Oltre 100 preti più l’amministratore apostolico hanno aderito all’Associazione patriottica, ma solo dopo aver combattuto il più a lungo possibile
di Ye Ling
In maggio il governo ha costretto Lin Yuntuan, ex amministratore apostolico assegnato dal Vaticano all’arcidiocesi di Fuzhou, e più di 100 sacerdoti ad aderire all’Associazione patriottica cattolica cinese (APCC) minacciando di arrestare chiunque di rifiutasse di sottomettersi al controllo dello Stato.
Dopo la firma dell’Accordo tra la Santa Sede e la Cina del 2018, il PCC ha esercitato continue pressioni su tutto il clero cattolico affinché aderisse all’APCC. Chi si rifiuta di farlo viene perseguitato e spesso arrestato, di frequente le chiese vengono assalite e i simboli religiosi distrutti, dopo di che molti edifici sacri vengono chiusi. Il 28 giugno il Vaticano ha però diffuso alcune nuove linee guida, che stabiliscono che la Santa Sede non impone obbligatoriamente ai cattolici obiettori di coscienza di aderire all’APCC.
Secondo una fonte interna all’arcidiocesi, con la firma dell’accordo di richiesta redatto dal governo il clero della diocesi avrebbe dovuto accettare il principio di una Chiesa cattolica «indipendente, autonoma e auto-amministrata», obbedendo all’APCC. Le autorità hanno minacciato alcuni sacerdoti di demolirne le chiese qualora non avessero firmato, mentre ad altri è stata promessa indulgenza per l’appoggio dato a quella che era nota come Chiesa clandestina. «Se entrerete nell’APCC, non vi creeremo alcun problema. Non siate ostinati. Altrimenti sarete colpiti con durezza!», hanno affermato i funzionari parlando con gli ecclesiastici.
Ciò detto, l’amministratore Lin ha a lungo rifiutato di legarsi al governo, sottolineando il desiderio di restare in comunione con la Chiesa Cattolica di Roma. Il minimo che potesse fare, insieme ai sacerdoti della diocesi, era quindi tentare di modificare il testo della domanda di adesione all’APCC, seguendo il precedente creato dalla diocesi di Mindong, della provincia meridionale del Fujian. Prima di firmare, infatti, il suo vescovo, Guo Xijin, ha insistito affinché nel documento fossero inserite le condizioni preliminari che garantiscono l’integrità della fede.
Analogamente sono state aggiunte due condizioni agli accordi di richiesta con il clero di Fuzhou: non violare i princìpi della coscienza e della fede cattolica, e mantenere la comunione con la Chiesa Cattolica di Roma. Dopo queste revisioni, tutti hanno firmato l’accordo, sottoponendolo quindi al vescovo.
Ma l’accordo così revisionato è risultato inaccettabile alle autorità cinesi. Hanno quindi continuato a vessare i sacerdoti affinché firmassero il testo originale, affermando di stare semplicemente eseguendo gli ordini del governo centrale. Minacce e intimidazioni sono continuate, mentre le autorità facevano pressione sugli ecclesiastici con il «sistema di contrattazione “una persona-una politica”» che prevede la pressione contemporanea di diversi funzionari addosso a un sacerdote. «Siete sacerdoti legittimi solo quando il governo centrale vi autorizza come tali», li sgridavano i funzionari.
L’amministratore apostolico Lin e i sacerdoti non si sono però arresi. In base a quanto testimoniato da uno di loro, hanno inviato l’accordo al rappresentante della Santa Sede a Hong Kong, monsignor Javier Herrera Corona, il quale ha dichiarato che l’accordo di richiesta prodotto dal governo non poteva essere firmato.
I sacerdoti e l’amministratore Lin sono insomma riusciti a non transigere e alla fine di maggio hanno firmato gli accordi, ma con l’aggiunta delle condizioni preliminari stabilite.
«Tutti i sacerdoti, congiuntamente, hanno firmato, soprattutto per evitare che il PCC potesse sfruttare il principio del “divide et impera” e disgregare la diocesi dall’interno», ha spiegato uno dei sacerdoti.
Fra maggio e giugno a Fuzhou almeno dieci sale per riunioni cattoliche che non facevano parte della Chiesa cattolica patriottica sono state chiuse dall’amministrazione locale con il pretesto di «violare i regolamenti edilizi». Prima della chiusura sono stati comunque inviati degli «agenti di collegamento religioso» e dei funzionari del comitato di quartiere a intrufolarsi di nascosto nelle chiese onde carpirne informazioni.
Il 9 giugno diversi addetti sono stati inviati a guardia dell’ingresso di una chiesa cattolica della città per impedire ai fedeli di entrarvi a pregare senza che le autorità ne fossero informate. Allo scopo la serratura del portone è stata saturata di colla. Il comitato di quartiere, il comitato del villaggio e la polizia hanno quindi pattugliato le strade intorno alla chiesa per giorni.
«Adesso i funzionari della sezione provinciale dell’Ufficio per gli affari etnici e religiosi, la stazione di polizia di zona, gli uffici sottodistrettuali e quelli di comunità vengono spesso da noi per farci pressione», ha detto, disperato, il responsabile della Chiesa. «Spesso scattano fotografie o ci convocano per sottoporci a “trasformazione ideologica”. Il Partito vuole farci rompere con la religione e sottometterci al governo».
Un sacerdote che ha chiesto di rimanere anonimo ha paragonato i negoziati fra il Vaticano e la Cina agli accordi fra un agnello e un lupo affamato. «Il PCC è una tirannia. Ogni giorno in più che il Partito Comunista resta al potere equivale a un giorno senza libertà religiosa, e noi continueremo a essere perseguitati», ha affermato il testimone, aggiungendo che il PCC non prende di mira solo il cattolicesimo, ma lavora per controllare e sradicare tutte le religioni. «Le sue azioni violano non solo la legge internazionale, ma anche la Costituzione cinese».