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Bugie del PCC sullo Xinjiang: la storia di Eziz

22/12/2019Ruth Ingram |

Dopo le proteste del calciatore Mesut Özil, Pechino tenta ancora di convincere il mondo che gli uiguri non siano perseguitati. Ma sono fake news

Di Ruth Ingram

Il segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, Mike Pompeo, ha espresso il proprio sostegno a Özil su Twitter
Il segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, Mike Pompeo, ha espresso il proprio sostegno a Özil su Twitter

Sono venuti per Eziz

La settimana scorsa, mentre i loro genitori si abbracciavano un’ultima volta, i bambini sconcertati hanno detto: «Perché mamma e papà piangono?». Poi Eziz è stato fatto uscire dalla porta di casa. La moglie affranta e i figli sconvolti non sanno per quale ragione sia stato arrestato e dove sia stato portato.

L’uomo era scampato alla prima ondata di arresti quando un milione e mezzo di suoi connazionali sono stati internati. La situazione si era drammaticamente aggravata quando, nell’agosto 2017, Chen Quanguo, dopo aver sottomesso il Tibet con misure draconiane, aveva preso il timone nello Xinjiang. Eziz era riuscito a sfuggire al radar del regime per due anni e mezzo. Come la maggior parte degli uiguri si sentiva sollevato quando quelli che bussavano alla porta nel cuore della notte non cercavano lui, ma i suoi vicini. Teneva la testa bassa e non si allontanava da casa, viveva nella paura e nell’apprensione osservando a distanza il regno del terrore. Intanto amici e parenti scomparivano, alcuni senza lasciare traccia.

Però martedì scorso, all’alba, la campana ha suonato per lui. Cinque uomini hanno bussato alla porta, sono entrati in casa sua non invitati e senza alcuna spiegazione gli hanno ordinato di seguirli. In una conferenza stampa svoltasi il giorno prima dell’arresto di Eziz il governatore dello Xinjiang Shohrat Zakir aveva affermato che gli uiguri si erano «volontariamente» diplomati nei campi, ma quella gang di sbirri introdottisi nella loro casa provava l’inconsistenza di questo «fatto». Protestare avrebbe peggiorato le cose per tutti e quindi l’uomo è andato con loro senza opporsi.

Non aveva scelta e da allora non si sono più avute sue notizie. L’uomo è uiguro, ma non si considera nemmeno un musulmano. Non è certamente un jihadista e non è mai stato coinvolto in attività illegali. È un padre di famiglia tranquillo e rispettoso della legge che ogni giorno va a lavorare per mantenere i suoi figli. Tuttavia l’attuale sistema caratterizzato da arresti casuali, incarcerazioni e detenzioni illegali non necessita di motivazioni. Si tratta di una legge arbitraria e in quanto tale non deve rendere conto a nessuno.

La denuncia di una stella del calcio

Recentemente, dal sancta sanctorum di Pechino sono trapelati oltre 400 documenti che descrivono dettagliatamente la logica alla base del sistema concentrazionario. Il regime ha reagito allo scandalo parlando di credulità e definendo quanto emerso «calunnie e manipolazioni maligne». Pechino, rispondendo alle critiche a livello mondiale, ha difeso il proprio benevolo piano per «rimodellare e riformare i criminali» tacciando qualunque voce discordante di essere fake news. Il putiferio scatenato questa settimana dal calciatore dell’Arsenal, Mesut Özil, è un esempio emblematico. Questo cittadino tedesco musulmano di origini turche, condannando su un social media l’internamento degli uiguri in Cina, ha scatenato un turbine di ritorsioni e i tifosi cinesi lo hanno precipitosamente cancellato dai loro account. I suoi fan, come la maggior parte dei cinesi han, non sono mai stati nello Xinjiang e non hanno mai visto uno uiguro a parte quelli che cantano o ballano in televisione, quindi basano il loro giudizio sulle informazioni fornite dai media controllati da Pechino. Özil è stato appoggiato su Twitter dal segretario di Stato statunitense Mike Pompeo, ma il suo club, l’Arsenal, si è affrettato a dissociarsi dai suoi commenti. Per molte società il redditizio mercato cinese è più importante dei principi e le squadre di calcio non fanno eccezione.

