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LIBERTÀ RELIGIOSA \n E DIRITTI UMANI \n IN CINA

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Il professor D.H. Williams: le radici della presenza del cristianesimo in Cina risalgono all’antichità

30/06/2018Bitter Winter |

D.H.WilliamsDaniel H. Williams è docente di Patristica e di Storia della teologia nella facoltà di Studi religiosi della Baylor University, a Waco, in Texas. Autore oppure curatore di sei libri, insegna in Cina dal 2006. Ha tenuto corsi presso le cinque maggiori università della Cina continentale, ha partecipato come oratore plenario alle conferenze dell’Istituto estivo dell’Università Popolare Cinese e molti suoi articoli sono stati pubblicati sul Journal for the Study of Christian Culture. Nell’estate del 2009, è stato visiting professor nell’Università Popolare Cinese a Pechino. Il suo libro Retrieving the Tradition (“Ricuperare la tradizione”) è stato tradotto e pubblicato nel 2011 dalla China Social Sciences Press per essere poi riedito nel 2016. Attualmente è codirettore del Centro per l’Ellenismo e la Tarda antichità nell’Università di Shandong, a Jinan.

Le intuizioni del professore Williams sul cristianesimo primitivo in Cina vanno ben al di là della storia e dell’archeologia. La sua opera dimostra che in Cina il cristianesimo non è una religione “straniera”, ma che, in effetti, esso raggiunse il Paese ancora prima di arrivare in alcune nazioni “cristiane” europee. Poiché il carattere “non cinese” del cristianesimo è uno degli argomenti da sempre preferiti dalla propaganda anticristiana in Cina, e una scusa per mettere i cristiani sotto stretta osservazione limitandoli nel proprio diritto alla libertà religiosa, l’opera del professor Williams è sia tempestiva sia rilevante per le questioni che giornalmente vengono discusse su Bitter Winter.

nestorian stele with a crossProfessor Williams, un certo tipo di propaganda dipinge il cristianesimo come una religione in Cina “straniera”. Lei ha studiato il cosiddetto “monumento nestoriano”, eretto nel 781 vicino a Xi’an, Shaanxi. Crede che questo monumento confuti tale teoria?

È facile sopravvalutare l’importanza del monumento. Ma non lo si deve nemmeno sottovalutare. Il monumento fu riscoperto nel 1623 e da allora gioca un ruolo storico attivo. Nel 1690, l’impegno dei gesuiti in Cina, quasi un secolo dopo che un missionario gesuita italiano, Matteo Ricci (1552-1610) era entrato per primo nel Paese, stava ancora cercando di guadagnarsi la completa fiducia dell’imperatore a Pechino. I cristiani cinesi erano stati appena imprigionati nella provincia dello Shantung (Shandong) come seguaci di una setta menzognera e sovversiva. Diversi gesuiti francesi si erano espressi a loro favore, sperando in un rilascio, attraverso un funzionario della corte di Manchu, Xao X’ang. Nonostante gli argomenti prodotti dei gesuiti, durante un colloquio, l’imperatore rifiutò di essere coinvolto. Fu allora che Xao (non il sacerdote) indicò all’imperatore che il monumento di Xi’an-fu «era una testimonianza che nel passato il cristianesimo era fiorito in Cina ed era stato considerato con onore dai suoi predecessori». Sembra che tale affermazione abbia suscitato una così grande curiosità nell’imperatore che questi chiese una copia dell’iscrizione del monumento. In seguito, l’imperatore adottò un atteggiamento più benevolo verso i cristiani in generale.

Un anno dopo, il fratello minore dell’imperatore fece visita agli stessi religiosi per porre loro domande sul cristianesimo. Specificamente, chiese se la religione che essi rappresentavano fosse la stessa che era penetrata in Cina nel passato. I gesuiti risposero affermativamente e spiegarono che il monumento di Xi’an-fu ne era una prova. Su questo si basò il rinnovato appello affinché il governo proteggesse i credenti cristiani. Un anno dopo l’evento, il 22 marzo 1692, l’imperatore Kangxi (1654-1722), della dinastia Qing, emanò l’Editto di Tolleranza, riconoscendo la Chiesa Cattolica, vietando gli attacchi alle sue chiese e alle sue missioni, e rendendo legale la pratica del cristianesimo da parte dei cinesi.

Chi erano esattamente questi nestoriani?

