In base al diritto internazionale, la Cina e/o il Partito Comunista Cinese possono e debbono essere citati in giudizio per i danni enormi causati al mondo intero
di Massimo Introvigne
Quando tutto sarà passato, e forse anche prima, il PCC potrebbe ritrovarsi sotto l’attacco di un nemico che il suo imponente potere militare non sarà in grado di fermare: i decisi avvocati occidentali. Sta divenendo ovvio pian piano che nel diritto internazionale vi è fondato motivo per citare in giudizio il regime cinese e/o il PCC per i danni che la loro condotta irresponsabile ha causato al mondo intero. Uno studio condotto dal ricercatore statunitense del Diritto James Kraska ha analizzato tale questione. Personalmente non concordo con tutte le dichiarazioni che egli avanza, ma riassumo e sviluppo in questa sede alcune delle sue idee, aggiungendone altre per parte mia.
Quale sarebbe il fondamento giuridico per intentare una causa? È, per altro, una base creata dal mondo avendo in mente proprio la Cina. Nel 2002, la SARS si è diffusa a partire dalla provincia cinese del Guangdong. Entro il 2003 aveva raggiunto 28 Paesi, con un bilancio complessivo di 774 vittime. Il dato oggi può apparire limitato se paragonato a quello delle vittime del COVID-19, ma il mondo ha capito che si sarebbero potute evitare molte perdite se la Cina non avesse tentato di ammantare di segreto l’epidemia per numerose settimane dopo che si è presentata. La SARS ha condotto al nuovo Regolamento sanitario internazionale emanato dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), adottato nel 2005, che vincola tutti gli Stati membri dell’OMS, Cina compresa. Il Regolamento fa riferimento fra il resto alla SARS così come ad altre malattie «provocate da un nuovo sottotipo» (quale è il virus responsabile del COVID-19) e sancisce l’obbligo per gli Stati membri di condividere con l’OMS le informazioni inerenti «entro 24 ore».
A prescindere da quanto la Cina sfrutti la propria influenza a livello politico per condizionare le dichiarazioni dei leader dell’OMS, è chiarissimo che la Cina abbia contravvenuto agli obblighi di comunicare quanto accadeva stabiliti dal Regolamento del 2005. La vicenda del dottor Li Wenliang (1986-2020), con la cui famiglia il PCC si è scusato quando l’uomo era già morto a causa della malattia, mostra chiaramente che Pechino non ha voluto che le informazioni a proposito del virus fossero rese pubbliche a livello mondiale e che chi ha osato parlarne è stato minacciato o incarcerato. Il PCC ha tenuto per sé per settimane delle informazioni cruciali, sia in patria sia in ambito internazionale, e vi è il consenso generale che se la Cina le avesse rese note in tempo migliaia di vite sarebbero state salvate.
Un problema di fondamentale importanza nell’ambito del diritto internazionale è quello delle sanzioni. Affermare che gli Stati membri delle Nazioni Unite sono responsabili delle proprie azioni è semplice. Sanzionarli, è difficile. Al fine di dare il proprio contributo al problema notoriamente intricato dell’applicazione del diritto internazionale, le Nazioni Unite hanno istituito nel 1947 la Commissione del diritto internazionale (CDI). Nel 2001 tale Commissione ha pubblicato un documento, Draft Articles on the Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts. Molti hanno evidenziato i limiti della CDI: i documenti che emette sono ufficiali, ma non vincolanti dal punto di vista giuridico rispetto agli Stati membri. Tuttavia, i precedenti legali della Corte internazionale di giustizia narrano una vicenda parzialmente diversa. La Corte ha utilizzato i documenti emessi dalla CDI, fra cui il “Draft Articles”, come linee guida per l’interpretazione del diritto internazionale. L’Articolo 34 del “Draft Articles” stabilisce che uno Stato che abbia violato intenzionalmente un obbligo internazionale è tenuto a «risarcimento pieno per il danno creato da un’azione illegittima a livello internazionale», in «forma di restituzione, compensazione e soddisfazione». Da notare anche l’Articolo 39, in base al quale, «nel determinare il risarcimento, si dovrà tenere conto di quanto abbia contribuito al danno un’azione o un’omissione intenzionale o involontaria da parte dello Stato leso e di qualsiasi persona o istituzione in relazione a cui sia richiesto risarcimento». Ciò significa che, oltre alla Cina in quanto Stato, istituzioni (come il PCC) e persone (come il presidente Xi Jinping e altri) che hanno quanto meno “contribuito” alla violazione dell’obbligo di condividere immediatamente con il resto del mondo le informazioni, attraverso l’OMS, ebbene sono anch’essi responsabili.
I danni sono enormi, ovviamente. La Cina può escogitare molti modi per rifiutare la giurisdizione della Corte internazionale di giustizia, il cui vicepresidente fra l’altro è il cinese Xue Hanqin. Tuttavia, gli Stati hanno trovato vie alternative per punire i colpevoli. A partire dal 2016, il Global Magnitsky Act autorizza gli Stati Uniti d’America a intraprendere azioni contro chi viola i diritti umani. I tribunali di tutto il mondo, inoltre, hanno ammesso cause civili di richiesta danni da parte di funzionari stranieri. La fantasia degli avvocati occidentali è quasi priva di limiti. Debbono esserci molti modi per considerare la Cina, il Partito, Xi Jinping e tutti coloro che abbiano contribuito a insabbiare tutto come responsabili per l’enorme numero di morti, tragedie e danni economici che hanno causato. PCC, attento: gli avvocati stanno arrivando e questa è una buona notizia per il mondo.