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Benvenuti nello Xinjiang. Ma non ne uscirete più

14/12/2019Wang Yong |

Tornare a casa non è per i cinesi han trasferitisi nello Xinjiang grazie agli incentivi statali stanziati per favorire la “hanizzazione” dei musulmani

di Wang Yong

La persecuzione sistematica in atto contro i musulmani originari della Regione autonoma uigura dello Xinjiang ha comportato l’arresto di milioni di persone, che sono state internate nei campi per la trasformazione attraverso l’educazione. Secondo il regime, questo è necessario per «combattere il terrorismo», ma per alcuni si tratta di genocidio. Nel quadro di questa strategia di persecuzione il regime incoraggia i cittadini di etnia han a trasferirsi nello Xinjiang. La campagna di “hanizzazione” è finalizzata a indebolire il tessuto culturale degli uiguri e degli altri musulmani e viene favorita concedendo agli han generosi benefici e promettendo loro una vita prospera e felice nella loro nuova casa.

Bitter Winter ha intervistato due di questi immigrati che hanno però chiesto di non pubblicare i loro veri nomi.

Una missione impossibile

Alcuni anni fa uno dei due, che chiameremo Chen, si era trasferito con la propria famiglia dalla provincia centrale dell’Henan nello Xinjiang meridionale dove aveva avviato un’attività di commercio all’ingrosso di ortaggi. L’uomo ha detto lamentandosi: «È stato molto facile trasferire la residenza della mia famiglia nello Xinjiang, ma ora non possiamo più andarcene».

Nel 2017 la famiglia aveva deciso di tornare a casa, quindi Chen aveva avviato la procedura ufficiale per trasferire la residenza dallo Xinjiang all’Henan. Questa si è però rivelata una missione impossibile.

Chen ha aggiunto: «Ho anche tentato di rinunciare alla residenza nello Xinjiang pagando tangenti ai funzionari e chiedendo l’aiuto di amici che hanno conoscenze nel governo dello Xinjiang, ma senza successo».

Dopo due anni di inutili tentativi, la famiglia ha deciso di rischiare e di trasferirsi senza registrazione. Sono tornati nell’Henan, ma la loro registrazione familiare è ancora nello Xinjiang. Ora sono solamente residenti temporanei nella propria città natale per cui non hanno diritto all’assistenza medica e sociale di base e il figlio non può iscriversi alla scuola.

In Cina l’hukou, ossia il sistema di registrazione delle famiglie, regola l’accesso dei cittadini ai servizi pubblici, come l’assistenza sanitaria, l’istruzione, le pensioni di anzianità e altri programmi sociali. È anche indispensabile per ottenere un lavoro o un posto dove vivere. Pertanto, il regime lo usa spesso come strumento per controllare la popolazione e le migrazioni interne.

I funzionari del governo dello Xinjiang ispezionano i negozi
I funzionari del governo dello Xinjiang ispezionano i negozi (Immagine tratta da Internet)

Chen, evidentemente frustrato, ha aggiunto: «I funzionari dell’Henan si rifiutano di accettare la registrazione della mia famiglia con la scusa che stanno “impedendo ai ribelli di muoversi liberamente nel Paese”».

Quando gli è stato chiesto quale fosse il motivo principale per cui ha deciso di lasciare lo Xinjiang, Chen ha affermato che stava diventando difficile mantenere la famiglia con gli affari perché gli sforzi del governo si concentrano sul cosiddetto «mantenimento dell’ordine sociale» anziché sullo sviluppo economico. L’uomo ha poi spiegato: «La maggior parte degli uomini uiguri sono in carcere e ne rimangono pochi che possono lavorare nel mio settore».

Il testimone ha aggiunto che, nella zona in cui viveva e lavorava, le forze dell’ordine spesso bloccano le strade, soprattutto durante le vacanze e le feste. Durante le festività principali, come per esempio la Festa nazionale del 1° ottobre, l’intera area e le autostrade per raggiungerla erano completamente bloccate quindi la verdura fresca non poteva essere spedita in altre località. Per questo motivo gli ortaggi potevano essere venduti solo a basso prezzo nel quartiere, causando a Chen notevoli perdite economiche.

