In Cina si parla spesso di religioni “ufficiali” o “controllate dal governo”. Gli organismi religiosi autorizzati dal regime sono cinque e anche la loro libertà viene limitata.
Il Partito Comunista Cinese (PCC) considera l’ateismo una delle proprie dottrine fondamentali. In molti documenti ufficiali, l’ateismo viene presentato come parte essenziale e irriformabile dell’ideologia del PCC. Tuttavia, quando il PCC è salito al potere, nel 1949, in Cina vi erano un gran numero di religioni. Il presidente Mao riteneva che la religione sarebbe stata sradicata dalla Cina una volta che ne fossero state estirpate le radici sociali, cioè rendendo la Cina un vero Paese comunista. Nel frattempo, le religioni, invece di essere sradicate immediatamente e con la violenza, avrebbero dovuto essere accompagnate alla scomparsa e messe sotto controllo, in modo da prevenire qualsiasi insurrezione o controrivoluzione religiosa.
Mao ordinò così l’espulsione di tutti i missionari stranieri, l’arresto o l’esecuzione di tutti i leader religiosi di cui fosse nota l’opposizione al regime e la formazione di organismi religiosi strettamente controllati dal PCC. I vertici di questi organismi avrebbero dovuto essere nominati dal PCC e sarebbe stato loro proibito qualsiasi contatto con organizzazioni religiose straniere o internazionali.
Ma, per quanto il PCC desiderasse compiacere Mao, il compito si rivelò arduo. Per potere essere credibili, i nuovi organismi religiosi avrebbero dovuto infatti includere almeno alcuni dei leader religiosi allora esistenti e pochi di loro accettarono di essere reclutati dal regime. Dopo un complicato iter, che alternò minacce a lusinghe, alla fine il PCC, tra il 1953 e il 1957, riuscì a creare cinque organismi religiosi controllati dal governo:
- Il Movimento patriottico delle Tre Autonomie, abbreviato in Chiesa delle Tre Autonomie (1954), un organismo unitario che include tutti i protestanti fedeli al PCC e caratterizzato appunto dalla “tre autonomie”, «autoamministrazione, autosostegno e autodiffusione», espressione con cui il Partito intendeva dire che tale struttura non avrebbe dovuto ricevere o accettare alcun aiuto da organismi missionari stranieri e internazionali;
- l’Associazione buddhista cinese (1957);
- l’Associazione islamica cinese (1957);
- l’Associazione taoista cinese (1957);
- Il Comitato patriottico laico cattolico cinese (1957), in seguito rinominato Comitato patriottico cattolico cinese e Chiesa cattolica patriottica.
Naturalmente, era difficile credere che la ricchezza immensa e la varietà teologica del cristianesimo protestante cinese potesse venire ridotta a una singola Chiesa. E il Vaticano ha dichiarato subito la Chiesa cattolica patriottica, i cui vescovi erano nominati dal PCC invece che da Roma, scismatica e niente affatto cattolica. I cattolici fedeli a Roma sono dunque entrati in clandestinità dando vita a una vivace Chiesa Cattolica clandestina, anche se molti dei suoi vescovi sono stati arrestati e molti sono morti in carcere.
I cinque organismi ufficiali non sono però mai stati popolari. L’ingresso di tutti i cinesi che ancora si consideravano religiosi in uno dei cinque organismi riconosciuti ufficialmente è stato un compito affidato più alla polizia che ai teologi.
I cinque organismi sono stati attivi solo per un decennio. Nel 1966 è stata avviata la Rivoluzione Culturale che ha perseguitato con uguale ferocia sia le religioni autorizzate sia quelle che non lo erano. Quasi tutti i luoghi di culto sono stati distrutti o convertiti in caserme o stalle. I loro tesori culturali sono andati perduti per sempre quando le statue sono state frantumate e i libri bruciati. Migliaia tra pastori, sacerdoti, monaci e imam sono stati uccisi e nessuna forma di culto è stata più tollerata.
Quando, alla fine, la polvere della Rivoluzione Culturale si fu posata, Mao morì nel 1976 e, nel 1978, ascese al potere Deng Xiaoping (1904-1997), il PCC scoprì con sorpresa che la religione non era scomparsa malgrado una delle peggiori persecuzioni della storia dell’umanità. Era soltanto scesa più profondamente in clandestinità. Questo portò Deng a rivedere le idee di Mao sulla religione. Il nuovo leader non proclamò che le politiche di Mao sulla religione fossero sbagliate, ma adottò una tabella di marcia diversa, poiché riteneva che la scomparsa della religione avrebbe potuto anche richiedere secoli invece che decenni di dominio comunista.
Nel 1982 Deng ordinò la pubblicazione di un testo noto come Prospettiva e politica di base sugli affari religiosi per la stagione socialista del nostro Paese, poi chiamato “Documento n. 19”. I cinque organismi controllati dal governo sono stati ripristinati, anche se pure le limitazioni alle attività religiose sono state reiterate e Deng non ha smesso di portare avanti la propaganda a favore dell’ateismo.
