Cupo sollievo e muta esultanza hanno accolto la sentenza conclusiva della corte popolare sull’espianto di organi, emessa a Londra questa settimana
Ruth Ingram

Che la Cina sia stata e sia tuttora connivente nella mutilazione di esseri umani innocenti allo scopo di prelevarne gli organi è un fatto irrefutabile, così come lo è dire che chiunque stringa, a qualsiasi titolo, accordi con la Cina debba ammettere di fare affari con un «Paese criminale»: è stato questo l’orribile verdetto presentato davanti a un’aula gremita.
L’avvocato della Corona Sir Geoffrey Nice, già procuratore nel processo contro Slobodan Milošević (1941-2006) a L’Aia, rivolgendosi a una platea di 200 persone composta di vittime, esperti medici e legali, pubblico generico, traduttori, giornalisti e testimoni del raccapricciante traffico di organi, ha pronunciato il verdetto che tutti aspettavano da quando, l’anno scorso, il procedimento è stato aperto.
Enver Tohti, uno dei testimoni chiave, cui è stato ordinato di asportare con le proprie mani gli organi di un prigioniero ancora in vita, ha accolto il verdetto come «una vittoria del movimento per i diritti umani». Dopo la sentenza, ha affermato che si è trattato di un giudizio clamoroso di colpevolezza «contro la Repubblica Popolare Cinese (RPC) e la sua campagna di espianto degli organi».

Cos’è il China Tribunal?
L’Independent Tribunal into Forced Organ Harvesting from Prisoners of Conscience in China è stato istituito dall’International Coalition to End Transplant Abuse in China (ETAC). Tale intesa è nata nel 2014 allo scopo di raccogliere informazioni a proposito della persecuzione perpetrata contro i praticanti del Falun Gong in Cina e dell’espianto di organi da essi subito. L’anno scorso, tale giuria internazionale è stata chiamata a istituire un tribunale per valutare con oggettività le prove raccolte e determinare se nella RPC siano stati commessi dei crimini oppure no. Le udienze hanno occupato cinque giorni, nel dicembre 2018 e nell’aprile di quest’anno.
Riportando la sentenza, Sir Nice ha tenuto a sottolineare l’indipendenza del Tribunale e la sua riluttanza a dedurre la complicità della RPC sulla base della sua indisponibilità ad avviare un procedimento. Ma a dispetto dell’assordante silenzio proveniente da Pechino e la sua scarsa inclinazione a difendersi nel dibattito rispetto al suo ruolo nel commercio di organi, il Tribunale ha stabilito che vi siano prove sufficienti per emettere il suo schiacciante verdetto.

Prove credibili
I tempi di attesa eccezionalmente brevi promessi da medici e ospedali della RPC per la disponibilità degli organi, il numero di interventi di trapianto (che hanno ampiamente superato le statistiche sia governative sia ospedaliere per le donazioni volontarie) e uno «sviluppo consistente delle infrastrutture per enti e personale medico dedicati agli interventi di trapianto di organi», ben prima che fosse pianificato lo schema della donazione volontaria: sono queste alcune delle conclusioni che una volta inserite in un unico ragionamento conducono all’inevitabile conclusione finale che in Cina l’espianto forzato di organi è stato condotto su larga scala per anni.
Il Tribunale ha stabilito che i praticanti del Falun Gong sono stati le prime vittime degli espianti, benché in tempi recenti la raccolta completa, a partire dal 2017, del DNA di ogni uomo, donna e bambino appartenente alla comunità indigena uigura dello Xinjiang ha contribuito a creare uno sfortunato database di donatori potenziali da cui, ha concluso, potrebbero emergere in seguito altre prove dell’espianto. Il recente internamento di 3 milioni di uiguri, questo il numero ipotizzato, nei così detti campi per la trasformazione attraverso l’educazione, aggiunge l’ulteriore preoccupazione che proprio gli uiguri stiano diventando un segmento della popolazione particolarmente vulnerabile. Il giudizio conclusivo del Tribunale stabilisce che «non sono state date prove del fatto che le notevoli infrastrutture connesse all’industria cinese dei trapianti siano state smantellate e che l’assenza di spiegazioni sufficienti per la pronta disponibilità di organi porta a concludere che l’espianto forzato continui ancora oggi».
