Dopo la visita ai campi per la trasformazione attraverso l’educazione, Olzi Jazexhi ha dichiarato che quelle strutture sono prigioni, non scuole. Il Partito si è subito vendicato
Massimo Introvigne
La settimana scorsa il campione della squadra di calcio dell’Arsenal Mesut Özil ha denunciato la persecuzione che gli uiguri e i musulmani di altre etnie turcofone subiscono nei famigerati campi per la trasformazione attraverso l’educazione. Il Partito non solo ha minacciato l’Arsenal di cancellare i redditizi contratti che la squadra ha in corso con la Cina, ma ha anche proposto a Özil di visitare i campi. «Invitiamo Özil a venire nello Xinjiang se ne ha la possibilità, per fare un giro e guardarsi attorno», ha detto Geng Shuang, il portavoce del ministero degli Esteri cinese. «Se ha una coscienza ed è in grado di distinguere il bene e il male e sostenere i principi di obiettività e correttezza, troverà uno Xinjiang ben diverso».
Presumibilmente il PCC crede che i calciatori debbano essere davvero ingenui. È vero che migliaia di ospiti stranieri hanno brindato e mangiato a spese del Partito nella regione, e che alcuni di loro hanno riportato che i campi per la trasformazione attraverso l’educazione sono semplicemente gradevoli “scuole”, ma più di una volta la propaganda si è ritorta contro le sue intenzioni.
Un caso emblematico in cui qualcosa è andato storto è quello di Olzi Jazexhi, uno storico canadese di origini albanesi che insegnava all’Università Aleksandër Moisiu di Durazzo, in Albania. Jazexhi esprime apertamente le proprie critiche nei confronti dell’amministrazione Trump e dell’influenza statunitense in Albania. Per questo motivo, è stato invitato a partecipare a un convegno nello Xinjiang durato dal 16 al 24 agosto di quest’anno, che prevedeva spese pagate e la visita ad alcuni campi per la trasformazione attraverso l’educazione.
Jazexhi, come ha poi raccontato, vi è giunto con «una visione positiva della Cina e della sua politica estera» e convinto che «le notizie in base a cui la Cina stesse costruendo dei campi di internamento e perseguitando gli uiguri sembravano incredibili». Una volta nello Xinjiang, però, Jazexhi è stato sottoposto a una propaganda anti-uigura e antimusulmana addirittura spudorata e ha «visitato i centri di detenzione di massa… che i nostri amici cinesi chiamano istituti di formazione professionale, ma che si vede bene che sono una sorta di Inferno», ha affermato.
Nelle interviste e nei video su YouTube, Jazexhi ha raccontato di essere stato accolto nella Scuola per la formazione professionale della contea di Onsu (Wensu), in realtà un campo per la trasformazione attraverso l’educazione, nella prefettura di Aksu, da uomini e donne uiguri che danzavano e cantavano. «Abbiamo capito che si trattava di una montatura e abbiamo detto agli amici cinesi che non eravamo lì per una festa… Volevamo indagare su ciò che stava succedendo: chi fosse quella gente, quali reati avessero commesso e perché venissero trattenuti lì».
Benché gli avessero detto che non era permesso intervistare in privato i detenuti, Jazexhi tuttavia è riuscito a chiedere all’“insegnante” perché quelle persone fossero trattenute contro
la loro volontà.
«[L’insegnante] mi stava raccontando che si trattava di una scuola per la formazione professionale, ma quando gli ho chiesto se chi era lì fosse libero di tornare a casa, mi ha risposto “No, non può andarsene”». «In un certo senso queste parole sono state la prova per noi che si tratta di prigioni, in cui questi giovani vengono condotti contro la loro volontà».
I detenuti che avevano il permesso di parlare gli hanno detto di non credere più nell’islam, ma solo «nella scienza e nel Partito Comunista», e hanno risposto alle sue domande in cinese. «Visitando questi centri di detenzione di massa abbiamo capito che [i detenuti] hanno il divieto totale di parlare la lingua uigura e sono costretti a parlare esclusivamente in cinese, e che debbono abbandonare la propria religione». Se vogliono avere la minima speranza di tornare a casa, ha concluso Jazexhi, i detenuti «debbono rinunciare alla propria identità uigura, a Dio, alla fede nell’islam, alla lingua uigura e, al contrario, debbono parlare sempre in cinese mandarino e riconoscere la supremazia del Partito Comunista».
Tutto ciò è accaduto alla fine di agosto. Quando Jazexhi si trovava ancora nello Xinjiang, gli è stato detto che non avrebbe dovuto riportare nulla di negativo rispetto alla sua visita, o sarebbero stati guai. Ma l’uomo ha ignorato l’avvertimento ed è scattata la vendetta. L’Albania è uno degli Stati membri fondatori della Cooperazione Cina-CEEC (o PECO, Paesi dell’Europa centrale e orientale), che fa parte della Belt and Road Initiative. La Cina ha grande influenza in Albania e sta lentamente riguadagnando la posizione che occupava durante il regime sanguinario di Enver Hoxha (1908-1985), cioè quella di principale partner politico ed economico del Paese. In dicembre è stato comunicato a Jazexhi, studioso ben noto e con varie pubblicazioni al suo attivo, che per il prossimo semestre non gli sarebbe stato affidato alcun corso nell’università albanese in cui lavorava. Nessuno gli ha dato alcuna motivazione, ma Jazexhi l’ha potuta facilmente immaginare. Il lungo artiglio del drago cinese è arrivato fino a un’università di Durazzo, in Albania, per insegnare a Jazexhi e al mondo che chi si rifiuta di diffondere le fake news del Partito sarà punito. Le proteste dei media canadesi sono state bellamente ignorate.
Questa vicenda mi tocca personalmente, poiché ho raccontato in un documentario le intollerabili interferenze del PCC anche all’estero e ho vissuto un’esperienza simile. Sono uno studioso che si occupa di nuovi movimenti religiosi e pertanto ho preso in esame la Chiesa di Dio Onnipotente, il movimento religioso più perseguitato oggi in Cina. Nel 2017 sono stato invitato dal governo cinese a due seminari dedicati a questa Chiesa, che prevedevano che io e altri studiosi potessimo intervistare «ex fedeli riformati», autentici o meno, di tale movimento duramente perseguitato. Si trattava però di mistificazioni sfacciate e non troppo raffinate, oppure di vittime terrorizzate dei maltrattamenti della polizia.
Proprio come Jazexhi, mi sono recato in Cina senza preconcetti e pronto ad ascoltare la versione cinese della vicenda, ma ne sono tornato pienamente persuaso che le accuse mosse alla Chiesa di Dio Onnipotente fossero fake news costruite ad arte dalla propaganda del Partito. Personalmente non percepisco uno stipendio da alcuna istituzione pubblica e pertanto il PCC non è in grado di colpirmi con il “metodo Jazexhi”. Sia io che altri studiosi che la pensano come me, tuttavia, siamo spesso oggetto di oscure campagne di diffamazione, ancor più da quando abbiamo iniziato a pubblicare Bitter Winter. Il Partito non è interessato a un dibattito aperto a proposito di libertà religiosa e diritti umani. Preferisce comprare, corrompere o intimidire. Comportandosi in tal modo, però, il PCC mostra ancora una volta il suo vero volto e conferma quella natura assolutamente malvagia che le fake news cercano di negare.