche. Tutti sono stati perseguitati in Cina, sono scappati in Corea del Sud per sfuggire alla costante sorveglianza del PCC e sono alla disperata ricerca di libertà religiosa.
Sono rimasto scioccato quando ho visto fedeli di un gruppo anti-sette manifestare fuori dalla chiesa della CDO a Seoul, e chiedere che suoi i fedeli fossero rimpatriati in Cina, dove tutti sanno che saranno arrestati, imprigionati, interrogati e torturati.
In quei pochi giorni ho avuto la straordinaria opportunità di incontrare fedeli di una comunità religiosa che ha patito un’intensa persecuzione da parte del Partito Comunista Cinese dall’inizio degli anni 1990. Si dice che nella lista delle venti «sette più pericolose» del PCC, la Chiesa di Dio Onnipotente sia tra le prime sette.
Grazie alle interviste, ho avuto l’occasione unica di ascoltare storie molto personali e spesso commoventi di fedeli che hanno sofferto persecuzioni terribili, a causa della loro fede. Il PCC ha costituito un sistema quasi perfetto di controllo della mente, impiegando numerose spie e tecnologia di monitoraggio all’avanguardia. Inoltre, osservano i credenti tramite i vicini, gli insegnanti e persino i parenti e i familiari. Già dalla scuola elementare il PCC infonde la paura di punizioni nei bambini che dovessero cominciare a credere in Dio.
Ogni persona che ho intervistato ha una storia differente e unica: ci si potrebbe riempire un libro intero. All’inizio avevo intenzione di intervistare solo poche persone. Presto però, una volta sentito dai loro correligionari quanto fosse liberatorio sfogarsi, si sono fatti avanti in numero sempre maggiore. Mi hanno raccontato le loro storie senza perdersi nei dettagli. L’efferatezza dell’enorme bugia diffusa dal PCC, secondo cui fuggendo in Corea del Sud e altri Paesi la CDO starebbe distruggendo le famiglie, ha fatto arrabbiare alcuni degli intervistati. Con tono sdegnoso hanno esposto la propria versione dei fatti: se il PCC avesse garantito loro libertà religiosa e i diritti umani principali, non sarebbero mai fuggiti dal loro Paese. Quindi chi è che causa la rottura delle famiglie? Il regime comunista ateo.
Alcuni di loro hanno ancora famiglia e parenti in Cina che potrebbero essere puniti a causa di queste testimonianze. Quando ho domandato loro se davvero volessero correre il rischio, gli intervistati hanno affermato che è più importante far conoscere al mondo le atrocità e i crimini del PCC, e le indicibili sofferenze dei credenti in Cina.
Per pura coincidenza – ma i credenti la chiamerebbero Provvidenza -, lei era a Seoul quando funzionari cinesi e gli attivisti anti-sette locali hanno organizzato manifestazioni contro la CDO. Cosa è accaduto esattamente?
Ero in Corea per partecipare a un convegno internazionale all’Hotel Lotte. Il mio secondo obiettivo era assistere al concorso di dizione della TNKR. La TNKR, “Insegnare ai profughi nordcoreani”, è una ONG che aiuta i rifugiati nordcoreani a padroneggiare la lingua inglese, così che possano raccontare la propria storia al mondo. Il mio amico Michael è uno degli insegnanti e mi ha invitato a partecipare al loro concorso annuale di dizione. È stata un’esperienza profondamente toccante.
La mia partenza era prevista il 3 settembre. Due giorni prima ho però ricevuto un messaggio dal mio amico Willy Fautré (il direttore di Human Rights Without Frontiers, HRWF) che mi invitava a incontrare i fedeli della CDO. Mi ha detto che ci sarebbero state manifestazioni contro di loro, organizzate dal PCC (lui era stato avvertito, a sua volta, da un articolo su Bitter Winter). La nostra coalizione europea per i diritti umani avrebbe avuto bisogno urgente di foto, video e interviste. Pertanto ho prolungato il mio soggiorno a Seoul di altri tre giorni. Una delegazione di profughi cinesi mi ha incontrato all’hotel e mi ha informato della situazione difficile.
In veste di giornalista ho frequentato tre manifestazioni contro la CDO. La prima si è tenuta davanti alla sede della Chiesa a Seoul. Il giorno dopo la manifestazione si è svolta di fronte alla Blue House, che è l’abitazione del presidente della Repubblica della Corea; la terza manifestazione ha avuto luogo davanti al centro di culto della CDO a sud di Seoul, in campagna.
