L’attivista, che ha denunciato le atrocità che si consumano in Cina, rimane in custodia almeno fino al 10 luglio. Continuano intanto le pesanti pressioni cinesi sul Kazakistan
Massimo Introvigne
Il 7 giugno la Corte di giustizia di Nur-Sultan (già Almaty) ha stabilito di trattenere Serikzhan Bilash agli arresti domiciliari fino al 10 luglio.
Bilash, leader dell’organizzazione Atajurt, si trovava già ai domiciliari in attesa di processo dopo l’arresto avvenuto il 10 marzo con l’accusa di «incitamento all’odio etnico». L’uomo aveva infatti raccolto le informazioni fornite da persone residenti in Kazakistan sui parenti di queste che vengono perseguitati in Cina e le aveva messe a disposizione delle organizzazioni internazionali per i diritti umani.
Il pubblico ministero si è focalizzato su una presunta dichiarazione dell’attivista che esortava allo «jihad contro i cinesi» e ha esibito un video dell’intervento dell’accusato a un raduno pubblico tenutosi a febbraio. Bilash, tuttavia, sostiene che le parole che si sentono nel video siano state estrapolate dal contesto.
Il famoso avvocato Aiman Umarova ha preso parte all’udienza tenutasi ad Almaty, chiedendo alla corte il rilascio su cauzione dell’imputato. Il giudice ha però respinto la richiesta e stabilito di trattenere l’imputato ai domiciliari almeno per un altro mese.
Durante l’udienza, alcuni manifestanti hanno dato vita a proteste con cartelloni con scritto «Cina fermati!» e chiesto alla corte di rilasciare il leader di Atajurt sostenendo che dietro la sua detenzione vi siano le pressioni di Pechino.