Una chiesa che oggi lotta per la sopravvivenza, la Chiesa d’Oriente, spesso chiamata, erroneamente, Chiesa nestoriana, ebbe l’onore di diffondere il Vangelo nel più vasto territorio nella storia della Chiesa: sicuramente molto più esteso di quello abbracciato dalle Chiese bizantina e latina. Alla fine del secolo III, il cristianesimo aveva raggiunto parte dell’Arabia e dell’India nordoccidentale. Un secolo dopo, troviamo cristiani in Khorassan (Iran orientale) che convertono i gruppi tribali turchi trasferitisi nella regione oggi conosciuta come Afghanistan del nord e Uzbekistan del sud. Le Chiese orientali avevano iniziato a costruire la propria identità con lingue e culture distinte da quelle delle Chiese di Alessandria, di Efeso, di Calcedonia o di Costantinopoli. A parte le differenze più ovvie di geografia e di lingue, la Chiesa d’Oriente si evolse con caratteristiche ecclesiastiche/politiche proprie. Questa branca della Chiesa Cattolica non ebbe mai né un “Costantino” né un supporto logistico a lungo termine come quello che in Occidente derivò da Costantino. E quella Chiesa non dovette mai portare nemmeno il peso di diventare una teocrazia. In Asia centrale, non vi sono esempi di cristianesimo che venga eletto religione “di Stato”. Sebbene vi fossero re e imperatori in Persia, Battria, Cina e Mongolia che in certi periodi tollerarono o addirittura sostennero la loro missione, i cristiani subirono decenni di persecuzioni con lo sfortunato risultato che la loro documentazione storica non conosce la medesima ricchezza di risorse delle Chiese latina e greca. Di conseguenza, la Chiesa d’Oriente non si servì mai della forza o della costrizione politica per diffondersi. Avanzò semplicemente lungo le principali vie commerciali, servendo piccole comunità di credenti, che parlavano sogdiano, la lingua franca delle vie della seta, e anche uiguro, turco antico, ongut e cinese. Sembra che in molte delle sue espressioni liturgiche la Chiesa d’Oriente si sia servita della lingua siriaca, ma il cristianesimo (a differenza dell’islam) non è stato mai legato a una lingua unica. In tutta la loro storia, le Scritture cristiane non sono mai state legate a una lingua singola.

All’inizio del quarto secolo, esistevano già sedi metropolitane nella penisola arabica, nella doppia città, Seleucia-Ctesifonte, ex capitale della Persia (19 miglia a nord-ovest di Baghdad). Teheran e Bàssora (anch’esse in Iraq), Mery (o Mary) (in Turkmenistan), Herat (nell’Afghanistan occidentale) e Sīstān (nell’Iran orientale) erano già state tutte fondate al massimo nel 424. Non più tardi del secolo VI, nella Cina occidentale vi erano testimonianze cristiane. A un certo punto, a Xi’an e a Pechino vennero stabiliti vescovati metropolitani, oggi dimenticati da tempo.

Indubbiamente, le molteplici regioni geo-etnografiche in cui esistevano espressioni e pratiche cristiane variavano l’una dall’altra, forse in modo significativo, e quindi il cristianesimo si adattò ai costumi e alle lingue peculiari di ogni luogo. Nello stesso tempo, ci si dovrebbe attendere somiglianze di fondo nella liturgia, nella teologia, e così via, tra le Chiese presenti in Iran e nella Cina occidentale, non solo perché esistono somiglianze fondamentali condivise in modo innato, ma in ragione dell’estesa rete intessuta da vescovi e vescovi “metropoliti” (vescovi di area). Forse, più di ogni altro veicolo, la comunicazione transfrontaliera e la comunione furono gli elementi più forti per il mantenimento della continuità di fede e di pratica.

E ancora il “monumento nestoriano” di Xi’an sembra essere particolarmente importante. Può fornire altri dettagli?

