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Espianto di organi: le prove schiaccianti del Tribunale speciale

07/01/2019Ruth Ingram |

Il crimine più odioso perpetrato dal regime comunista contro dissidenti e credenti trova testimoni a Londra. La sentenza definitiva è prevista per maggio

Geoffrey Nice
Geoffrey Nice

Ruth Ingram

Le prove emerse durante le indagini sugli espianti di organi hanno spinto la giuria a emettere un giudizio provvisorio contro la Cina. Con un’iniziativa irrituale, il tribunale di Londra ha anticipato conclusioni provvisorie sull’espianto forzato di organi nella Repubblica popolare cinese. È stato infatti accertato «all’unanimità, e oltre ogni ragionevole dubbio, che in Cina siano stati praticati espianti forzati di organi da prigionieri per motivi di coscienza per un periodo considerevole di tempo, coinvolgendo un numero molto consistente di vittime».

Le testimonianze sono state così convincenti che il giudice che presiede la giuria, l’avvocato della corona Sir Geoffrey Nice, ha inusitatamente ritenuto di rendere noti i risultati provvisori prima ancora di emettere la sentenza finale, esprimendo la speranza che nel farlo «l’ossigeno costituito dal rendere pubbliche le accuse avanzate e sostenute nel nostro giudizio provvisorio possa permettere al vero ossigeno della vita di giungere ad alcuni che altrimenti potrebbero essere uccisi». Nice ha definito suo dovere pubblico quello di «salvare gli innocenti dal male», e ha aggiunto: «Riflettendo sui numerosi doveri che si hanno verso i nostri concittadini del mondo, non si può non rammentare opportunamente a noi stessi le atrocità commesse in passato da Stati che hanno tentato di distruggere una parte del proprio popolo e il ruolo svolto da chi, davanti a quegli eventi raccapriccianti, è rimasto in silenzio».

Sir Geoffrey, che è stato uno delle figure principali nell’accusa pubblica nel processo celebrato a L’Aia contro Slobodan Milosevic (1941-2006), l’ex presidente della Serbia, è stato incaricato dall’International Coalition to End Transplant Abuse in China (ETAC) di presiedere le sedute dell’Independent Tribunal Into Forced Organ Harvesting from Prisoners of Conscience in China, svoltesi tra l’8 e il 10 dicembre. Nice ha dichiarato di sperare che il tribunale possa emettere il verdetto in primavera, esortando la Repubblica popolare cinese (RPC) a dare la propria versione dei fatti.

Nella dichiarazione conclusiva ha fatto appello a quanti potrebbero voler contestare i risultati di quella corte, chiedendo che si facciano avanti. Ha inoltre sollecitato ulteriori prove per sostenere o confutare le peraltro «convincenti» testimonianze prima del verdetto finale. Nonostante le schiaccianti testimonianze provenienti da tutto il mondo, sulla questione Pechino mantiene un silenzio assordante.

Del resto, gli inviti a partecipare alle audizioni consegnati ai rappresentanti della RPC sono finora caduti nel vuoto. Sempre nella dichiarazione conclusiva, Sir Geoffrey ha sollecitato eventuali informazioni che potrebbero contraddire il giudizio provvisorio oppure suggerire che in Cina le pratiche di trapianto degli organi non abbiano nulla di criminale. Prima di pronunciare la sentenza finale, ha quindi dichiarato che vorrà ascoltare i medici che si sono espressi a favore delle pratiche di trapianto cinesi, ma che pure finora non hanno accolto gli inviti del tribunale a collaborare. Li ha infatti esortati a riconsiderare il proprio negazionismo, prendendo chiaramente posizione.

