I funzionari del governo cinese amano uscirsene con un ampio repertorio di ragioni, per la maggior parte false, per sopprimere i luoghi di culto
Nel tentativo di eliminare ogni credo religioso, le autorità fanno spesso sfoggio di motivazioni altisonanti per demolire con la forza chiese e templi buddhisti, oppure per affermare che gli edifici religiosi «inquinano le sorgenti d’acqua» oppure «sottraggono terre alle colture».
Quando arriva per demolire chiese e templi, il PCC si presenta con tutte le carte in regola, ma in realtà distrugge luoghi sacri alle religioni sulla base di motivazioni costruite ad arte.
Per esempio, il 16 dicembre il segretario del partito del comune della città di Taizhou, nella provincia costiera orientale cinese della provincia dello Zhejiang, si è recato a ispezionare un bacino idrico nella città di Ningxi. Dopo aver visto che lì accanto si trovava una chiesa delle Tre Autonomie, la chiesa Xiaokeng, ha imposto al sindaco del borgo di abbatterla.
Più tardi, in serata, il sindaco ha chiamato il capo della chiesa ripetendogli l’ordine di abbatterla, perché, a quanto pareva era «[…] troppo vicina al bacino, avrebbe potuto inquinare la sorgente d’acqua».
Naturalmente i fedeli hanno segnalato di aver ricevuto il permesso del governo per costruire l’edificio in quella posizione. Se davvero la chiesa avesse potuto inquinare la sorgente, perché mai le autorità le avrebbero permesso di restare in piedi per più di vent’anni?
«Il segretario comunale del Partito è la carica più alta, può decidere di fare ciò che vuole» è stata la risposta.
Il giorno successivo, il capo della chiesa e alcuni presbiteri si sono recati dal sindaco e dal responsabile della sezione religiosa di distretto per trovare un accordo e salvarla. Quest’ultimo, però, è rimasto fermo sulla sua posizione e ha affermato che l’edificio era illegale e andava perciò demolito. Per tranquillizzarli, ha promesso una ricompensa, ma a condizione che smettessero di opporsi.
Il capo della chiesa ha richiesto allora una cambiale per la ricompensa, ma gli è stata rifiutata. Chi dei due non ha poi mantenuto la “promessa”?
La demolizione è iniziata il 18 di dicembre, e dieci giorni dopo tutto era raso al suolo.
La chiesa aveva più di cent’anni di storia.
Nel 1990 era stata spostata nella posizione attuale dopo l’ampliamento del bacino idrico e nel 2015, per via dell’età ormai avanzata, era stata ricostruita nella posizione originaria al costo di 5 milioni di renminbi (circa 741.300 dollari statunitensi), tutti raccolti e donati dai fedeli.
«Accanto al bacino ci sono le case di alcuni abitanti del villaggio, e queste non le hanno demolite. Hanno abbattuto solo la chiesa. Io la chiamo persecuzione» ha affermato uno dei fedeli.
«Ora che la chiesa non c’è più, non abbiamo altra scelta che prendere in affitto una casetta di lamiera per i nostri raduni. Ci costa 18mila renminbi l’anno (circa 2.668 dollari)», ha detto un altro.
Nella provincia settentrionale dell’Hebei, anche un tempio buddista è stato demolito a forza con la scusa ambigua che fosse un “edificio illegale”.
Il 18 ottobre, le autorità della città di Shenzou hanno inviato circa trenta operai per abbattere il tempio Puguang, causando tra l’altro la distruzione di 12 statue del Bodhisattva.
Tre giorni dopo, il tempio era ridotto a un cumulo di macerie.
Le motivazioni addotte dalle autorità sono state che «[…] occupava terreno agricolo essenziale» e che era un “luogo di attività religiose illegali”.
Ma se si chiede agli anziani del villaggio, il tempio non sorgeva su terreno agricolo, dal momento che non vi era mai stato piantato nulla. E come nel caso della chiesa Xiaokeng, poi, anch’esso aveva ricevuto i permessi dell’autorità municipali per essere costruito.
Secondo le fonti, tra giugno e agosto del 2018, le autorità avevano più volte fatto pressione alla proprietaria del tempio, arrivando persino a emettere una nota che le ordinava di abbatterlo lei stessa entro una certa data, se non voleva ricevere una multa di 200mila renminbi (circa 30mila dollari).
Quando i fedeli hanno protestato, i funzionari governativi del posto li hanno minacciati: «Non potete fare appello alle autorità superiori. Se presenterete una petizione, sarete chiusi in una stanza buia e pestati. Non saprete neanche chi vi colpirà».
Perché, in Cina, la politica vince sempre.
«La demolizione di croci e chiese ha a che fare con la politica, ma il governo non te lo dirà mai. Trovano una quantità di scuse, per esempio
“Secondo le leggi edilizie, oppure in base alle leggi che regolano pubblicità e marchi, la croce o il Buddha superano il peso standard”, ma in realtà tutto è dovuto a questioni politiche», ha riferito a Bitter Winter una fonte interna al governo.
«Alcune amministrazioni locali ammettono esplicitamente che quando si procede con le demolizioni occorre inventare delle scuse, per evitare resistenze sentimentali o reazioni negative da parte delle persone religiose, e per evitare che la comunità internazionale abbia una qualche arma contro il governo».
Servizio di Sun Kairui