Sun Juchang e sua moglie Jiang Shuhong hanno trascorso complessivamente 1.382 giorni in prigionia, per le loro battaglie in favore della libertà della persona
Sun Juchang ha patito molte sofferenze in balia del PCC. È stato detenuto illegalmente. È stato picchiato fino a rimanere quasi paralizzato. Vive sotto sorveglianza costante. Infine, il PCC ha occupato la sua terra: il 27 luglio i funzionari del villaggio si sono impossessati con la forza di un appezzamento di terreno di sua proprietà e vi hanno costruito delle case.
Tutte queste sofferenze, per il coraggio di difendere i propri diritti umani fondamentali…
Sun Juchang proviene dal villaggio di Huang’anzi, che si trova sotto l’amministrazione del borgo di Tianheng, nel distretto Jimo della città di Qindao, nella provincia orientale dello Shandong.
L’inizio del suo incubo risale all’aprile del 2002, quando Sun Juchang è stato selezionato dal Qingjian Group, una azienda edile di proprietà statale con sede a Qindao, per occuparsi di un progetto edilizio in Algeria. Era stato attirato dalla lusinga di un anticipo di 13mila renminbi (circa 1.900 dollari statunitensi), ma non appena sceso dall’aereo il direttore generale della compagnia, Liu Jianxiang, e i suoi vice, di nome Liu Anhua e Liu Fuhua, gli hanno preso il passaporto.
Secondo Sun Juchang, il Qingjian Group è implicato in pratiche di assunzione illegali, sfrutta i lavoratori ed evita con mille stratagemmi di firmare regolari contratti di lavoro. In Algeria gli operai erano obbligati a fare gli straordinari, anche di sera dopo un turno di 12 ore a tempo pieno. Non avevano diritto a giorni di riposo, non avevano vacanze e percepivano stipendi miseri. Avvenivano numerosi incidenti a causa di pratiche illegali o della eccessiva stanchezza data dal lavoro edile, che spesso portavano a gravi ferite e talvolta alla morte. Gli operai (o le loro famiglie) non sono mai stati risarciti, né in un caso né nell’altro.
Consapevole di quanto fosse ingiusto tutto ciò, Sun Juchang ha richiesto che il Ministero del commercio cinese agisse pubblicamente contro il Qingjian Group, e che rivelasse che la compagnia non proponeva contratti di assunzione regolari ai lavoratori all’estero e che si rifiutava categoricamente di garantire un’assicurazione in caso di incidenti sul lavoro.
Naturalmente il ministero del Commercio ha opposto il proprio rifiuto, e da lì è partita la vendetta brutale del Qingjian Group contro Sun Juchang.
«Il giorno 11 dicembre 2003, nell’ufficio del cantiere, Liu Jianxiang e altri hanno ordinato ad alcuni teppisti di picchiarmi selvaggiamente utilizzando spranghe di ferro di quasi due centimetri di diametro. Mi hanno spaccato la testa e provocato ferite dappertutto, anche sulla nuca e sulle vertebre lombari. Sono stato otto ore in coma. Sono sopravvissuto solo grazie a un intervento d’urgenza in ospedale». Questo è ciò che Sun Juchang ha scritto della sua terribile esperienza.
«In seguito, non ho ricevuto alcun trattamento di controllo, né hanno permesso che la polizia algerina intervenisse per capire cosa fosse successo. Invece, sono stato rinchiuso in una stanzetta in una segheria nei sobborghi di Orano – una delle principali città costiere del nord-ovest dell’Algeria – dove mi hanno trattenuto illegalmente».
Sun Juchang è stato rinchiuso in questa prigione improvvisata per 70 giorni, benché stesse ancora riprendendosi dalle ferite provocategli dal pestaggio. In questo periodo è stato insultato in continuazione, umiliato e aggredito fisicamente da Liu Fuhua e da altri.
Il 18 febbraio 2004 è stato rilasciato, ed è tornato in Cina.
Dopo il suo rientro, è stato sottoposto a un intervento chirurgico e a trattamenti successivi all’ospedale Haici di Qindao; più tardi, le autorità competenti hanno riconosciuto la sua disabilità. Da quel momento in poi, si è impegnato in un cammino lungo e pieno di sfide pur di difendere i propri diritti.
Per prima cosa, Juchang ha raccolto numerose prove e ha presentato una istanza di reclamo agli uffici competenti dell’amministrazione comunale di Qindao e all’amministrazione provinciale dello Shandong. Nessuno, però, si è occupato del suo caso. O meglio, nessuno l’ha fatto eccetto l’Ufficio petizioni dell’amministrazione comunale di Qindao, che l’ha minacciato di nuovi pestaggi per rappresaglia. Di nuovo, Sun Juchang si è presentato a farne richiesta a Pechino.
Tutto ciò ha nuovamente provocato le ire dei funzionari dell’Ufficio delle petizioni di Qindao, dell’Ufficio della sicurezza pubblica, e di altri dipartimenti governativi, tanto che si sono accordati con il Qingjian Group per condurre una rappresaglia spietata contro di lui.
