Il governo cinese giustifica la repressione religiosa usando i missionari che vengono dai Paesi esteri
La colpa è degli americani. La colpa è dei coreani. La colpa è degli altri missionari stranieri che si infiltrano in Cina per diffondere un messaggio evangelico che costringe il governo alla repressione. È questa la motivazione addotta dal vicesindaco della città di Botou, nella provincia settentrionale dell’Hebei, che il 17 ottobre ha organizzato una riunione per discutere di come contrastare le infiltrazioni in ambito religioso a cui hanno partecipato circa 200 persone.
A causa di questi stranieri, ha detto, il governo è costretto a controllare rigorosamente la propaganda cristiana. Quindi, chi sorprendesse qualcuno a diffondere il Vangelo, dovrà immediatamente segnalarlo e sarà ricompensato.
Durante l’incontro, i funzionari pubblici hanno affermato che le principali chiese illegali sono quelle domestiche, che per questo vanno colpite con durezza e chiuse. Dal canto proprio, il vicesindaco ha sottolineato che, a prescindere dalla denominazione, qualsiasi luogo di incontro che non richieda l’approvazione del governo è illegale ed esercita un’influenza ostile che deve essere punita con severità.
Secondo le informazioni raccolte, al loro ritorno al villaggio alcuni responsabili locali hanno usato degli altoparlanti per intimare ai cristiani di rinunciare alle proprie convinzioni religiose, minacciandoli sennò di annullarne tutti i benefici sociali.
Bitter Winter ha già riferito di pastori di Chiese domestiche accusati di essere legati a realtà straniere solo perché avevano acquistato dei libri religiosi dalla Corea del Sud e di come per questo i luoghi di incontro delle loro comunità siano stati chiusi. Il PCC ha pure arrestato e rimpatriato alcuni missionari giunti in Cina come pastori, e i pastori stranieri che ancora non sono stati rimpatriati si trovano in gravi difficoltà.
Per evitare il rimpatrio e nascondere la propria identità, il pastore della Chiesa presbiteriana coreana Wu e sua moglie sono costretti a svolgere un’attività commerciale in una città nella zona sud-orientale del Shandong, provincia della costa orientale.
«Il governo comunista non permette ai pastori di entrare», ha detto il pastore Wu. «Se avessi detto che ero un pastore, mi sarebbe stato immediatamente negato il visto. Per entrare in Cina abbiamo quindi dovuto dichiarare di essere qui per affari».
Il pastore ha riferito che l’Ufficio per gli affari religiosi tiene un archivio pieno d’informazioni sui missionari coreani e che quasi tutti quelli che parlano cinese sono stati costretti a rimpatriare.
Malgrado ciò, secondo le informazioni che abbiamo raccolto, Wu e sua moglie sono tenuti sotto costante osservazione, e la loro casa e i loro cellulari sono sorvegliati dal PCC. La polizia li chiama spesso per informarsi su cosa facciano.
La moglie di Wu ha aggiunto: «Un funzionario dell’ufficio sottodistrettuale fa spesso domande su cosa facciamo per mantenerci, quando usciamo di casa e quando torniamo». Per questo, quanto parlano con lui al telefono, i cristiani si rivolgono a Wu chiamandolo “capo”, invece che “pastore”, onde evitare di rivelarne l’identità.
Per rafforzare le misure contro le infiltrazioni religiose, e spezzare così del tutto il legame tra cristiani locali e gruppi religiosi stranieri, il PCC non si limita ad arrestare e a rimpatriare i missionari stranieri, ma impedisce anche ai cristiani cinesi di recarsi all’estero per studiare teologia.
Il 14 novembre, la missionaria Xu Xin della Eternal Life Christian Church di Fuzhou si è recata al Consolato generale degli Stati Uniti di Guangzhou, una città nella provincia costiera meridionale del Guangdong, per richiedere un visto, volendo andare a studiare al Christian Witness Theological Seminary. Dopo il colloquio con il console statunitense, però, un impiegato cinese l’ha interrogata, e quando ha scoperto che la donna è una fedele di una Chiesa domestica, ha subito respinto la sua domanda.
«Per andare negli Stati Uniti a studiare», le ha detto il console americano, «deve ottenere l’approvazione del governo cinese».
Ai sensi della nuova Normativa sugli affari religiosi, entrata in vigore nel febbraio 2018, «organizzare l’uscita dal Paese dei cittadini che si rechino all’estero per ricevere formazione religiosa» è illegale.
(Tutti i nomi usati sono pseudonimi)
Servizio di Yang Xiangwen