Una fedele della Chiesa di Dio Onnipotente, condannata a cinque anni per la fede che professa, parla del lavoro forzato a cui è stata sottoposta in carcere
di Yuan Wei
Nel 2014 una trentenne fedele della Chiesa di Dio Onnipotente (CDO) ‒ il singolo movimento religioso più perseguitato in Cina ‒ era stata condannata a cinque anni di carcere. La donna, accusata di «usare una organizzazione xie jiao per sabotare l’applicazione della legge» a causa delle sue convinzioni religiose, ha dovuto scontare una pena detentiva in un carcere femminile nella Cina nordoccidentale.
La giovane ha ricordato che, subito dopo il suo arrivo in carcere, una guardia le aveva detto che l’officina della prigione di cui era responsabile doveva assicurare un elevato rendimento e che le venivano spesso affidati maggiori compiti di produzione.
«Vedendo che ero di una costituzione robusta», dice, «mi ha portato nel suo laboratorio. Mi è stato assegnato il compito di cucire le asole a punto annodato. Il lavoro non finiva mai e la stessa cosa si ripeteva ogni giorno, mese e anno».
In Cina le aziende in difficoltà per carenza di personale si appoggiano alle carceri per aumentare la produzione. La fedele della CDO ha affermato che la maggior parte delle detenute che scontavano lunghe condanne nel suo blocco erano state appositamente trasferite per lavorare nelle officine del carcere dal Sichuan, dallo Yunnan, dallo Zhejiang e da altre province. A suo avviso la prigione aveva pagato 600 renminbi (circa 85 dollari statunitensi) per ogni detenuta.
La donna ha ricordato che, una volta, le guardie avevano fatto indossare a ciascuna prigioniera al lavoro nel laboratorio un’uniforme completa di scarpe e cappello. A tutte era stato ordinato di non dire una parola nel corso dell’ispezione che sarebbe seguita a breve. Si trattava della visita di un dirigente di una ditta d’abbigliamento di Hong Kong, che presumibilmente sospettava che i suoi beni fossero prodotti da prigionieri. La fedele della CDO ha aggiunto: «Per questo motivo sulla porta è stato affisso un cartello con scritto “Vietato l’ingresso ai detenuti”, grazie a questo stratagemma l’uomo d’affari è stato ingannato e ha fatto un grosso ordinativo».
La prigione non si limita a produrre a fronte di ordini provenienti da Hong Kong, dalla Malesia e da altri Paesi, ma produce anche uniformi per il mercato interno. La donna ha ricordato: «Le guardie non si preoccupavano molto della qualità dei prodotti destinati all’esportazione, ma erano particolarmente severe quando si trattava di ordini interni di uniformi destinate alla polizia, alle ferrovie e ad altre agenzie. Spesso ci dicevano che queste divise erano realizzate per i cinesi e che qualsiasi difetto avrebbe danneggiato l’immagine del Paese perciò saremmo state ritenute responsabili di ogni minimo errore».
Parlando delle condizioni di lavoro in carcere la donna ha ricordato: «Dovevamo lavorare 16 ore al giorno, a volte anche di notte, e in questi casi anche il giorno successivo senza alcun riposo. Eravamo così stanche che non potevamo fare a meno di sonnecchiare e non era infrequente bucarsi per sbaglio le dita con l’ago della macchina da cucire quando a causa della fatica si preme il pedale per sbaglio. Quando ciò accadeva i meccanici estraevano l’ago con le pinze e ci facevano immergere le dita ferite nell’olio motore, presumibilmente per disinfettarle. Nonostante questi infortuni dovevamo continuare a lavorare».
Le guardie spesso picchiavano le prigioniere che non erano riuscite a rispettare la quota di produzione assegnata perché poco qualificate o deboli. La donna ha continuato: «Ho vissuto a lungo tormentata dall’angoscia. Quando mi è stato riferito che mio padre era in fin di vita, non ho resistito e ho smesso di lavorare. Per punirmi, il capo del distretto carcerario, con l’aiuto di quattro guardie, mi ha colpita con un manganello elettrico sul viso, sulle braccia e sulle mani e io piangevo miseramente mentre la corrente elettrica attraversava il mio corpo».
A causa delle lunghe ore di lavoro trascorse in un ambiente chiuso e poco ventilato, la donna e le sue compagne hanno avuto gravi problemi di salute. La loro vista si è deteriorata considerevolmente e nonostante ciò dovevano continuare a lavorare.