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Mongolia meridionale, un genocidio culturale sconosciuto

23/07/2020Massimo Introvigne |

Enghebatu Togochog racconta come il PCC stia distruggendo l’identità etnica della popolazione della Mongolia Interna

di Massimo Introvigne

Enghebatu Togochog
Enghebatu Togochog

Enghebatu Togochog è il direttore del Southern Mongolian Human Rights Information Center (SMHRIC). In un articolo pubblicato in giugno, Bitter Winter ha riferito delle violazioni dei diritti umani e dell’eradicazione della cultura mongola attuata dal PCC nella Mongolia Interna (che i mongoli preferiscono chiamare «Mongolia meridionale»). Ora, dal suo ufficio a New York, Togochog approfondisce ulteriormente la questione.

Qual è la sua storia personale? Come è finito a New York?

Sono nato nella Mongolia meridionale, nota anche come «Mongolia Interna». Quest’ultima denominazione è però una traduzione diretta del termine sinocentrico «Nei Meng Gu». Ho studiato il mongolo e, nel 1994, mi sono laureato nel Dipartimento di lingua e letteratura mongola dell’Università della Mongolia Interna (meridionale). Nel 1998, dopo quattro anni di lavoro, mi sono recato in Giappone dove mi sono iscritto alla facoltà di sociologia della Kibi International University. Poi, nell’ottobre 1998, sono arrivato negli Stati Uniti d’America, dove mi è stato concesso l’asilo politico. Da allora vivo a New York dove ho anche conseguito la laurea triennale e magistrale al City College.

La storia è di per sé politica. Alcuni studiosi cinesi sostengono che la Mongolia ‒ tutta la Mongolia, ovvero sia la Mongolia indipendente sia l’attuale Mongolia Interna ‒ faccia parte della Cina. Oppure è la Cina a far parte della Mongolia?

Sfortunatamente, quando si tratta di rivendicazioni territoriali e di confini nazionali, la maggior parte degli studiosi cinesi è male informata, priva di logica e intellettualmente poco chiara. La Cina può affermare le proprie rivendicazioni territoriali su qualsiasi Paese del nostro pianeta, ma non può sostenere che la Mongolia faccia storicamente parte del proprio territorio, poiché i cinesi stessi hanno stabilito i propri confini nazionali con la Mongolia più di duemila anni orsono. Mi riferisco alla Grande Muraglia cinese, una delle sette meraviglie del mondo, che si dice essere l’unica struttura creata dall’uomo visibile dallo spazio. Negli ultimi due millenni, durante ogni ciclo dinastico, la Cina ha ripetutamente confermato il proprio confine nazionale con la Mongolia costruendo, ricostruendo e fortificando la Grande Muraglia. Infatti la Grande Muraglia non è solo il confine storico e nazionale tra questi due Paesi, ma è anche un confine che separa due civiltà diverse, una agricola e una pastorale, e due diversi modi di vita, uno stanziale e uno nomade. Nella storia dell’umanità non vi sono altri due Paesi vicini come la Cina e la Mongolia i cui confini siano altrettanto netti.

Una delle giustificazioni assurde per le rivendicazioni territoriali cinesi è che «il nostro eroe nazionale zhonghua minzu, Gengis Khan» ha conquistato gran parte dell’Eurasia, spostando il «confine territoriale cinese» fino all’Europa. Non tollerando l’assurdità e la spudoratezza dei suoi connazionali, il famoso scrittore cinese Lu Xun ha scritto: «Se un Paese può usare spudoratamente la propria schiavitù per rivendicare il proprio dominatore come eroe nazionale, allora i russi hanno migliori credenziali per dire “Gengis Khan è il nostro eroe nazionale” giacché la Russia è stata governata dai mongoli più a lungo della Cina».

Perché preferisce usare la denominazione «Mongolia meridionale» piuttosto che «Mongolia Interna»?

Perché la denominazione Mongolia «Interna» è un’invenzione cinese, un termine propagandistico e sinocentrico che denota una rivendicazione territoriale su questa parte di Mongolia. Nella nostra lingua la definiamo «Uvur Mongols», che significa «Mongolia meridionale» o «Parte meridionale della Mongolia». La parola mongola «Uvur» non significa assolutamente «interna». I cinesi ne hanno distorto intenzionalmente il significato, traducendola con il termine cinese «Nei» che implica «Interno» o «dentro» (alla Cina). Nella Mongolia indipendente, tradizionalmente chiamata dai Mongoli «Ar Mongol» o «Mongolia settentrionale», ci sono due province chiamate «Ar-Khangai» e «Uvur-Khangai» i cui nomi sono correttamente tradotti in inglese come «North Khangai» e «South Khangai» perché, in questo caso, la loro traduzione non è stata manipolata dai cinesi. Maggiori informazioni su tale questione sono disponibili nelle osservazioni che ho svolto in apertura di uno dei nostri convegni.