La campagna contro il Falun Gong
Dal rapporto emerge la piena evidenza dell’intenzione di distruggere il movimento del Falun Gong, i cui seguaci sono descritti nella sentenza come persone impegnate nell’intento innocente di perseguire «verità, compassione e tolleranza». I dettagli sconvolgenti della malvagia epurazione attuata dall’ex leader del PCC Jiang Zemin contro questo movimento dimostrano le intenzioni violente contro i suoi seguaci. Nel 1999 Li Lanqing, vice premier del Consiglio di Stato cinese, aveva reso note le direttive di Jiang finalizzate a «rovinare la loro reputazione, spezzarli dal punto di vista finanziario e distruggerli fisicamente». Lo stesso Jiang nel 2001 ha affermato: «Picchiarli a morte non è nulla. Se riportano danni fisici a seguito dei pestaggi, vale come se si fossero feriti da soli. Se muoiono, vale come un suicidio».
Dalla chiara intenzione della RPC di nuocere al gruppo del Falun Gong, il Tribunale ha tratto la conclusione che «non avrebbero avuto alcuna difficoltà a lasciarli a qualsiasi destino», aggiungendo che «avrebbero potuto prontamente sfruttarli come una riserva di donatori per gli ospedali del Paese, i cui organi potevano essere prelevati a richiesta, per mezzo di espianti forzati».
Il Tribunale ha stabilito che era «certo, che fosse proprio il Falun Gong a essere utilizzato come fonte, e probabilmente la fonte principale, dell’espianto forzato di organi».
Il rapporto evidenzia le prove del prelevamento di organi senza la constatazione formale della morte cerebrale, le dichiarazioni dei testimoni in base alle quali esso è avvenuto su prigionieri del Falun Gong ancora in vita, gli esami medici sistematici per identificare i prigionieri appartenenti al Falun Gong e gli uiguri, nonché la «tortura brutale e disumanizzante» applicata di routine su questi gruppi, che include lo stupro e la violenza sessuale.
Alcune telefonate di indagine, effettuate nel 2006 e nel 2018 da parte di persone che chiamavano sostenendo di avere la necessità di un trapianto, hanno fornito prove evidenti del fatto che molte cliniche hanno usato per i trapianti gli organi dei prigionieri, che un gran numero di queste ha usato o avrebbe potuto usare come “fornitori” i seguaci del Falun Gong, e che qualcuna ha ammesso che la fonte degli organi era segreta. Era chiaro che gli organi sarebbero stati forniti da persone che erano ancora in vita al momento delle telefonate e che sarebbero stati disponibili con un breve preavviso. Il Tribunale aveva già ricevuto prove sconvolgenti in base alle quali chi avesse avuto bisogno di un trapianto avrebbe potuto ordinare un fegato o un cuore in Cina con un preavviso di due settimane.
Le ingannevoli statistiche del PCC
La crescita esponenziale dei trapianti di organi nella RPC si è intrecciata con una discrepanza inspiegabile rispetto alla disponibilità di donatori volontari. Nonostante dal 2014 i prigionieri condannati alla pena capitale abbiano smesso ufficialmente di essere fonte di organi per i trapianti, il numero di tali trapianti invece di diminuire è aumentato. Nel mese di marzo 2013, Huang Jiefu, l’organizzatore dell’espansione delle potenzialità di trapianto della RPC, si è vantato con il Guangzhou Daily di aver eseguito nel 2012 più di 500 trapianti di fegato. Un altro chirurgo, Zhu Jiye, direttore dell’Istituto per il trapianto di organi dell’Università di Pechino, ha riferito che il suo ospedale ha effettuato 4mila trapianti di fegato e di reni nel corso di uno specifico anno, cioè il 33% del totale di 12mila trapianti riconosciuti dalle autorità statali solo per quella struttura ospedaliera.