Sulla riscoperta del cosiddetto “monumento nestoriano”, c’è poco altro da dire, tranne che fornisce informazioni esclusive sul cristianesimo già giunto e che stava per giungere in Cina, informazioni che non si possono trovare in alcun altro testo storico o iscrizione su pietra. Alcuni storici sono molto sbrigativi nel limitare la diffusione e l’ambito dell’influsso del primo cristianesimo in Cina. Ma chi avrebbe potuto immaginare la natura della sua accoglienza, la profondità della sua partecipazione e la sua diffusione se non vi fosse stato quel monumento? Ci furono anche famiglie e capi militari influenti che avevano aderito al nestorianesimo e che fornirono un supporto importante per la sua diffusione nella società T’ang. I nestoriani arrivarono in Cina nel momento più favorevole per la propagazione di religioni straniere. Prima del 635, molti mercanti di origine persiana vivevano a Xi’an e, senza dubbio, tra di essi vi erano dei nestoriani. Quando il loro numero aumentò, il vescovo Alopen guidò una missione che arrivò nella città capitale della Cina T’ang onde servire la comunità nestoriana ivi presente. Alopen e il suo seguito furono ricevuti calorosamente dalla corte T’ang. Fu loro concessa l’autorizzazione a tradurre i sutra e a insegnare la dottrina. Questo era in armonia con l’ampia politica di tolleranza e con l’interesse nel promuovere le religioni straniere della società T’ang. Quando Alopen arrivò a Chang-an, i buddhisti, dopo aver rivaleggiato con il taoismo e con il confucianesimo alla ricerca di seguaci nella società T’ang, in Cina vantavano già cinque secoli di crescita senza interruzioni. Lo scenario religioso complesso della società T’ang, con buddismo, taoismo e confucianesimo che dominavano la scena da secoli, indicavano che i nestoriani non erano giunti in Cina in un periodo di vuoto filosofico e spirituale.

Nel 638, con l’aiuto di collaboratori cinesi, Alopen completò il primo libro cristiano in cinese: Il sutra di Gesù il Messia. Non si trattava di una traduzione, ma piuttosto di un adattamento libero atto a soddisfare i bisogni delle chiese a Xi’an. Gli studiosi ritengono che probabilmente l’originale fosse in lingua persiana o sogdiana invece che siriaca. Per esempio, il termine «Uo-li-si-liam» sembra essere una traslitterazione del nome “Gerusalemme” in lingua persiana.

In quel primo libro cristiano in cinese, Alopen si sforzò di mostrare che il cristianesimo non conteneva nulla di sovversivo nei confronti delle antiche tradizioni della Cina. Egli rilevò che la lealtà allo Stato e la pietà filiale nei confronti dei genitori non erano contrarie all’insegnamento cristiano. In effetti, il ritratto dell’imperatore T’ai Tsung (627-649), che, come si apprende dal “monumento nestoriano” del 781, fu dipinto su una parete della chiesa monastica nestoriana, ricorda quello dell’imperatore Giustiniano (483-565) nella chiesa bizantina di Ravenna. Ma il primo classico cinese non fu solo un’apologia del cristianesimo. Si trattava di un’introduzione alla fede cristiana. Per la prima volta veniva presentata ai lettori cinesi la vita di Cristo, dalla nascita alla Passione. Ci sono fondati motivi per ritenere che, al di fuori di Chang-an, vi fossero diversi altri monasteri nestoriani. A Loyang fu eretto un monastero nestoriano nel quartiere Shau-hsien e vi devono anche essere stati monasteri nestoriani a Tuan-huang, a Ling-wu e forse a Szechuan.

E tuttavia, poco dopo, il cristianesimo nestoriano fu sradicato dalla Cina. O almeno così si legge in diversi manuali. Che cosa è successo, esattamente?

È ben noto che il cristianesimo nestoriano subì una grave battuta d’arresto durante il regno dell’imperatrice usurpatrice Wu (624-705), donna di grande energia e abilità. Nel 690, si autoproclamò fondatrice della nuova dinastia Chou. Con la caduta della dinastia T’ang, in Cina vi fu un rapido declino del nestorianesimo. Si racconta che, nel 986, un monaco di Najran, il quale, nel 982, era sto inviato in Cina dal patriarca nestoriano, disse: «In Cina il cristianesimo è estinto; in un modo o nell’altro, i cristiani autoctoni sono morti; la loro Chiesa è stata distrutta e nel Paese è rimasto un solo cristiano». Tuttavia, a questa singola testimonianza è stato attribuito un peso storico eccessivo e non dovrebbe essere presa seriamente come fosse un resoconto accurato sull’intera Chiesa nestoriana cinese.

Alcuni insistono nel dire che la Chiesa nestoriana fosse formata da esuli provenienti dalla Persia e dall’Asia centrale. Quindi si è sostenuto che non si sia trattato di una forma cinese di cristianesimo e che ciò non provi che il cristianesimo abbia radici antiche in Cina. Come risponderebbe a questa obiezione?