Di fatto, però, i cinque organismi non hanno mai controllato la totalità delle attività religiose. Come ha scritto nel 2006 il sociologo Fenggang Yang, il PCC aveva creato un “mercato rosso” di religioni approvate. Eppure la teoria sociologica asserisce che nemmeno i regimi totalitari sono in grado di controllare completamente la religione. Al di fuori dei cinque organismi approvati, prima del 1982 esisteva infatti un “mercato grigio” che ha continuato a prosperare anche dopo. C’erano inoltre pure aree ambigue. Una era il Qi Gong, un insieme di esercizi fisici e meditazione di origine buddhista e taoista. Il PCC ha considerato i gruppi che organizzavano la pratica del Qi Gong come parte della cultura e della medicina tradizionale cinesi, piuttosto che una religione, sebbene molti di loro includessero ovviamente nei propri insegnamenti anche elementi religiosi. Tuttavia, quando uno di questi gruppi, il Falun Gong, è cresciuto così tanto da essere percepito dal PCC come una minaccia, il Partito ha avviato una campagna per sradicarlo, rimettendo in vigore la vecchia pratica imperiale di promulgare liste di xie jiao («insegnamenti eterodossi), che sono stati presentati come un pericolo pubblico di grande portata e che quindi avrebbero dovuto essere «sradicati come i tumori». Diversi altri gruppi sono poi stati aggiunti alla lista degli xie jiao e quindi cacciati senza pietà.
Per usare la terminologia di Fenggang Yang, almeno nella narrazione ufficiale del regime i cinque organismi approvati erano il “mercato rosso” virtuoso della religione e gli xie jiao il suo “mercato nero” malvagio. Ma questa era solo una parte della storia. Ha infatti continuato a esistere un “mercato grigio”, e di fatto è stato il segmento più vasto della religione in Cina. In esso è stata compresa la Chiesa Cattolica clandestina, le Chiese domestiche protestanti (visto che non tutte erano incluse nelle liste degli xie jiao) che resistevano agli sforzi per accorparle al Movimento delle Tre Autonomie, i templi buddhisti e taoisti che rimanevano al di fuori delle associazioni buddhiste e taoiste ufficiali, e i musulmani (in particolare, ma non esclusivamente, nello Xinjiang) che consideravano l’Associazione islamica cinese uno strumento per sradicare lentamente ma completamente l’islam. Bitter Winter si occuperà del modo in cui il regime ha reagito e reagisce all’esistenza del “mercato grigio” in articoli futuri.
Ma che dire del “mercato rosso”? Quando la propaganda cinese ci assicura che la religione in Cina è libera e addirittura sostenuta dal denaro del PCC, si riferisce ai cinque organismi controllati dal governo. In effetti lo stile di vita sontuoso dei leader di questi organismi sembra confermare che almeno la parte di propaganda che si riferisce al denaro non è falsa.
Tuttavia l’attività delle organizzazioni religiose che appartengono ai cinque organismi non è per nulla libera. Primo, ovviamente, non viene consentita nessuna critica al PCC. Secondo, il proselitismo è proibito e la predicazione viene consentita solo all’interno dei luoghi di culto autorizzati. Quando, nel 2016, la Russia, ha adottato analoghe misure anti-proselitismo mediante le Leggi Yarovaja si è sollevata la protesta internazionale, ma pochi si sono resi conto che in Cina vigeva da sempre la stessa situazione.
Terzo, esistono diverse norme amministrative cavillose che pongono, nei fatti, le comunità religiose autorizzate alla mercé delle autorità locali del PCC. Non ci vuole molto per scoprire quando una di queste norme viene violata e le conseguenze possono essere molto gravi, giungendo fino alla distruzione dei luoghi di culto con la dinamite e all’arresto del clero. La norma più odiosa è quella che in pratica equipara la religione alla pornografia, vietando ai minori di 18 anni l’ingresso in un luogo di culto o la partecipazione ad attività religiose. Dopo la riforma delle norme religiose, varata quest’anno, il principio viene applicato con grande rigidità. Alcune chiese sono state chiuse semplicemente perché le madri vi entravano con i figli neonati in braccio.
Due osservazioni conclusive. Il “mercato rosso” in origine fu creato per impedire la presenza sul suolo cinese di organismi religiosi con collegamenti internazionali. Queste connessioni sono ancora proibite, ma ci si aspetta che le cinque organizzazioni ufficiali sostengano la propaganda cinese, offrendo pranzi e abbondanti libagioni ai visitatori stranieri per persuaderli che in Cina la libertà religiosa esista. Ci si aspetta anche che questi organismi sostengano la persecuzione degli xie jiao, fornendo argomenti teologici che confermino che i loro insegnamenti sono eretici.
Secondo, non voglio dare l’impressione che tutti i credenti che partecipino alle attività delle religioni del “mercato rosso” siano ipocriti o che le religioni “ufficiali” esistano solo per scopi propagandistici. Questo può essere vero in aree specifiche, ma non è la regola. Esistono luoghi, in Cina, dove il “mercato rosso” offre la sola opportunità di mantenere un qualche contatto con la religione. I credenti sinceri possono decidere che approfittare di questa opportunità sia, dopo tutto, meglio di niente.