Le testimonianze personali rese in tre interi giorni davanti al tribunale sono state portate principalmente da praticanti in esilio del Falun Gong (si stima che, da quando Jiang Zemin, l’ex presidente della Cina, ha dichiarato di voler liberare il Paese dalla loro influenza, decine di migliaia di appartenenti al Falun Gong abbiano subito l’espianto degli organi. Ricercatori come l’avvocato canadese per i diritti umani David Matas, l’ex parlamentare pure canadese David Kilgour e il giornalista investigativo statunitense Ethan Gutmann stimano che siano stati uccisi 65mila prigionieri di coscienza appartenenti al Falun Gong. Cfr. E. Gutmann, The Slaughter: Mass Killings, Organ Harvesting and China’s Secret Solution to Its Dissident Problem, Prometheus Books, New York 2014).

Anche gli uiguri, la cui posizione precaria è stata recentemente descritta in altre notizie, hanno manifestato preoccupazione. Insieme alla prova inconfutabile che tra 1 e 3 milioni di uiguri stanno scontando condanne extragiudiziali nei campi per la “trasformazione attraverso l’educazione” o peggio, preoccupa il fatto che siano stati raccolti i dati biometrici dell’intera popolazione uigura dello Xinjiang. (Nella notizia riportata dalla Reuters il 10 agosto 2018, Gay McDougall, membro del Committee on the Elimination of Racial Discrimination delle Nazioni Unite, cita stime secondo cui, nella regione autonoma occidentale dello Xinjiang, 2 milioni di uiguri e di altre minoranze musulmane sono internati nei “campi politici per l’indottrinamento”.)

Enver Tohti, medico ed ex chirurgo uiguro originario dello Xinjiang, ha fornito prove dalle quali risulta che una volta, nella capitale Urumqi, gli è stato chiesto di rimuovere gli organi da un prigioniero vivo in un luogo adibito a esecuzioni. L’uomo ha aggiunto che le sue preoccupazioni sono aumentate quando, nel giugno 2016, il PCC ha annunciato controlli sanitari gratuiti per tutti nella regione. Questi controlli hanno comportato la raccolta dei dati biometrici di tutti gli uiguri della regione e questo ha alimentato il suo sospetto che si intendesse realizzare un database nazionale per il commercio degli organi. Ha anche riferito che «secondo i media cinesi, il numero di campioni raccolti ha superato i 17 milioni». (rapporto di Human Rights Watch del 13 dicembre 2017. Questo documento cita lo Xinjiang Daily Newspaper del 2 novembre 2017 il quale ha pubblicato le conclusioni delle “Visite mediche per tutti” volute dallo Stato a partire dal settembre 2016 allo scopo di raccogliere i dati biometrici dei cittadini dello Xinjiang di età compresa tra 12 e 65 anni).

Il medico teme che i campi siano una semplice copertura per il commercio degli organi. Ha infatti dichiarato che, a tutt’oggi, molte persone sono semplicemente scomparse e che solamente quelle seriamente malate sono state rilasciate. Ha raccontato di quando, durante una visita a Taipei nell’ottobre 2017, fu avvicinato da un uomo di Taiwan il cui fratello si era recato per il trapianto di un rene a Tianjin, una città sulla costa nord-orientale. «Essendo a conoscenza della situazione del Falun Gong, l’uomo aveva chiesto al chirurgo che non gli venisse impiantato un organo appartenente a un praticante di quel movimento. Il chirurgo lo ha però rassicurato dicendo: adesso tutti gli organi vengono dallo Xinjiang!».

Tutti i testimoni che hanno fornito prove al tribunale tranne uno hanno subito, dopo l’arresto, gravi torture mentali e fisiche, compresi alcuni casi di abusi sessuali e di stupri da parte di altri prigionieri a cui è stato ordinato di aggredirli. Tutti hanno riferito di essere stati sottoposti a esami medici completi, compreso l’esame del sangue e la diagnostica tramite ultrasuoni degli organi interni. Tutti hanno confermato che altri prigionieri cinesi di etnia han non sono stati sottoposti a questi test.

