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C’è del marcio nella Banca mondiale? Una storia di denari donati alla Cina per beneficenza che la Cina usa per opprimere le genti dello Xinjiang

30/08/2019Marco Respinti |

Una lettera della Congressional-Executive Commission on China alla Banca mondiale solleva il problema ed esprime preoccupazione. “Foreign Policy” dice che non è la prima volta

World_Bank_building_at_Washington
Credits (Shiny Things – CC BY-NC 2.0)

di Marco Respinti

Spesso gli aiuti economici allo sviluppo sono una bestia nera. Possono alleviare la sofferenza e risolvere le esigenze di molti, ma possono anche essere uno strumento grandioso nelle mani dei tiranni. E quando si tratta di regimi totalitari e dispotici è sempre così. Il prestigioso periodico Foreign Policy, per esempio, ha appena scoperto un odioso caso di malversazione di fondi esteri operato dalla Cina: del denaro stanziato dalla Banca mondiale che avrebbe dovuto essere utilizzato dalle scuole della Regione autonoma uigura dello Xinjiang per scopi educativi è invece stato speso per alimentare la macchina della sorveglianza con cui il PCC controlla e opprime le persone. In particolare, almeno 30mila dollari statunitensi, come dimostrano i documenti, sono stati utilizzati in modo improprio per acquistare filo spinato, gas lacrimogeni e giubbotti antiproiettile.

«Il 23 agosto», scrive Bethany Allen-Ebrahimian su Foreign Policy, «la Congressional-Executive Commission on China [CECC], un’agenzia governativa statunitense che monitora il rispetto dei diritti umani in Cina, ha inviato al presidente della Banca mondiale, David Malpass, una lettera in cui esprime preoccupazione per il prestito di 50 milioni di dollari da parte della banca per il “Progetto di istruzione e formazione professionale nello Xinjiang” concesso al Dipartimento della Pubblica Istruzione nella regione nordoccidentale dello Xinjiang, in Cina. In quella regione vivono circa 10 milioni di uiguri, una minoranza etnica per lo più musulmana, oltre un milione dei quali sono ora internati forzatamente in campi in cui il governo cinese sostiene di volere dare loro competenze professionali». Ora, sappiamo tutti che quando il regime comunista cinese parla di «competenze professionali» e di «scuole» nello Xinjiang (che gli uiguri preferiscono chiamare Turkestan orientale) in realtà si tratta di quei campi di concentramento in cui milioni di persone sono detenute illegalmente in condizioni orribili. Ma la scoperta del CECC è comunque sorprendente sia per l’audacia di Pechino sia per l’ingenuità della Banca mondiale, a quanto sembra l’unica istituzione della Terra che ignori quanto la Cina stia facendo nello Xinjiang.

Tanto più che a luglio, riferisce la Allen-Ebrahimian, un impiegato della Banca mondiale aveva scritto una lunga e-mail a uno dei direttori esecutivi nel consiglio di amministrazione della banca, dettagliando le proprie preoccupazioni sul programma per lo Xinjiang. Questa fonte anonima (giacché i dipendenti della Banca mondiale non sono autorizzati a parlare con la stampa) ha anche suggerito di effettuare un’indagine interna «[…] per assicurarsi che le regole della Banca mondiale venissero seguite». Inutile dire che la Banca mondiale ha ignorato l’allarme, semplicemente assicurandosi che fossero state formalmente adottate tutte le misure per l’uso corretto del denaro.

Ma il caso di luglio non è stato un allarme isolato. «La Yarkand Technical School», continua Foreign Policy, «che viene gestita da un’altra scuola nel quadro del programma della Banca mondiale, ha speso circa 30mila dollari per acquistare 30 lanciagranate da utilizzare con proiettili a gas lacrimogeni, 100 manganelli antisommossa, 400 kit di abbigliamento mimetico, 100 kit di abbigliamento confezionato in materiali “resistenti ai colpi di pugnale”, 60 paia di guanti “resistenti ai colpi di pugnale”, 45 caschi, 12 metal detector, 10 manganelli in dotazione alla polizia e del filo spinato attraverso un bando di gara datato novembre 2018. Il primo a scoprire l’esistenza di questo bando di gara è stato il ricercatore indipendente Shawn Zhang. Non è chiaro se il denaro così utilizzato provenga direttamente dal prestito della Banca mondiale o da altre fonti di finanziamento, ma indica una preoccupante continuità tra i campi e le vere scuole».

