Massimo Introvigne
Testo presentato all’evento “Mito/Realtà? Libertà religiosa, nessuna discriminazione e tolleranza nell’area dell’OSCE” al Meeting di Varsavia del 13 settembre.
Libertà religiosa, mito o realtà? Se chiedessimo a ciascuno Stato membro dell’OSCE, e in effetti a qualsiasi Stato del mondo, se da loro esista la libertà religiosa, tutti risponderebbero «sì». Anche la Costituzione cinese proclama infatti la libertà religiosa.
La domanda successiva sarebbe: «Ma perché alcune minoranze religiose sono bandite e perseguitate nel vostro Paese?». Tutti risponderebbero che «non sono affatto minoranze religiose, ma qualcos’altro. Non sono religioni, ma organizzazioni criminali, estremiste o sovversive che non hanno niente a che fare con la religione».
Ai sensi dell’articolo 300 del Codice penale cinese, essere attivo in uno xie jiao costituisce un reato e le autorità cinesi pubblicano periodicamente elenchi di xie jiao che includono il Falun Gong, la Chiesa di Dio Onnipotente e molti altri gruppi religiosi.
È importante sottolineare che per il PCC e i tribunali cinesi gli xie jiao non sono religioni, ma gruppi sovversivi o criminali. Qualsiasi obiezione avanzata dal mondo occidentale sulla libertà religiosa è considerata irrilevante. Alla domanda di cui sopra le autorità cinesi avrebbero risposto che la libertà religiosa è garantita dalla Costituzione cinese, ma che gli xie jiao non hanno niente a che fare con la religione.
Questo è un vecchio atteggiamento e non solo cinese. Di solito coloro che sono ostili alle “sette”, di fronte all’obiezione che la repressione delle “sette” viola la libertà religiosa, rispondono che le “sette” non sono religioni. Questa era la posizione assunta dallo schieramento anti-sette nelle “guerre di religione” alla fine del secolo XX.
Ma tale posizione risale ad almeno un secolo prima delle “guerre di religione”. Era difficile negare che i cattolici fossero discriminati e perseguitati negli Stati Uniti d’America del secolo XIX. D’altra parte la narrativa patriottica americana rappresentava gli Stati Uniti come un Paese le cui origini erano molto radicate nell’affermazione della libertà religiosa. Crociati anticattolici come Charles P. Chiniquy (1809-1899), un ex sacerdote cattolico canadese diventato pastore presbiteriano, avevano insistito sul fatto che il cattolicesimo non fosse una religione, bensì un’organizzazione politica sovversiva, un impero economico o un racket criminale che promuoveva l’immoralità. Solo asserendo che il cattolicesimo non fosse “realmente” una religione l’immagine degli Stati Uniti come Paese della libertà religiosa poteva conciliarsi con la realtà statunitense della discriminazione anticattolica.
Questo atteggiamento era però forse ancora più vecchio. Gli storici ci dicono che la persecuzione dei cristiani nell’impero romano veniva giustificata sostenendo che il cristianesimo fosse un’entità sovversiva piuttosto che una religione.
La Russia ha introdotto la categoria dell’“estremismo” per bandire gruppi come i Testimoni di Geova e vessarne altri come Scientology. Di nuovo, la Russia afferma che i gruppi “estremisti” non siano religioni. Tuttavia i criteri utilizzati dai tribunali russi per distinguere i movimenti “estremisti” dalle religioni “genuine” sono alquanto nebulosi: vanno dall’accusa di “esclusivismo” (ossia l’affermare che la religione o la spiritualità del gruppo sia l’unica “vera” o valida) a quella di “rompere le famiglie” (quando un solo coniuge si unisce al gruppo “estremista”, il divorzio è frequente) e a quella di maltrattare gli ex membri dimostrando un interesse eccessivo per il denaro. Ovviamente una simile critica può valere anche per le religioni maggioritarie. La stessa Chiesa ortodossa russa afferma che la maggior parte delle altre religioni siano false ed eretiche. Il divorzio motivato dal fatto che uno dei coniugi si sia convertito a una religione diversa è frequente in tutte le religioni. Fino al Concilio Ecumenico Vaticano II la Chiesa Cattolica ha etichettato gli ex membri “apostati” come “vitandi”, che in latino significa “persone da evitare”, e in Italia abbiamo persino avuto una legge che vietava agli expreti di insegnare in scuole o università. L’interesse eccessivo per il denaro è un’accusa che i laicisti riscontrano in tutte le religioni e i critici persino nella Chiesa ortodossa russa.
Affermare che un gruppo non sia una religione “reale” era solo un espediente retorico utilizzato nell’impero romano e negli Stati Uniti del secolo XIX, e oggi i movimenti anti-sette lo usano allo stesso modo dei contro le “sette”, in Russia per i “movimenti estremisti” e in Cina per gli xie jiao. Ma chi è che decide che una religione sia “genuina” e che un’altra “finga” di essere una religione? Spesso, come sosteneva il sociologo Larry Greil nel 1996, «la religione» non è «[..] una caratteristica che inerisce a certi fenomeni, ma […] una risorsa culturale su cui gruppi di interesse concorrenti possono competere». E la competizione, in modi diversi nelle società democratiche e in quelle totalitarie, non viene stabilita dalla scienza, ma dal potere. Nella Cina e nella Russia del secolo XXI riecheggia ancora il motto di un giurista romano imperiale del II-III secolo d.C., Ulpiano (170-223): «Quod principi placuit, legis habet vigorem», «Ciò che piace all’imperatore diventa legge esecutiva». In Russia è il governo a decidere quali gruppi siano “estremisti”. In tutta l’area OSCE e oltre, i movimenti anti-sette escludono dalla sfera della religione i gruppi che essi non amano, inclusa Scientology, eppure sono molto vaghi quando a essi viene chiesto di definire quale nozione diano di religione. In Cina è il Partito Comunista Cinese (PCC), cioè il nuovo imperatore, a decidere quali gruppi siano xie jiao. E questi vengono esclusi dalla sfera della libertà religiosa e dei diritti umani. I loro fedeli sono di fatto disumanizzati. Debbono infatti essere «totalmente sradicati come tumori», recita uno slogan del PCC. Perché i tumori non hanno diritti e possono essere sradicati solo con la violenza.