Bitter Winter intervista Dominic Nardi, analista politico della U.S. Commission on International Religious Freedom specializzato sulla Cina
di Massimo Introvigne
Il 6 luglio Dominic Nardi ha coordinato un webinar sulla libertà religiosa in Tibet organizzato dalla U.S. Commission on International Religious Freedom (USCIRF), una commissione indipendente e bipartisan del governo federale statunitense creata sulla base dell’International Religious Freedom Act (IRFA) del 1998. I componenti della commissione vengono nominati dal presidente e dai leader del Congresso di entrambi i partiti politici.
Nardi ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienze Politiche nell’Università del Michigan, e ha una vasta esperienza di vita e di ricerche accademiche in Asia. Oggi è analista supervisore delle politiche dell’USCIRF e, oltre a essere il supervisore del Team Asia, si occupa in particolare di Cina, Corea del Nord e Vietnam. Bitter Winter ha seguito il webinar sul Tibet e, dopo l’evento, ha intervistato Nardi.
Il 6 luglio l’USCIRF ha organizzato un webinar sulla libertà religiosa in Tibet. Attualmente la maggior parte dei media è focalizzata su quanto sta avvenendo a Hong Kong e nello Xinjiang. Lei ha l’impressione che il Tibet sia un po’ trascurato?
Penso che l’attenzione su Hong Kong e sullo Xinjiang abbia contribuito a ricordare al mondo anche il Tibet. Un numero sempre maggiore di gruppi religiosi comprende di dover lavorare insieme per combattere la repressione della libertà religiosa in Cina. Attivisti uiguri stanno esercitando pressioni a favore dei tibetani, mentre i cristiani parlano a nome dei musulmani uiguri. L’USCIRF e il governo statunitense sono rimasti del resto concentrati sul Tibet. Siamo molto incoraggiati dal recente passaggio del Reciprocal Access to Tibet Act e dall’adozione del Tibetan Policy and Support Act da parte del Congresso.
La situazione della libertà religiosa in Tibet sta peggiorando? Può fornirci qualche esempio?
Il governo cinese ha represso il buddhismo tibetano per decenni e dal 2011 le condizioni della libertà religiosa in Tibet sono ulteriormente peggiorate. Per monitorare e reprimere il sostegno a Sua Santità il Dalai Lama il regime ha creato una rete di sorveglianza orwelliana in tutta la regione. Il regime è diventato anche più sfacciato distruggendo importanti siti della cultura tibetana. L’estate scorsa è stato raso al suolo metà del complesso buddhista tibetano di Yachen Gar nella provincia del Sichuan e migliaia di monaci sono stati mandati via.
Le leggi contro le bande criminali vengono utilizzate anche contro i dissidenti religiosi. Come funzionano queste norme?
Nel gennaio 2018 il governo ha avviato la campagna «contro le bande criminali» a livello nazionale. Tuttavia, le autorità tibetane si avvalgono di questa legge per giustificare la repressione di chi si impegna nella difesa dei buddhisti tibetani. Secondo un recente rapporto di Human Rights Watch, in forza della norma «contro le bande», i tribunali hanno condannato a pene detentive almeno 51 tibetani che avevano presentato petizioni o protestato pacificamente per questioni legate alla religione, alla protezione dell’ambiente, al diritto alla terra e contro la corruzione. Le autorità hanno anche approfittato della campagna contro le bande per perquisire le abitazioni alla ricerca di fotografie del Dalai Lama. Il regime si avvale di questa legge per reprimere attività che non hanno nulla a che fare con le bande criminali, si tratta di un evidente abuso di potere.
Durante il webinar sono state espresse preoccupazioni per la repressione dell’uso e dell’insegnamento della lingua tibetana. Dispone di maggiori dettagli?
Il governo cinese ha aumentato le restrizioni sull’uso della lingua tibetana nelle scuole promuovendo il mandarino. Nelle scuole medie e superiori si insegna usando il mandarino sin dagli anni 1960, ma negli ultimi decenni è stato adottato anche dalle scuole elementari e materne. L’USCIRF teme che queste politiche possano effettivamente sopprimere la conoscenza e l’apprendimento della lingua tibetana.
