Il PCC si vanta del «grande potere socialista che sconfigge il coronavirus» ed emergono racconti tragici di abusi
di Dai Quansheng
Sin dall’inizio dell’epidemia di coronavirus i media ufficiali del PCC si sono vantati delle «misure di prevenzione perfette disposte dal governo», che «pone sempre al primo posto la vita, la sicurezza e la salute del popolo». Le testimonianze giunte a Bitter Winter, però, ci danno un quadro diverso, che testimonia che le misure imposte dal regime hanno ignorato i diritti umani fondamentali e hanno messo in pericolo la vita delle persone.
Una donna anziana si è suicidata per la disperazione
«Mi sento colto di sorpresa e imbrogliato dal governo», così ha scritto, in una lettera aperta diretta all’amministrazione, un uomo di Wuhan, l’epicentro del COVID-19, che ha perso la madre nel corso dell’epidemia. «Lo Stato mette in moto ogni giorno la macchina della propaganda, per diffondere notizie relative ai grandi sforzi messi in atto per combattere l’epidemia, a come essa sia stata messa sotto controllo e a quanti pazienti siano stati curati, completamente guariti e dimessi dagli ospedali. Sembra troppo bello per essere vero».
Nella lettera l’uomo ha raccontato che la madre settantacinquenne, poiché il 9 febbraio le è stato diagnosticato il coronavirus, è stata trasferita in un reparto di isolamento. «Mentre era in quarantena, nessun medico l’ha curata in alcun modo e nessuno le ha fatto iniezioni o fornito medicinali né altre cure minime che evitassero il peggiorare delle sue condizioni», ha scritto l’uomo. «Nessuno si occupava dei pazienti, neppure quando stavano morendo».
La madre gli ha raccontato che due donne anziane accanto a lei respiravano a fatica e sporcavano sempre i letti, ma non veniva nessuno a pulire. La donna gli ha detto che non poteva far altro che attendere di morire, poiché nessuno la stava curando mentre si trovava in quarantena.
Dopo una settimana la donna è stata trasferita nell’Ospedale n. 3, dove i medici le provavano solamente la temperatura a cadenza quotidiana e non le fornivano alcun trattamento. «Il 26 febbraio l’ospedale ha dichiarato che mia madre era guarita dal coronavirus e l’ha trasferita in osservazione in una struttura per 14 giorni», ha ricordato l’uomo.
L’11 marzo la madre è stata dimessa e mandata a casa, trascurando il fatto che la donna avesse continuamente la febbre e avvertisse un dolore insopportabile allo stomaco. I familiari l’hanno portata al policlinico locale affinché la ricoverassero di nuovo, ma la struttura ha rifiutato di farlo, affermando che le sue condizioni «non corrispondevano agli standard per il ricovero». I parenti si sono recati in altri ospedali, ma sono stati rifiutati ogni volta.
La famiglia non poteva fare nulla e così ha riportato a casa la donna, in preda a forti dolori. «Mia madre ha abbandonato ogni speranza», ha continuato l’uomo. «Il 15 aprile ha ingerito del pesticida e si è suicidata».
Dolorante, l’uomo ha inviato una lettera aperta all’amministrazione locale, ponendo numerose domande. Perché mia madre non ha ricevuto cure tempestive? Perché è stata dichiarata guarita e dimessa dopo 14 giorni in osservazione, se aveva ancora la febbre e i sintomi dell’influenza? Perché mia madre è stata respinta da tutti gli ospedali benché mostrasse chiaramente i sintomi delle complicanze? Quali sono le condizioni che corrispondono agli standard per il ricovero? Neanche a dirlo, egli non ha ricevuto alcuna risposta.
Molti altri casi simili che mostrano il disprezzo del Partito per la vita umana durante l’epidemia hanno provocato rabbia fra la popolazione, mentre i netizen hanno criticato con ira le autorità per aver applicato «un mero isolamento, senza cure mediche».
«L’ospedale ha ripetuto di avermi fornito il miglior piano terapeutico, ma in realtà non hanno fatto nulla per me», così ha chiesto aiuto una studentessa universitaria di 23 anni, quando si trovava in fin di vita in una struttura per la quarantena. «Morirò senza ricevere alcuna attenzione!».
Meglio ucciderne per errore un migliaio, che lasciarne andare uno
Il 17 febbraio una donna della città di Lüliang, nella provincia settentrionale dello Shanxi, è stata condotta in ospedale in seguito a una caduta accidentale. Le sono state diagnosticate ischemia ed emorragia cerebrali. L’ospedale ha proposto di trasferirla all’Ospedale provinciale del popolo della capitale, Tayuan.
A causa del viaggio di tre ore in un’auto surriscaldata e dello stress causato dal dolore, la donna sudava nei vestiti e all’arrivo in ospedale aveva una temperatura di 37, 6 gradi. Senza dire nulla, lo staff medico l’ha portata immediatamente in un reparto di isolamento per pazienti sospettati di avere contratto il coronavirus.
Il 20 febbraio il test dell’acido nucleico ha evidenziato che la donna non era infetta. A causa dell’isolamento forzato, però, le ferite riportate nella caduta non sono state trattate in tempo, conducendo così alla paralisi parziale.
«Durante la quarantena un’infermiera mi ha legato le braccia al letto con una striscia di tessuto e non mi ha dato nulla da bere per due giorni», ha ricordato la donna, piangendo. «È sparita appena fatta l’iniezione». Quando la donna è tornata a casa, i familiari hanno notato che ella aveva numerosi ematomi sulle braccia, che parlava in modo sconclusionato e che aveva spesso gli incubi. Quando essi hanno contattato l’ospedale per chiedere spiegazioni, è stato detto loro che la donna era stata isolata perché le istruzioni impartite dall’amministrazione erano che «in circostanze straordinarie, meglio ucciderne per errore un migliaio, che lasciarne andare uno».