L’ex ideologa della Scuola centrale del Partito ha detto che Xi Jinping deve andarsene. Espulsa dal PCC e privata della pensione, potrebbe essere presto arrestata
di Massimo Introvigne
Manette e martelletto da giudice. Così l’organo propagandistico del PCC, il Global Times ‒ che non ha mai brillato per finezza ‒, illustra un articolo su Cai Xia pubblicato il 17 agosto. Il quotidiano la definisce «una delle migliori professoresse in pensione della Scuola del partito» e annuncia che è stata espulsa dal PCC e privata della pensione. Le manette potrebbero indicare il suo futuro prossimo, anche se si dice che ora Cai si trovi all’estero.
Un tempo ideologa di spicco del PCC, negli ultimi anni Cai si è fatta controversa per avere difeso esponenti del Partito espulsi o incarcerati senza giusto processo. In maggio ha però attraversato la linea rossa con un video in cui, pur evitando accuratamente di citare espressamente Xi Jinping, ha affermato che qualcuno ha dirottato il PCC, beffandosi della Costituzione cinese. Il China Digital Times ha pubblicato una traduzione in inglese del suo discorso.
In esso Cai descrive «una persona, un leader centrale che ha afferrato il manico del coltello [l’apparato di polizia] e la canna del fucile [le forze armate], e che strumentalizza le faglie all’interno del sistema. Ovvero in primo luogo la corruzione diffusa tra i funzionari, quindi le violazioni dei diritti umani e la mancanza di protezione giuridica per i membri e i quadri del Partito. Con queste due leve ha trasformato 90 milioni di membri del Partito in schiavi, ovvero semplici strumenti da usare per il proprio vantaggio personale. Utilizza peraltro il Partito fintanto che gli serve e, quando non ne ha più bisogno, ne mette da parte i membri, accusandoli di corruzione.
Oggi «l’intero Partito ruota attorno a una persona. È ancora un partito politico? Non è più un partito politico e non lo è da molto tempo. È solo uno strumento nelle mani di un boss mafioso, il partito è diventato uno zombi politico».
Cai ha quindi invitato gli altri membri dell’élite del PCC al potere a essere coraggiosi e a «sostituire quella persona» per evitare «un altro periodo di grande caos».
Tuttavia, a proprio avviso sostituire «la persona» sarebbe solo «il primo passo». Qui Cai si riferisce ancora alla violazione dei diritti umani dei membri del PCC, non di tutti i cinesi. Tuttavia l’ideologia non la convince più e afferma che il «socialismo con caratteristiche cinesi» ha reso il PCC «lo zimbello del mondo».
Offrendo una risposta implicita a chi in Occidente afferma che la Cina non sia comunista perché ha un’economia di mercato, Cai ricorda ai propri lettori che quest’ultima comprende un mercato dei fattori produttivi e un mercato delle materie prime. La Cina può dare l’impressione di essere passata all’economia di mercato perché ha introdotto nel mercato delle merci una certa dose di proprietà privata (nelle mani di selezionati «amici» del PCC), tuttavia il mercato dei fattori produttivi è tuttora saldamente di tipo socialista e il PCC controlla le risorse (fattori produttivi) cruciali per la produzione di beni e di servizi.
Il fatto che sotto «quella persona» il controllo statale stia aumentando anziché diminuire, conclude Cai, «ci dice che questo sistema non sta andando da nessuna parte. È inutile tentare di cambiarlo. Fondamentalmente questo sistema deve essere abbandonato. Quanto alla riforma di cui parliamo, non si tratta più di attuare un cambiamento nel quadro del sistema attuale».
Queste considerazioni possono sembrare ovvie a molti lettori di Bitter Winter, ma ciò che è interessante è che provengono dalla bocca di una signora che fino a poco tempo fa era una potente ideologa del PCC.