Una strada nello Xinjiang
Una strada nello Xinjiang (Immagine tratta da Internet)

La situazione angosciante dei diritti umani è stata un altro fattore critico nella decisione della famiglia di lasciare lo Xinjiang.

Chen ha aggiunto: «Non c’è libertà personale nello Xinjiang. Le persone devono mostrare i loro documenti di identità e farsi perquisire quando vanno al supermercato o in farmacia, prendono un autobus o un treno. Bisogna essere cauti nel parlare e non usare parole “sensibili”. Puoi essere indagato solo per aver sentito qualcuno lamentarsi del governo».

Nello Xinjiang è anche diventato difficile vendere le proprietà immobiliari. Chen ha affermato: «In passato era facile vendere le case, ma ora non più perché sono molte le persone che vendono immobili. La maggior parte degli han ha un disperato bisogno di andarsene perché non vuole più vivere nello Xinjiang».

«Non andate nello Xinjiang!»

Due anni orsono Zhang aveva avviato un’attività nel campo della formazione nel sud dello Xinjiang, ma ora vuole andarsene il più presto possibile.

L’uomo ha affermato: «Ho perso quasi 450mila renminbi (circa 65mila dollari statunitensi) che avevo portato con me. Nello Xinjiang la stabilità sociale prevale sullo sviluppo economico. Il governo può chiudere la tua attività “per rettifica” con un qualsiasi pretesto. È un evento quotidiano, quindi è difficile far funzionare un’azienda. C’erano oltre cento agenzie di formazione come la mia, ma ora ne rimangono solo poco più di dieci».

Zhang si trova nella stessa situazione di Chen e anche le autorità dello Xinjiang meridionale dove vive non gli permettono di rinunciare alla sua registrazione e non consentono alla sua famiglia di andarsene. I funzionari sostengono che l’amministrazione elabora le nuove registrazioni ma non le revoca.

La gravità della situazione risulta evidente anche solo visitando i siti web delle istituzioni governative dello Xinjiang. I residenti che vogliono lasciare la regione sono frustrati e ansiosi e inviano continuamente richieste di informazioni su quando potranno tornare nei loro luoghi di origine.

I residenti dello Xinjiang hanno pubblicato online le istanze presentate alle istituzioni governative per ottenere il cambiamento di residenza

L’ufficio del distretto di Gaoxin a Urumqi, la capitale dello Xinjiang, ha pubblicato un avviso sul proprio sito ufficiale in cui si afferma che nel distretto «a fronte di ordini emanati dai più alti livelli governativi la cancellazione della residenza è sospesa».

Il distretto di Gaoxin a Urumqi ha reso noto sul proprio sito ufficiale che nel distretto «la cancellazione della residenza è sospesa»

Quest’estate è stato ampiamente diffuso online un video intitolato «Consiglio ai laureati: non andate nello Xinjiang!». Nel video un cinese han, usando un dispositivo per alterare la propria voce, avverte i laureati di non andare nello Xinjiang anche se sono attratti dalla promessa di eccellenti condizioni per il trasferimento.

L’uomo nel video afferma: «Una volta trasferito nello Xinjiang, non avrai altra scelta che rimanerci». Le residenze di coloro che si sono trasferiti nello Xinjiang senza sottoporsi alla scansione della retina, al rilevamento delle impronte digitali e al prelievo di campioni di sangue sono state congelate, ciò significa che costoro non possono legalmente trasferirsi dallo Xinjiang in altre zone del Paese. Il video avverte inoltre che, indipendentemente dalla loro etnia, i residenti registrati nello Xinjiang vengono esaminati molto più attentamente ovunque vadano.

L’uomo nel video spiega anche che il governo dello Xinjiang non può mantenere le promesse fatte a tutti coloro che si sono trasferiti perché tutto il denaro viene speso per il mantenimento dell’ordine pubblico. I campi per la trasformazione attraverso l’educazione sono ovunque e persino i dipendenti pubblici possono esservi internati se commettono un errore sul lavoro.

Contrassegnato con: Islam, Sinizzazione delle religioni

Wang Yong

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