Durante l’epidemia, gli abitanti della provincia da cui si è diffuso il virus venivano evitati e molestati, ma le vessazioni e gli abusi continuano
di Deng Jie
Sin dall’inizio dell’epidemia di coronavirus, il PCC ha diramato numerosi ordini con cui ha chiesto alle autorità di ogni livello e anche ai semplici cittadini di monitorare gli abitanti di Wuhan, la città nella provincia centrale dell’Hubei dove ha avuto origine il contagio. Le persone di quella zona sono state, per così dire, tenute sotto la lente d’ingrandimento. Di conseguenza, persone innocenti e accusate ingiustamente di diffondere il virus sono state isolate e discriminate. Ancora oggi, sebbene il blocco di 76 giorni di Wuhan sia stato revocato l’8 aprile, molti di loro continuano quotidianamente a subire abusi.
Il 28 gennaio è stato licenziato un abitante dell’Hubei che lavorava a Guangzhou, capitale della provincia meridionale del Guangdong. Il suo superiore ha spiegato che l’amministrazione locale gli aveva detto di «occuparsi in modo particolare delle persone originarie dell’Hubei», il che significa che non avrebbero dovuto essere autorizzate a lavorare. Anche se l’uomo non si recava a Wuhan da cinque anni gli è stato ordinato di andarsene. Inoltre, gli è stato anche detto di lasciare immediatamente la comunità residenziale dove viveva. I funzionari di quartiere del villaggio in cui risiedeva gli hanno detto che «il governo centrale aveva ordinato di allontanare tutti i residenti dell’Hubei». L’uomo ha reagito con fermezza e ha domandato per quale motivo fosse discriminato. Irritato dalla sua perseveranza, il capo del villaggio ha mandato alcune persone a misurare la sua temperatura corporea e gli ha ordinato di autoisolarsi anche se non aveva la febbre e non presentava gli altri sintomi del coronavirus.
All’uomo è stato consentito di uscire dalla sua abitazione una settimana dopo, ma ogni volta doveva farsi registrare dal personale preposto alla prevenzione dell’epidemia informando costoro della sua destinazione e dei suoi programmi. Visto che i suoi risparmi diminuivano, l’uomo ha anche tentato di trovare un nuovo lavoro, ma tutti gli avvisi riguardanti le assunzioni contenevano formule liberatorie che impedivano ai residenti dell’Hubei di candidarsi.
L’uomo, adirato perché il governo non si preoccupa che il popolo non abbia diritti e sia privo della libertà, ha detto a Bitter Winter: «Il Partito Comunista considera i cittadini di Wuhan alla stregua di “terroristi reazionari” e spinge l’intera nazione a discriminarli».
Una donna dell’Hubei che però ora vive ad Hangzhou, la capitale della provincia orientale dello Zhejiang, ricorda così l’inizio della quarantena: «I funzionari dell’amministrazione ci hanno detto di non lasciare le nostre case. Se ci avessero visti fuori i nostri vicini avrebbero potuto segnalarci e quindi saremmo stati portati in ospedale dove avremmo trascorso due settimane in isolamento a nostre spese». Una settimana dopo il lockdown la donna si era rivolta al personale che gestisce la comunità residenziale chiedendo di avere cibo e medicine contro l’ipertensione. La risposta è stata: «Siamo troppo occupati, arrangiatevi».
Il blocco di Wuhan è stato revocato l’8 aprile, ma i movimenti della donna erano ancora limitati. Quando andava in farmacia o al mercato doveva mostrare un documento d’identità o passare al controllo elettronico il proprio codice sanitario. Secondo la donna, anche altre persone dell’Hubei vengono sottoposte a controlli supplementari.
La donna ha aggiunto con amarezza: «Quando ha visitato Wuhan Xi Jinping ha promesso di prendersi cura degli abitanti dell’Hubei, ma anche questa promessa non è stata mantenuta. Il governo in pubblico dice una cosa e poi si comporta diversamente. In questi tempi un residente dell’Hubei è costretto a lottare senza sosta».
Secondo un resoconto della New Tang Dynasty Television, l’emittente statunitense fondata da praticanti del Falun Gong, il PCC avrebbe segretamente ordinato di tenere sotto stretto controllo le persone originarie dell’Hubei, e in particolare di Wuhan, anche dopo la revoca del lockdown.
Non solo i cittadini dell’Hubei hanno subito discriminazioni a causa dell’epidemia di coronavirus, ma le amministrazioni di alcune province e città hanno adottato strategie per epurarli.
Una donna, che aveva preso in affitto un appartamento quando lavorava a Guangzhou, ha riferito a Bitter Winter che tra il 12 e il 15 febbraio ha ricevuto su WeChat due messaggi dal suo padrone di casa il quale la informava che «A causa della diffusione dell’epidemia il comitato del villaggio aveva deciso di allontanare tutti gli inquilini delle case in affitto. Gli inquilini non originari del borgo dovevano andarsene».
La donna ricorda ancora nettamente il momento in cui ha dovuto lasciare la sua abitazione: «Pioveva a catinelle e mi sentivo come se il cielo mi stesse cadendo addosso. Non sapevo dove andare, ero così frustrata che volevo solo piangere».
La donna ha tentato di convincere il padrone di casa a concederle ancora alcuni giorni, ma senza successo. Il proprietario le ha detto che se non avesse eseguito l’ordine sarebbe stato punito e, se qualcuno fosse stato contagiato, le autorità del villaggio avrebbero inserito la casa affittata nella black list e forse l’avrebbero demolita. La donna ha aggiunto: «Il proprietario mi ha anche detto che se mi fossi rifiutata di andare via il comitato del villaggio mi avrebbe arrestata. Ordini simili sono stati emessi ovunque». In seguito la donna ha appreso che alcuni dei suoi colleghi sono stati licenziati solo perché erano forestieri.