Il semplice fatto che la liturgia religiosa del “monumento nestoriano” sia scritta in cinese è sufficiente a dimostrare che nelle comunità nestoriane vi devono essere stati diversi cinesi. Inoltre, nella persecuzione delle religioni dell’845 si apprende che, oltre a monaci stranieri di origine persiana o centroasiatica, erano presenti anche monaci cinesi che servivano la Chiesa nestoriana. Come i buddhisti e i taoisti, anch’essi furono obbligati a tornare allo stato laicale, a riprendere il proprio lavoro originario e a pagare le tasse. Non è noto in quale misura il cristianesimo sia sopravvissuto in Cina, ma sradicare qualsiasi confessione religiosa è opera notoriamente difficile. Non ci sono dubbi sulla presenza del cristianesimo in Asia centrale. Gli scrittori siriaci e i primi storici musulmani citano comunità cristiane in Asia centrale. Nel secolo XIII, quando Rabban Sauma (1225-1294 circa) tornò in Occidente viaggiando dalla Cina nell’Asia centrale, riferì notizie riguardanti le comunità cristiane presso le quali soggiornò. Inoltre, sempre nel secolo XIII, si registra un incontro tra un capo cristiano (Tarsā) e il taoista Changchun (1148-1227) durante i viaggi compiuti da quest’ultimo in Asia centrale per incontrare Genghis Khan (1162–1227 circa). La nostra conoscenza della Chiesa d’Oriente in Cina è stata accresciuta da diversi testi cristiani scritti in cinese scoperti a Dunhuang frammezzo a una grossa quantità di testi buddhisti. Questi documenti probabilmente provenivano da un monastero cristiano di Dunhuang (l’antica Shazou). Comprendono inni e sermoni. Gli ultimi sono stati chiaramente composti per un uditorio cinese, utilizzando materiale scritturistico in siriaco, ma non si tratta di traduzioni letterali. Il loro scopo principale era quello di dimostrare alle autorità confuciane che il monoteismo cristiano era filosoficamente sano e che i cristiani aderivano ai princìpi morali ed etici più elevati.

E i collegamenti tra la Cina e Samarcanda furono continui e importanti a ogni livello. Che cosa si può dire dei cristiani in questo contesto?

Sembra che Samarcanda sia stata il centro principale della Chiesa d’Oriente in Asia centrale al tempo dell’arrivo dei cristiani siriaci orientali nella capitale cinese di Xi’an, nel 635. Vi potrebbe essere stato un centro metropolitano ancora più a est, a Kashgar (Kāshi) nel secolo VIII o nel secolo IX, ma non ne abbiamo conferma fino al secolo XII. Sebbene a Samarcanda non siano stati scoperti edifici cristiani antichi, Marco Polo (1254-1324), quando visitò la città nel 1272, riferì di aver visto una chiesa circolare dedicata a Giovanni Battista. Anche l’alto conestabile armeno Sempad (1208-1276) aveva visitato la città nel 1248 e afferma di aver visto una chiesa in cui ha notato un dipinto di Gesù e dei tre Magi.

A Urgut, 40 chilometri a sud di Samarcanda, in Uzbekistan, sono state scoperte diverse iscrizioni su pietra, redatte in siriaco e con croci scolpite, datate al secolo IX. I recenti scavi archeologici compiuti nelle vicinanze hanno portato alla luce una struttura che è stata identificata come un edificio cristiano. Potrebbe essere stato il sito del monastero descritto dal cronista musulmano Ibn Hawqal (?-978) quando visitò l’area, intorno al 969. Egli scrive: «Vicino a Samarcanda si può vedere un monastero dei cristiani, in cui essi si riuniscono e hanno le proprie celle. Ho incontrato molti cristiani dell’Iraq che si sono trasferiti qui a motivo del luogo bello e remoto, e del clima salubre». Inoltre, a sud di Samarcanda, nella città eftalita di Penjikent, in Tagikistan, è stato trovato un ostracon del secolo VIII con alcune righe della versione dei Salmi della Peshitta, scritte in siriaco. E a Termiz, in Uzbekistan, accanto al fiume Oxus, gli archeologi hanno scoperto due chiese e un battistero.

Alcune scoperte archeologiche suggeriscono una connessione con la Cina?