Dopo la valutazione dei dati anomali forniti dalla RPC, il Tribunale si è convinto che le statistiche ufficiali del governo siano state falsificate. Se si considera credibile che ogni anno siano stati effettuati fra i 60 e i 90mila interventi di trapianto, e che il numero ufficiale di donatori disponibili nel 2017 ammontava a 5.146, il Tribunale ha tratto le conclusioni dell’esistenza di un «gap incomprensibile» che porta a pensare che «devono esistere una o più altre fonti di organi tissutali». La deduzione finale era che «deve esserci stato un gruppo di donatori non identificati nel materiale della RPC».
Genocidio e crimini contro l’umanità
Nonostante numerosi elementi nello scandalo degli espianti spingano a ipotizzare il crimine di genocidio, il Tribunale si è fermato prima di formalizzare tale accusa, poiché tale definizione era soggetta a incertezza dal punto di vista giuridico. Alcuni dei prigionieri, nei fatti, sono stati rilasciati e sussistevano alcuni dubbi rispetto alla determinazione degli intenti delle persone coinvolte. Il Tribunale è stato però unanime nell’affermare che si tratti di un crimine contro l’umanità.
Regno Unito e Australia sono stati bersaglio di critiche
I governi del Regno Unito e dell’Australia sono stati entrambi identificati per la loro riluttanza ad analizzare le accuse in modo autonomo e a esaminare i fatti che sono stati presentati loro in numerose occasioni. «Ci si aspetterebbe che accuse come queste, gravi quanto quelle basate su tante morti e che sono state provate contro i peggiori assassini politici di massa del secolo XX, siano considerate meritevoli dell’azione più urgente e vantaggiosa dal punto di vista politico che il mondo intero possa appoggiare», ha affermato il Tribunale nei commenti conclusivi. «Ciò non è previsto, a quanto pare, dal Regno Unito e dall’Australia», è stato aggiunto. Diversamente dagli Stati Uniti d’America, che hanno assunto una posizione differente.
In risposta alla pubblicazione della sentenza definitiva del Tribunale, John Chisholm, presidente del comitato etico della British Medical Association (BMA), in un comunicato stampa sul sito della stessa BMA stessa ha affermato: «Siamo estremamente preoccupati per la sentenza emessa oggi dal Tribunale», e ha aggiunto «La pratica dell’espianto forzato di organi rappresenta una grave e continuativa violazione di una serie di diritti umani inalienabili e fondamentali, tra cui il diritto alla vita e in alcuni casi il diritto a non essere sottoposti a tortura oppure a trattamenti e punizioni crudeli, disumani, degradanti». E poi: «Qualsiasi coinvolgimento di personale medico nell’espianto forzato di organi è pertanto illegale, contrario all’etica e contravviene al codice deontologico stabilito dalla World Medical Association. Il dovere primario di ogni medico è di promuovere il benessere dei pazienti, e – in primo luogo e soprattutto – di fare in modo che non subiscano danni».
La BMA ha richiamato la Repubblica Popolare Cinese a «favorire un’indagine approfondita e indipendente a proposito dell’espianto forzato di organi e a proteggere gli impegni professionali centrali dei medici facendo in modo che mai siano coinvolti in tali pratiche».
A proposito del Regno Unito, la BMA ha invitato il governo a «riconsiderare le proprie posizioni sulla questione, alla luce di quanto scoperto dal Tribunale, e di sfruttare la propria influenza sullo scenario internazionale per far sì che possa aver luogo una indagine piena ed efficace».
È stato sollecitato anche l’aiuto da parte dei cittadini
Il Tribunale ha concluso richiamando i governi e ogni privato cittadino, ogni attivista, ogni politico a decidere in coscienza se, a fronte di quanto emerso, siano stati commessi dei crimini, e a «fare ciò che ritengano sia il loro dovere rispetto a qualsiasi chiara malvagità che emerga dalla constatazione che l’espianto di organi sia avvenuto o stia ancora avvenendo nella RPC».
«Un’azione tragicamente priva di controllo ha fatto sì che molte persone morissero in modo orribile e senza alcuna necessità al servizio di obiettivi che gli eredi dell’attuale RPC potrebbero riconoscere come assolutamente non necessari per il benessere e la crescita dello Stato», ha concluso il Tribunale.