La stessa giornalista ricorda che un’indagine condotta dall’AFP nel 2018 «[…] ha rivelato che le amministrazioni locali dello Xinjiang avevano acquistato camion carichi di manganelli della polizia, spray al pepe, pungoli da bestiame e manette per i cosiddetti centri di addestramento». E quella era «una delle molte inchieste di questo tipo che hanno contribuito a dimostrare al mondo esterno come i centri di formazione professionale siano in realtà campi di internamento». Il prestito era stato approvato dalla Banca Mondiale nel maggio 2015, finalizzato a un progetto che avrebbe beneficiato 48.500 giovani dello Xinjiang, «dove avrebbe “creato team altamente specializzati per l’insegnamento e la gestione, e migliorato le strutture e le attrezzature scolastiche”, nonché offerto “programmi di formazione a breve termine agli agricoltori e ai lavoratori migranti urbani, fornendo servizi tecnici alle comunità e alle imprese locali”». A quanto pare, la Banca mondiale «[…] gestisce programmi simili in diverse altre province cinesi e in altri Paesi del mondo».

Ora, «il linguaggio che il governo cinese adopera per descrivere i campi di detenzione è molto simile, e in alcuni casi identico, al nome del programma di prestito della Banca mondiale», aggiunge la Allen-Ebrahimian. «Il 16 agosto, il Consiglio di Stato cinese ha pubblicato un libro bianco intitolato Istruzione e formazione professionale nello Xinjiang per difendere le azioni del governo e affermare che i centri sono necessari “per prevenire la proliferazione e la diffusione del terrorismo e dell’estremismo religioso”». I lettori di Bitter Winter hanno però imparato in tempo che questo “libro bianco” è solo un nuovo cumulo di vecchie bugie.

A dire il vero, come affermano il presidente della CECC, il senatore Marco Rubio (del Partito Repubblicano), e il copresidente, il deputato Jim McGovern (del Partito Democratico), nella loro lettera, il prestito della Banca mondiale è arrivato prima dei campi di internamento, ma «[…] ci preoccupa il fatto che la Banca mondiale abbia continuato a erogare il prestito, anche per progetti edili di lungo termine richiedenti grandi investimenti di capitali, anche dopo che sono stati scoperti sia gli internamenti di massa sia la strategia del governo cinese atta a giustificare le proprie politiche con la propaganda». Per ora la Banca mondiale tace.

La Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo ‒ poi rinominata Banca mondiale ‒ è stata istituita nel 1944, insieme al Fondo monetario internazionale, per offrire prestiti a lungo termine ai Paesi in via di sviluppo nel campo dell’istruzione, dell’agricoltura e dell’industria all’indomani del Disastro della Seconda guerra mondiale. Nacque dall’accordo di Bretton Woods, che stabilì le regole per le relazioni commerciali e finanziarie tra Stati Uniti, Canada, Europa occidentale, Australia e Giappone. I suoi fondi provengono dagli Stati membri, che a propria volta provengono dalle tasche dei loro cittadini. Significa che i soldi presi dalla gente in una parte del mondo alimentano la repressione di altre persone in una parte diversa dello stesso mondo?

Contrassegnato con: Campi di concentramento in Cina

Marco Respinti
Marco Respinti

Marco Respinti è il direttore di International Family News. Italiano, è giornalista professionista, membro dell’International Federation of Journalists (IFJ), saggista, traduttore e conferenziere. Ha collaborato e collabora con diversi quotidiani e periodici, sia in versione cartacea sia online, in Italia e all’estero. Autore di libri, ha tradotto e/o curato opere di, fra gli altri, Edmund Burke, Charles Dickens, T.S. Eliot, Russell Kirk, J.R.R. Tolkien, Régine Pernoud e Gustave Thibon. Senior Fellow al Russell Kirk Center for Cultural Renewal, un’organizzazione educativa statunitense apartitica e senza fini di lucro che ha sede a Mecosta, nel Michigan, è anche socio fondatore e membro del Consiglio Direttivo del Center for European Renewal, un’organizzazione educativa paneuropea apartitica e senza fini di lucro che sede a L’Aia, nei Paesi Bassi, nonché membro del Consiglio Consultivo della European Federation for Freedom of Belief. È direttore responsabile del periodico accademico The Journal of CESNUR e di Bitter Winter: A Magazine on Religious Liberty and Human Rights in China.

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