Sì e, naturalmente, in futuro ci saranno altre scoperte. Nel 1995 è stato scoperto, a Turfan, l’inno cristiano Gloria in excelsis Deo, scritto in sogdiano attorno al secolo VIII. Considerando che il sogdiano era una delle lingue principali delle vie della seta, è probabile che questo documento sia arrivato in Cina e sia stato usato da una comunità cristiana. Una versione cinese dell’inno fu anche tradotta dal siriaco. Nel 2009, un sito cristiano scoperto in Cina è stata confermato essere un luogo storico della Chiesa assira della Cina orientale (ancora i cosiddetti nestoriani). Nelle grotte di Logmen, al centro della provincia dello Henan, è stato scoperto un sepolcro con ceneri e con ossa di cristiani. Viene descritto come una nicchia in un muro di pietra, con una croce sopra di esso.

Alcuni potrebbero ritenere che ciò sia importante solo per gli storici e per gli archeologi. Lei sembra invece suggerire che queste scoperte archeologiche siano importanti per la situazione attuale del cristianesimo in Cina. Può spiegare perché?

Sì, le implicazioni di queste scoperte sono oggi difficili da comprendere. Ogni volta che il cristianesimo viene identificato come fenomeno occidentale, cioè sostanzialmente estraneo al mondo cinese, una certa mitologia di vecchia data riprende fiato. Si tratta di una mitologia che serve per recidere ogni legame tra la Cina moderna e l’antica presenza cristiana. Ma questa mitologia viene alimentata soprattutto da mezze verità o da interpretazioni storiche che forniscono prove inconcludenti, come il fatto che, alla fine, in Cina il cristianesimo antico non sia mai riuscito a integrarsi perché per i cinesi non è mai diventato sufficientemente indigeno. I cristiani sono rimasti cioè troppo stranieri e missionari perché il cristianesimo potesse diventare cinese. Naturalmente, è un punto difficile da comprendere pienamente sia un senso sia nell’altro. L’unico posto al mondo in cui il cristianesimo non è straniero è Gerusalemme. Un punto di vista opposto, a volte collegato alla suddetta “mitologia”, è che il cristianesimo, dopo il secolo VIII, è diventato troppo sincretistico, adottando termini buddhisti o taoisti, immagini simboliche, e così via. Alla fine le Chiese persero la propria identità e si sforzarono di diventare asiatiche. A parte la mancanza di prove per questa ipotesi, è un errore presumere che le strategie sincretistiche debbano comportare per forza un’eclissi dell’identità originaria. La prevalenza di manichei in Asia è un buon caso a sostegno. I manichei sono durati più a lungo nei contesti asiatici che non nell’impero romano, nonostante la loro tendenza ad assorbire le usanze religiose, in tema di costumi e di pratiche, dei buddhisti e di altri attorno a loro. Perché i luoghi in cui la loro fede cristiana avrebbe potuto prosperare meglio dipendevano semplicemente dal clima geografico, sociale e politico che trovavano.

Il fatto che il cristianesimo sia stato perseguitato non dovrebbe portare a concludere che esso veniva percepito come estraneo e quindi incompatibile con l’ethos cinese?

In effetti un altro elemento di quella mitologia è dire che, poiché si presume che la ragione della sua scomparsa sia quella, il fatto che il cristianesimo sia stato cacciato dalla Cina dalle dinastie successive o dalla persecuzione indichi che esso dev’essere stato incompatibile con i cinesi. Si può anche essere tentati di pensare che le confessioni cristiane che vennero molto dopo con i neerlandesi, gli inglesi, gli statunitensi e gli altri siano sempre un altro flusso che tenta di privare la Cina della sua vera identità e della sua vera cultura. Ma vorrei ribadire che i cristiani provenienti dall’Europa e dall’America Settentrionale traevano origine dal cristianesimo che era nato nell’impero romano, e che una vasta parte di esso è diventato ciò che viene chiamato “Occidente”. I cristiani che si sono diffusi in Cina, e che hanno vissuto alti e bassi religiosi, traevano origine da una radice diversa, ma parallela della genealogia cristiana, cioè dai persiani, dai siriaci e dagli arabi. È ai luoghi abitati da costoro che il “Ta-Xin” del “monumento nestoriano” si riferisce.

Un’altra ipotesi è che i cristiani cinesi, al manifestarsi dell’islam, si siano convertiti in massa, portando quasi all’estinzione il cristianesimo, il che si pensa provi che l’islam è meno estraneo all’ethos cinese del cristianesimo. È una ipotesi confermata da fatti storici?