Visite pilotate

Normalmente i giornalisti che lavorano per l’organizzazione dei media statali Xinhua si limitano a dire che i giornalisti stranieri possono andare nello Xinjiang a vedere di persona e quest’anno oltre mille persone provenienti da più di 90 Paesi hanno visitato strutture facenti parte dei famigerati campi per la trasformazione attraverso l’educazione. I visitatori sono stati ricevuti con un’ampia gamma di discorsi preconfezionati e balli nazionali. Come se intervistare i detenuti tramite un interprete fornito dal governo o ascoltare le chiassose interpretazioni di Se sei felice e ne sei consapevole, batti le mani potesse ingannare qualcuno che voglia scoprire la verità …

Leggendo tra le righe è evidente che i detenuti sono costretti a esprimersi in un mandarino incerto e che se fanno un passo falso vengono puniti. Lo Stato diffonde la menzogna che non vi sarebbero restrizioni o privazioni della libertà personale e che i loro diritti sono pienamente tutelati. Si tratta di una sfacciata montatura e quelli che nelle prime ore dell’alba sono stati strappati alle loro case da agenti armati di pistole mitragliatrici, incappucciati, ammanettati e imprigionati in questi campi per un tempo indefinito lo hanno compreso fin troppo bene.
Le critiche rivolte a Pechino producono un’ondata di «sentimenti feriti» e giustificazioni secondo le quali i campi sarebbero necessari per ripristinare la pace in quella provincia travagliata. Del resto il governo si spinge fino al punto di raccomandare ad altri Paesi i metodi con cui la Cina affronta i facinorosi.

Manipolazione degli han

La retorica agisce in tutte le direzioni. Se si parla con molti cinesi han residenti nella provincia questi loderanno gli sforzi del governo per raggiungere l’armonia e la pace. Una studentessa han, dopo aver assistito a due documentari diffusi la settimana scorsa dalla CGTN (China Global Television Network), ha scritto alcuni commenti sui social media a proposito dello Xinjiang. I documentari danno l’impressione che la provincia sia letteralmente in guerra e hanno indotto la dottoranda a sostenere con convinzione che l’incarcerazione illegale di diversi milioni di uiguri è una strategia necessaria per la prevenzione. Ogni pochi secondi si vedono attentati dinamitardi e feroci assalti all’arma bianca dando l’impressione che ogni giorno vi siano jihadisti in tuta mimetica che si scatenano nelle strade. Il dipartimento dei media di Pechino ha fatto di tutto per far credere a chi non ha mai vissuto nello Xinjiang che da quando il PCC ha preso in mano con fermezza la situazione le cose vanno per il meglio.

La studentessa ha visto scomparire molti dei suoi amici uiguri, ma può perdonare qualsiasi cosa al governo affinché la terra che ama «piena di gente semplice e gentile» possa godere dell’armonia. Ammette che la trasformazione sociale non sarà facile e che in alcuni casi potrebbe essere dolorosa, ma termina il suo commento proclamando: «Non importa! Diamoci da fare! Forza!».

Ma Melissa ‒ questo il suo nome inglese ‒ e tutti i cinesi han che seduti in poltrona sostengono l’oppressione extra giudiziaria di Pechino non proveranno mai quel dolore che lei auspica così ardentemente per gli altri.

Il PCC non può nascondere la verità

Sfoglio regolarmente i miei contatti su WeChat dove trovo Rahile Dawut, amata scrittrice e studiosa di folklore, nella foto che risale a due anni fa quando è scomparsa, mentre sta osservando una scala a chiocciola. L’ultimo messaggio scambiato riguardava un caffè da prendere insieme ma è rimasto senza risposta. Cerco segni di vita da un amico venditore di libri, ma i suoi ultimi post risalgono al maggio 2017 e sono come sospesi in un limbo. Un giovane studioso e poeta autodidatta è stato arrestato ed è scomparso nella labirintica rete dei campi mentre suo figlio si trova in un orfanotrofio gestito dallo Stato. Alcuni amici osano ancora scrivere, ma in modo obliquo e criptico. Alcuni dopo l’internamento godono di una libertà limitata, altri lavorano nelle aziende governative con contratti quinquennali. Alcuni, leggendo tra le righe, stanno contando i giorni che li separano dall’ultimo incontro con i propri cari. In un laconico post che non entra nei dettagli si accenna a 1.356 giorni.

Quelli che mi hanno rimossa dai contatti sono troppi da contare e rimangono solo i post pubblicitari di quelli che vendono cosmetici e alimentari.

In settembre il portavoce del ministero degli Esteri cinese Geng Shuang in una riunione collaterale svoltasi alle Nazioni Unite ha dichiarato: «Le menzogne statunitensi si sgretoleranno di fronte ai fatti e alla verità».

Ma nelle vite di tante persone vedo solamente «fatti e verità» che narrano la vera storia che si sta svolgendo davanti ai nostri occhi e le «menzogne» del PCC. Sono certa che Eziz e la sua famiglia la confermeranno con tutto il cuore.

Contrassegnato con: Musulmani Uiguri

Ruth Ingram

Ruth Ingram, ricercatrice, collabora assiduamente a varie testate, fra cui il sito dell’Institute of War and Peace Reporting (la principale pubblicazione su Asia Centrale e Caucaso), Guardian Weekly e The Diplomat.

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