Un chirurgo israeliano ha dato al tribunale prove che avvalorano il sospetto di espianti forzati, riferendo che, in Cina, gli organi da trapiantare possono essere ordinati anche con una sola settimana di anticipo. Un paziente che aveva urgentemente bisogno di un trapianto di cuore è stato contattato dalla propria compagnia di assicurazioni che si è anche impegnata a fungere da intermediario. All’uomo è stato detto che era possibile trovare un cuore, che tutti i costi sarebbero stati sostenuti dall’assicurazione e che il trapianto sarebbe stato eseguito entro due settimane.

Dopo aver ascoltato le dichiarazioni di 30 testimoni, Sir Geoffrey ha dunque concluso affermando che il tribunale è stato incaricato di pronunciare un giudizio definitivo sul fatto che gli espianti forzati di organi siamo stati o siano tuttora praticati e anche di determinare se siano stati commessi reati internazionali da parte o dello Stato cinese o di organismi e organizzazioni da esso sostenute. Ha poi aggiunto: «Fino a oggi nessuno dei rapporti sui trapianti in Cina, nonostante alcuni accenni alla possibilità che siano stati commessi reati internazionali, ha mai esplorato specificamente questa eventualità».

Pur riconoscendo che un tribunale come quello da lui presieduto non è responsabile dell’uso che si possa fare dei suoi verdetti, Sir Geoffrey si è rammaricato del fatto che le accuse di avere espiantato gli organi di prigionieri per motivi di coscienza mosse contro la Cina abbiano dato ben pochi frutti nel corso degli anni. Ha poi aggiunto che, in circostanze normali, un tribunale di questo tipo «non emette giudizi parziali o provvisori», ma che, in questo caso, «valgono considerazioni diverse, giacché la diffusione di un giudizio, ancorché incompleto e provvisorio, può servire il bene comune».

In conclusione, si è nuovamente rammaricato affermando: «A prescindere dagli aspetti criminali, si può affermare con certezza, e la cosa non è trascurabile nella “Giornata dei diritti umani” che quest’anno si celebra esattamente a 70 anni dall’adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani, che l’espianto forzato di organi così come comprovato davanti a noi viola, come minimo, i seguenti articoli della “Dichiarazione”:

Articolo 3 (diritto alla vita); Articolo 6 (riconoscimento della persona di fronte alla legge); Articolo 7 (uguaglianza davanti alla legge); Articolo 9 (nessuno può essere arbitrariamente arrestato); Articolo 10 (diritto senza discriminazioni a un processo equo e pubblico per l’accertamento dei diritti); Articolo 11 (presunzione di innocenza)».

Ha inoltre aggiunto che, sulla base delle testimonianze raccolte, è stato violato anche l’Articolo 5 (relativo alla tortura). Infatti, tutti i testimoni tranne uno hanno riferito di essere stati torturati dopo l’arresto e hanno inoltre dettagliatamente descritto gli esami medici cui sono stati sottoposti. Questi esami sono coerenti con la preparazione che precede l’espianto di organi.

Nice ha poi concluso ricordando al tribunale che «certe concezioni pericolose della sovranità potrebbe ora permettere ad altri Paesi di fare quel che vogliono ai propri cittadini entro i propri confini, ignorando che l’umanità è una famiglia unica, protetta da diritti essenziali codificati. Con quelle concezioni ci si deve misurare, e misurandole con sentenze chiare e certe come la nostra sull’espianto forzato di organi ne possono derivare benefici concreti».

In ultimo ha ribadito la speranza che membri della società civile, medici, studiosi o funzionari governativi decidano di farsi avanti, fornendo prove che saranno tenute in considerazione «esattamente come se fossero state prodotte negli ultimi tre giorni». «La “richiesta di prove” sul sito web del China Tribunal rimane aperta in modo, così che il pubblico possa continuare a contribuire con dichiarazioni per individuare o testimoni o prove documentali ulteriori che il Tribunale potrebbe voler prendere in considerazione».

Contrassegnato con: Espianto di organi

Ruth Ingram

Ruth Ingram, ricercatrice, collabora assiduamente a varie testate, fra cui il sito dell’Institute of War and Peace Reporting (la principale pubblicazione su Asia Centrale e Caucaso), Guardian Weekly e The Diplomat.

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