A partire dal 29 maggio 2006, Sun Juchang è stato molte volte a Pechino per presentare la propria istanza, ma ogni volta è stato sequestrato da qualcuno mandato dalle autorità, che l’ha inviato nuovamente a Qindao dove è stato detenuto in un centro di educazione legale nel villaggio di Louzituan, che si trova sotto l’amministrazione del sotto-distretto di Tongji, nel distretto di Jimo. Si tratta di un centro di detenzione extragiudiziale istituito soprattutto per i dissidenti e per coloro che presentano istanze in cerca di giustizia.
A dicembre dello stesso anno, dopo che le autorità hanno potuto istituire delle accuse contro di lui, Sun Juchang è stato spostato da un centro di educazione alla legalità a un campo “per la rieducazione attraverso il lavoro”, dove è stato imprigionato illegalmente per più di un anno e mezzo.
Mentre si trovava lì, spesso è stato picchiato da altri prigionieri incitati dalle guardie. Di conseguenza Sun Juchang, che era già disabile, è rimasto paralizzato. Ciononostante, al campo di lavoro hanno rifiutato la sua richiesta di un consulto medico esterno.
Il 6 giugno 2008, al termine del percorso di “rieducazione attraverso il lavoro”, Sun Juchang è stato mandato fuori dal campo praticamente in fin di vita. Il primo di luglio, lui e sua moglie, Jiang Shuhong, sono stati nuovamente rinchiusi in un centro di educazione alla legalità e vi sono rimasti per cinque mesi.
Nulla di tutto ciò ha dissuaso quest’uomo dal tentativo di difendere i propri diritti e i propri interessi, e quelli di sua moglie.
Purtroppo, però, ecco risuonare il solito motivetto: ogni volta che cercava di raggiungere Pechino per presentare una istanza, lui e sua moglie erano prelevati dalle autorità e rispediti al centro di educazione legale della città di Jimo. Nel corso del 2009, ciascuno dei due ha trascorso sei mesi lì, in prigione. Di nuovo, Sun Juchang è stato torturato crudelmente e sottoposto a trattamenti di brutalità inaudita.
«Io non posso occuparmi di me stesso, eppure sono stato rinchiuso in uno sgabuzzino buio, pieno di rifiuti sanitari, in fondo a un corridoio al secondo piano dell’Ospedale centrale del villaggio di Daxin, completamente isolato dal resto del mondo»: questo è ciò che ha raccontato di quei giorni bui, durante la sua prigionia che è durata da agosto a novembre del 2009.
«Per distruggermi psicologicamente, hanno tolto dalla stanza qualsiasi cosa che avesse anche una piccola scritta che io potessi leggere, fino al più piccolo pezzo di carta. Hanno chiuso le tende e mi hanno tolto completamente ogni traccia di luce solare. Quando faceva caldo, [la polizia] ha fatto apposta a chiudere la porta e la finestra. Quando sporcavo il letto di feci e urina, nessuno se ne occupava. La stanza era piena di mosche che svolazzavano e di vermi sul pavimento. Spesso mi hanno privato di acqua e di cibo per molti giorni di fila. Quando avevo sete e chiedevo di bere, un agente di polizia con il tesserino 152105 ha riempito di urina una bottiglia di plastica e me l’ha spinta in bocca. Spesso entrava, con una maschera indosso, e mi prendeva a pugni in testa e in faccia. Perdevo sangue dal naso e dalla bocca, e addirittura schizzava sul muro».
Per nascondere la verità, il 25 aprile 2012 i funzionari dell’amministrazione comunale di Qindao hanno istituito una “prigione domiciliare” per Sun Juchang e sua moglie, con la scusa di “mantenere la stabilità”.
Sono state installate telecamere di sorveglianza dentro e fuori la loro abitazione, senza alcun punto cieco. La polizia ha inviato i propri agenti a casa della coppia, con l’intento di impedire ogni libertà. Si trovano tutt’ora agli arresti domiciliari.
Il 2 luglio 2017 Sun Juchang ha ricevuto una convocazione giudiziaria da parte del Tribunale del popolo del distretto Dongcheng di Pechino. La coppia aveva programmato di viaggiare in autobus fino a Pechino, ma sono stati intercettati da alcuni agenti della stazione di polizia locale e da addetti dell’Ufficio delle petizioni, e sono stati picchiati e umiliati. Lui perdeva sangue dalla bocca, non riusciva a parlare. Di nuovo, un impiegato del governo l’ha minacciato: «Il governo è pronto a tenerti gli occhi addosso per altri cinquant’anni, non puoi scappare in nessun posto!».
Non si trattava di allarmismo. Si è poi saputo che l’8 giugno 2017 Sun Juchang aveva in programma di recarsi all’Ufficio della sicurezza nazionale per richiedere un passaporto finalizzato a ottenere cure mediche all’estero. Durante il tragitto è stato fermato da agenti di polizia e impiegati governativi del borgo di Tianheng
«La struttura legale del Paese è morta. Ciò che chiamano “governo del Paese fondato sulla legalità” è una menzogna ormai defunta».
Servizio di Li Mingxuan