Fonti: International Service for Human Rights e inchieste realizzate
Ogni cinque anni, ogni stato membro delle Nazioni Unite si presenta di fronte al Consiglio per i diritti umani (CDU) a Ginevra, per l’Esame periodico universale (EPU) in rapporto alla situazione dei diritti umani nel Paese. L’EPU per la Cina è programmato per il 6 novembre 2018. Il 7 marzo, l’Alto Commissario per i diritti umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, presentando il rapporto annuale stilato dal suo ufficio, ha criticato la situazione dei diritti umani in Cina: “Il mio ufficio continua a ricevere appelli urgenti riguardanti detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate, maltrattamenti e discriminazione, provenienti da difensori dei diritti umani, avvocati, legislatori, librai e membri di comunità come i tibetani o gli uiguri. Molti di questi casi riguardano persone che lottano contro ingiustizie economiche, sociali e culturali, come i casi di corruzione, sequestro illegale di terra e sfratti forzati; distruzione di siti culturali; vincoli su pratiche religiose e restrizioni sull’uso delle lingue locali. Sono impaziente di risolvere alcuni di questi problemi con il governo cinese, visto che ci avviciniamo all’esame EPU della Cina, fissato per novembre”. Anche il Canada, l’Unione Europea, la Francia, la Germania e gli Stati Uniti hanno criticato il peggioramento della situazione dei diritti umani in Cina e la mancanza di libertà religiosa. Lo stesso hanno fatto diverse organizzazioni non governative, intervenendo alla 37a sessione del Consiglio per i diritti umani dell’ONU. La Fondazione Helsinki per i diritti umani ha ricordato al Consiglio che “quasi esattamente dieci anni fa, in Tibet prese il via un’ondata di proteste senza precedenti. Da allora, la Cina ha intensificato la repressione e ha imposto pervasivi controlli militari e di sicurezza sull’altopiano, per soffocare qualsiasi sfida alla sua sovranità. A ciò si sono aggiunti attacchi all’identità e alla cultura tibetana e gravi violazioni dei diritti umani, sia civili che politici, e dei diritti economici, sociali e culturali. Ma l’ondata continua di autoimmolazioni, con più di 153 tibetani che si sono dati fuoco dal 2009, è una chiara prova del fatto che i tibetani stanno ancora soffrendo per il disprezzo dei loro diritti fondamentali e della loro libertà da parte della Cina”. Anche l’Associazione per i popoli minacciati ha denunciato che “sono in corso gravi violazioni dei diritti umani, inclusa la libertà di religione e di fede, nella Regione autonoma tibetana e nelle aree adiacenti, dove vivono i tibetani. Lo spazio in cui i tibetani possono vivere con dignità e nel rispetto dei valori umani si sta restringendo. L’interferenza dello Stato negli affari religiosi ha ridotto lo spazio per la libera pratica del buddhismo tibetano”.
L’International Service for Human Rights e Human Rights Watch hanno messo in rilievo “casi documentati di molestie, detenzioni arbitrarie, torture e maltrattamenti, e sparizioni forzate di attivisti, avvocati e altri, ritenuti una minaccia per lo Stato”.
La Coordination des associations et des particuliers pour la liberté de conscience ha richiamato l’attenzione del Consiglio sulla continua persecuzione di membri della Chiesa di Dio Onnipotente e anche sui tentativi cinesi di interferire nei casi in cui essi chiedono il riconoscimento dello status di rifugiati in altre nazioni.
Come al solito, la Cina ha respinto qualsiasi critica come “interferenza negli affari interni” e ha fatto notare che violazioni dei diritti umani avvengono anche negli Stati Uniti e in Europa.