Queste manifestazioni sono state organizzate da funzionari del PCC in collaborazione con attivisti anti-sette sudcoreani. La versione che il Partito sta però cercando di trasmettere ai media sudcoreani e agli uomini politici è totalmente distorta e contraria alla realtà. La propaganda afferma che la CDO sia una setta pericolosa che sta dividendo le famiglie. Per questo portano dalla Cina alcuni parenti dei profughi della CDO e li fanno partecipare a queste manifestazioni. Si stima che solo metà dei manifestanti fosse composta da parenti dei profughi, mentre l’altra metà erano «contestatori professionali» pagati e attivisti anti-sette di cinque diversi gruppi.
Io sono stato informato dell’agenda segreta di queste atroci iniziative dagli articoli pubblicati su Bitter Winter, che mi hanno fornito importanti informazioni di base, tra cui gli appunti segreti della strategia del CCP, che rivelavano lo schema di come i contestatori anti-CDO dovessero organizzarsi in Corea del Sud e altro ancora. In particolare, O Myung Ok (un’attivista anti-sette che ha fatto da organizzatrice locale del CCP) ha seguito alla lettera lo schema e ha agito con notevole schiettezza. Abbiamo una registrazione che mostra come lei abbia istruito i contestatori su dove andare, cosa fare e persino cosa gridare.
La domenica pomeriggio, tre fedeli della CDO sono passati a prendermi in hotel e mi hanno portato nella loro chiesa. Mi hanno detto che le proteste avevano già avuto inizio davanti alle loro sedi. Quando siamo arrivati a destinazione quasi non credevo ai miei occhi: una ventina di persone gridavano, urlavano e sventolavano cartelloni davanti ai cancelli di ingresso. Hanno sbarrato l’entrata per impedire alla nostra macchina di entrare nel parcheggio della chiesa. Io sono uscito tra la folla impazzita, mostrando il mio tesserino da giornalista sul petto. Ha funzionato come per magia: essendo un giornalista straniero non hanno osato impedirmi di entrare. Tuttavia due ragazze erano ancora nella macchina, che è stata circondata dalla folla violenta. Alcuni manifestanti si sono perfino sdraiati davanti all’auto. Altri, come O, picchiavano i pugni sulla vettura, gridando di aprire i finestrini a chi era rimasto intrappolato dentro. Hanno cercato di identificare le ragazze che attendevano impotenti nel veicolo, terrorizzate da ciò che sarebbe potuto capitare. Alla fine, quando è arrivata la polizia, siamo riusciti a varcare i cancelli, entrando nel parcheggio. Le prove di quanto accaduto si possono trovare nei nostri video su YouTube.
Il lunedì i contestatori si sono riuniti negli spazi vicino alla Blue House. Erano meno del giorno prima: un motivo può essere stato la pioggia torrenziale. Io sono arrivato con due cameramen, entrambi fedeli della CDO. Uno indossava una maschera bianca sul volto perché, se fosse stato identificato, i suoi genitori e i suoi parenti in Cina avrebbero corso sicuramente il rischio di subire rappresaglie. Infatti è comparsa O, che ha spinto il ragazzo intimandogli di identificarsi. Poi si è rivolta a me, fotografando il mio tesserino di giornalista e chiedendomi di consegnarle il mio bigliettino da visita, ma ovviamente mi sono rifiutato. L’ho chiamata per nome e le ho detto che la conoscevo, cosa che non le è affatto piaciuta. Vi erano anche alcuni inviati dei media. La manifestazione si è poi però interrotta a causa della pioggia. Per gli organizzatori è stato un flop totale, ma piuttosto soddisfacente per i profughi della CDO.
Il giorno seguente, martedì, ci siamo recati al centro di culto a sud di Seoul, dove era in programma la manifestazione finale. Si trattava di un imponente complesso che comprendeva molto più di un semplice salone per la preghiera. C’erano numerosi appartamenti per i fedeli, una grande cucina con un refettorio spazioso, un centro artistico e il parcheggio. Gli edifici erano posizionati ai piedi di una collina, vicino a un fiume, con uno straordinario panorama come sfondo.
Dopo un ottimo pranzo, ci siamo preparati per l’arrivo dei manifestanti. Abbiamo potuto vedere quello che stava accadendo sulla strada, oltre la recinzione di sicurezza, grazie a un grande schermo TV di una piccola struttura accanto all’edificio principale.
Nonostante gli avvocati ci avessero detto che la manifestazione era stata programmata ufficialmente dalle due alle quattro del pomeriggio, già alle 13:45 sono arrivati i manifestanti e hanno iniziato a urlare slogan e a gridare attraverso gli altoparlanti impostati al volume massimo. Questo è stato il loro primo errore. Il secondo è stato quello di spingersi oltre i limiti consentiti dalla legge per questo tipo di manifestazioni, entrando sul suolo di proprietà della CDO. E hanno persino innalzato striscioni per coprire quello esposto dalla Chiesa su cui era riportato l’appello delle nove ONG. Il loro terzo sbaglio è stato parcheggiare illegalmente il furgoncino sul suolo di proprietà della CDO pubblica. I due giovani avvocati coreani, ingaggiati dalla CDO, sono stati fantastici: sono usciti dai cancelli e hanno detto agli organizzatori di raccogliere le proprie cose poiché stavano violando la legge coreana. Un pastore protestante attivista anti-sette che stava sul furgoncino ha urlato loro contro, rifiutandosi di obbedire. Questo è stato il loro quarto errore. Senza esitazione, i legali hanno chiamato la polizia. I manifestanti hanno così dovuto togliere i cartelloni e arrotolarli, spostare le macchine e alla fine hanno persino smesso di urlare.