Nessuno studioso recente l’accetta. È necessario esaminare l’Asia centrale durante la Pax mongolica per comprendere che il cristianesimo non venne totalmente eclissato dall’islam nel periodo che va dal secolo VII al XII. All’inizio del secolo XIII, diverse tribù asiatiche avevano cristiani tra i propri membri. Tra queste tribù vi erano i Naiman, i Merkit, gli Önggüt, i Kerait, i Tangut e i Qara Khitai. Tuttavia, qualsiasi ipotesi che sostenga che tribù intere si siano convertite al cristianesimo dev’essere vagliata con attenzione. Dalla metà del secolo XIII, si sa di cristiani presenti tra i mongoli attraverso i resoconti di messi papali e di mercanti che viaggiavano nell’Asia centrale fino alla corte di Gran Khan. In particolare, i missionari latini Giovanni da Pian del Carpine (1182-1252) e William di Rubruck (1220-1293 ca.), al loro arrivo tra i mongoli, riferiscono della tolleranza religiosa di quel popolo e dell’influsso esercitato da cristiani “nestoriani” che vivevano nelle terre mongole. A quanto pare, Rubruck dice di essere stato testimone del battesimo di sei persone la vigilia di Pasqua e del fatto che, nella chiesa vicino a Karakorum, i “nestoriani” celebravano l’Eucarestia. Sicuramente quando la potenza mongola si dissolse, la situazione per i cristiani divenne molto più precaria. Ma qui si apprende ancora dell’incontro fra cristiani occidentali e cristiani asiatici, e che questi ultimi esistevano ancora in numero sufficiente per parlare delle chiese che dovevano costruire.

In conclusione, lei sostiene che tutti dovrebbero ormai accettare come dato di fatto che il cristianesimo non sia un fenomeno importato in Cina in tempi recenti, ma che vi sia presente da tempi immemorabili?

Ciò che direi è che, nonostante le grandi distanze che le separavano dalla loro patria spirituale, in Asia centrale e in Cina le comunità cristiane fiorirono. Il fatto che vi riuscirono è una testimonianza della loro forza e del loro senso d’identità come minoranze in un ambiente ostile. In queste aree, il cristianesimo è sempre rimasto una religione minoritaria: tuttavia il suo messaggio e il suo influsso sono sicuramente stati riconosciuti da diversi sovrani nel corso dei secoli. Che i Jingjjao, i nestoriani cinesi, si siano estinti è un fatto impossibile da provare, anche se comunemente lo si suppone. È altrettanto possibile che quanto restava dell’antico cristianesimo asiatico sia stato lentamente assimilato dalle missioni europee, che hanno continuato a penetrare in Asia e in Cina nei secoli successivi. Se questo modo di vedere le cose è corretto, non sorprende allora che rimangano tracce di Jingjiao, ovvero di cristianesimo “nestoriano”. Nondimeno rimane assodato il fatto storico che le radici della presenza del cristianesimo in Cina risalgano all’antichità. Alcuni cinesi affermano che il cristianesimo è estraneo alla Cina, ma allora sarebbe altrettanto corretto sostenere che esso è estraneo anche a tutto l’Occidente. Il messaggio cristiano giunse in Irlanda più o meno nello stesso tempo in cui entrò in Cina. Dobbiamo riconoscere che il cristianesimo gode di un retaggio antico sia in Oriente sia in Occidente. Se ne esiste una, la differenza tra le due è che in Occidente la “luce” cristiana si sta lentamente spegnendo mentre in Oriente potrà pure essere perseguitata, ma sta crescendo rapidamente e sta esercitando un impatto importante sulla cultura cinese.

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Bitter Winter intende riferire sul modo in cui alle religioni sia consentito o meno operare in Cina e sul modo in cui alcune di esse siano gravemente perseguitate dopo essere state etichettate come “xie jiao”, ovvero come “insegnamenti eterodossi”. Abbiamo intenzione di pubblicare notizie difficili da trovare altrove, analisi e dibattiti.

Posta sotto la direzione di Massimo Introvigne, uno dei più famosi studiosi delle religioni a livello internazionale, Bitter Winter è un’impresa condivisa da studiosi, attivisti dei diritti umani e membri di organizzazioni religiose perseguitate in Cina (alcuni di essi hanno scelto, per ovvie ragioni, di rimanere anonimi).

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