Sulla base dell’atteggiamento del PCC che afferma di avere il controllo sulla reincarnazione dei lama tibetani, è possibile che quando l’attuale Dalai Lama, che ha appena compiuto 85 anni, morirà, il PCC scelga la sua «reincarnazione» e la presenti al mondo come il nuovo Dalai Lama. Cosa si può fare per denunciare sin d’ora questa trama?
L’USCIRF sollecita il Congresso ad approvare rapidamente il Tibetan Policy and Support Act. Questo disegno di legge stabilirebbe ufficialmente che per gli Stati Uniti d’America la successione o la reincarnazione dei leader buddhisti tibetani, compreso il futuro XV Dalai Lama, è una questione esclusivamente religiosa che compete esclusivamente alla comunità buddhista tibetana. Autorizzerebbe inoltre il governo degli Stati Uniti a emanare sanzioni mirate contro qualsiasi funzionario cinese che interferisse nella successione o nella reincarnazione dei leader buddhisti tibetani.
Che dire a proposito di Gedhun Choekyi Nyima, il (vero) Panchen Lama riconosciuto dal Dalai Lama e rapito dai cinesi nel 1995 quando aveva sei anni? Lei crede alle affermazioni cinesi secondo cui condurrebbe una vita «normale» in Cina?
L’USCIRF non può prestare fede alle «affermazioni» del governo cinese su Gedhun Choekyi Nyima a meno che non vengano fornite prove del suo stato di salute e gli venga permesso di rivolgersi al mondo esterno. Nel frattempo, il commissario dell’USCIRF Nadine Maenza ha adottato il Panchen Lama grazie al Religious Prisoners of Conscience Project dell’USCIRF e continua ad agire in suo favore.
A volte si ha l’impressione che il Tibet sia una causa «persa» e pochissimi governi, Stati Uniti a parte, si preoccupano dei diritti umani in Tibet. È un’impressione realistica?
L’USCIRF si rammarica che la comunità internazionale non abbia preso una posizione più forte contro la repressione della libertà religiosa da parte della Cina. Noi esortiamo le Nazioni Unite e gli altri governi a ritenere il governo cinese responsabile del rispetto degli standard sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti umani.
Se non ci arrendiamo nessuna causa è «persa». L’USCIRF sa per esperienza che un cambiamento può arrivare all’improvviso e inaspettatamente. L’anno scorso siamo stati piacevolmente sorpresi quando il governo di transizione del Sudan ha preso impegni concreti per migliorare le condizioni della libertà religiosa. L’USCIRF continuerà a sostenere i buddhisti tibetani e altri gruppi religiosi in Cina fino a quando non saranno liberi di praticare la loro fede in pace.
È possibile che presto il Tibetan Policy and Support Act diventi legge negli Stati Uniti? Se sì, cosa cambierà?
Il Tibetan Policy and Support Act è attualmente in discussione alla Commissione per le relazioni estere del Senato. L’USCIRF esorta il Senato ad approvare rapidamente questo disegno di legge. In caso di approvazione, ciò consentirebbe di negare la legittimità a qualsiasi leader religioso tibetano scelto dal Partito Comunista senza la partecipazione della comunità buddhista tibetana. Inoltre, speriamo che la minaccia di sanzioni mirate farà riflettere due volte i funzionari cinesi che potrebbero interferire nella selezione o nel processo di reincarnazione dei futuri leader tibetani. In ultimo il disegno di legge imporrebbe al Dipartimento di Stato di aprire un consolato a Lhasa, il che ‒ in caso di successo ‒ aumenterebbe la capacità dei diplomatici statunitensi di monitorare e riferire sulle condizioni della libertà religiosa in Tibet.
Cosa può fare l’USCIRF per la libertà religiosa in Tibet? E cosa possono fare i media occidentali indipendenti e le ONG?
L’USCIRF continuerà a sostenere i buddhisti tibetani e ad assicurarsi che i politici statunitensi prestino al Tibet l’attenzione che merita.