Lei è stato intervistato dalla KBS, la rete televisiva nazionale coreana, e da altri media. Fino a ora la copertura mediatica degli eventi è stata parecchio colorata da stereotipi anti-sette. Che opinione si è fatto dei media coreani?
Curiosamente c’erano più persone dei media, che manifestanti. Ho chiesto agli avvocati di negoziare con la KBS un incontro con me. Hanno accettato e, mentre uscivo per incontrali, una folla di giornalisti mi ha accerchiato e mi ha travolto con domande di tutti i tipi. Ho risposto che avevano tutti trattato male la CDO, ripetendo solo la versione dei fatti fornita dal PCC («setta pericolosa», distruzione delle famiglie, etc.), e che pertanto non avrei più parlato con loro. Solo la KBS avrebbe avuto la mia intervista in esclusiva. È stata la fine della manifestazione. Con la squadra addetta alla trasmissione e i miei traduttori siamo entrati nella sede della CDO e abbiamo iniziato l’intervista, durata più di 90 minuti. Mi hanno posto domande intelligenti e io sono stato contento di poter spiegare loro che rappresento nove ONG europee, i cui membri sono profondamente preoccupati del destino dei cristiani cinesi perseguitati che hanno dovuto abbandonare il proprio Paese in cerca della libertà religiosa. Ho inoltre potuto chiarire ai giornalisti quanto sia necessario concedere asilo politico ai fedeli di questa Chiesa. Se il governo sudcoreano dovesse rimpatriarli in Cina finirebbero in prigione o sicuramente nei campi di “rieducazione”.
Prima di questa esperienza piuttosto positiva, i fedeli della CDO mi hanno riferito quanto fossero diffidenti verso media sudcoreani. Il motivo è che le loro storie sono state più volte manipolate, cosa che li ha fatti sentire diffamati e traditi da giornalisti che sembravano prendere le parti del PCC e del movimento anti-sette coreano. Sono rimasto veramente scioccato. Davvero i media coreani stanno diventando vittime della propaganda cinese? Perché si stanno inchinando ai gruppi integralisti anti-sette? Sebbene possa comprendere la sfiducia dei profughi della CDO, li ho comunque incoraggiati a ricercare un contatto con i media e dare loro un’altra possibilità.
Cosa possono fare le ONG in Occidente per aiutare i profughi che in Corea scappano dalla persecuzione religiosa?
Questa è proprio una domanda importante! Molti sottovalutano il lungo braccio della Cina, l’impressionante influenza che il PCC esercita attraverso il proprio potere finanziario e la propaganda… È triste che il governo coreano abbia già emesso 187 ordini di espatrio contro i rifugiati cinesi della CDO. Il tempo è del resto contro i rifugiati, che finora non hanno voce nei media coreani. Vanno dunque incoraggiati la comunità internazionale che si batte per il rispetto dei diritti umani, e i media internazionali, ad accendere i riflettori sulla situazione pietosa in cui versano quelle persone.
Anzitutto bisogna raccontare la storia di questi profughi ai media e ai social media; poi è necessario mettere al corrente di questo grave problema l’associazionismo in difesa dei diritti umani in Europa e gli Stati Uniti d’America. Un altro passo è informare il Parlamento europeo e Jan Figel, inviato speciale dell’Unione Europea per la libertà di religione o di credo (FoRB). I nostri colleghi negli Stati Uniti potrebbero informare il Dipartimento di Stato. Per ultimo ma non ultimo, bisogna intervenire alle Nazioni Unite a Ginevra. Nonostante la Corea sia, sotto molti aspetti, economicamente e culturalmente dipendente dalla Cina, si tratta di un Paese che rispetta l’Europa e gli Stati Uniti.
Le nostre organizzazioni, HRWF e FOREF Europa, hanno avuto esperienze positive di difesa della libertà religiosa in Giappone, dove fedeli della Chiesa dell’Unificazione e i Testimoni di Geova sono stati rapiti e imprigionati da attivisti anti-sette; fino a che non hanno abiurato, non sono riusciti a scappare. Dopo essere stati condannati in tribunale, gli attivisti anti-sette si sono spaventati e hanno fermato le proprie attività criminali. Solo minacce del genere potrebbero fermare chi in Corea calpesta i diritti umani.