La Mongolia meridionale conserva un patrimonio culturale prezioso per tutto il mondo, ossia l’antica lingua che utilizza i caratteri tradizionali mongoli (mentre nella Mongolia indipendente, a causa dell’influenza sovietica, è stata adottata la scrittura cirillica). Puoi dirci qualcosa di più su questa lingua?

Il mongolo appartiene alla famiglia delle lingue altaiche ed è parlato da quasi 10 milioni persone nella Mongolia indipendente, nella Mongolia meridionale, in Buriazia e in Calmucchia. Secondo i documenti storici, i caratteri mongoli tradizionali o classici sono stati adottati dall’antico alfabeto uiguro nel secolo XIII. Tuttavia alcuni linguisti sostengono che i caratteri mongoli classici fossero stati adottati e utilizzati dai mongoli già diversi secoli prima. Durante l’impero mongolo, che è stato il più grande impero contiguo nella storia dell’umanità, il mongolo era la lingua franca.

Le note diplomatiche, comprese le comunicazioni tra l’impero mongolo e i Franchi, erano scritte in mongolo e negli archivi vaticani sono state rinvenute le lettere in lingua mongola inviate dai khan ai Pontefici. Per esempio una lettera di Ilkhan Oljaitu al re Filippo IV di Francia era scritta in caratteri mongoli. Dopo il ritiro dei mongoli dalla Cina vera e propria, a causa della perdurante influenza mongola su tutta l’Eurasia, la dinastia Ming utilizzava ancora la lingua mongola per le comunicazioni diplomatiche.

Stante la vastità del territorio, questi testi scritti hanno svolto un ruolo cruciale nell’unificazione dei diversi dialetti mongoli. Tuttavia, dopo la Seconda guerra mondiale e con il trattato di Jalta, la Mongolia è stata divisa in due parti principali: la Mongolia settentrionale, o Repubblica popolare mongola, e le repubbliche di Buriazia e Tuva, che sono entrate nella sfera di influenza sovietica, mentre la Mongolia meridionale è stata annessa alla Cina. La Mongolia settentrionale è stata costretta ad abbandonare i caratteri mongoli e ad adottare l’alfabeto cirillico. E i cinesi sono felicissimi che le due parti del Paese continuino a utilizzare caratteri diversi giacché questo rende difficili le comunicazioni tra Mongolia meridionale e Mongolia settentrionale.

Si dice che la lingua mongola sia in pericolo perché nella Mongolia meridionale il PCC ne limita l’utilizzo. Potrebbe fornirci maggiori ragguagli in merito?

Un mese fa le autorità cinesi hanno annunciato che, a partire da settembre, nelle scuole elementari e medie di tutta la Mongolia meridionale l’insegnamento dovrà essere impartito in cinese. Presto nella municipalità di Tongliao, l’area con la maggiore percentuale di popolazione di etnia mongola nella regione i millenari caratteri della lingua mongola non verranno più utilizzati e anche la lingua parlata si estinguerà. Dopo il genocidio fisico, perpetrato su larga scala durante gli anni 1960 e 1970, e il genocidio culturale attuato negli ultimi tre decenni, la lingua mongola era rimasta l’ultima roccaforte a sostegno dell’identità culturale della Mongolia meridionale. Tutti i ceti sociali protestano contro questa politica, ma nulla lascia a intendere che il regime intenda porre termine al progetto.

La Mongolia meridionale ha sofferto enormemente durante la Rivoluzione Culturale. Cosa è davvero successo e quanti sono stati i morti?

Nel corso della Rivoluzione Culturale almeno 100mila mongoli del sud sono stati uccisi e mezzo milione perseguitati. A quel tempo la popolazione mongola della Mongolia meridionale contava solo 1,5 milioni di abitanti e ciò significa che un terzo della popolazione è stata colpita da quella persecuzione. Il genocidio, progettato e orchestrato dal governo centrale, è stato attuato dall’Esercito popolare di liberazione e dai coloni cinesi residenti nella Mongolia meridionale con la scusa di «epurare i membri del Partito rivoluzionario del popolo della Mongolia meridionale». In realtà il vero scopo dell’operazione consisteva nel paralizzare fisicamente e spiritualmente l’intera nazione della Mongolia meridionale.

La mia traduzione del libro Genocide on the Mongolian Steppe, scritto in giapponese dal professor Yang Haiying, fornisce i resoconti dettagliati dei sopravvissuti.

Lei ritiene che il PCC stia deliberatamente tentando di sradicare l’identità etnica della Mongolia meridionale?

Sì, le politiche cinesi nei confronti della Mongolia meridionale non sono mai casuali. Tutte le politiche messe in atto dal PCC nella Mongolia meridionale, in Tibet e nel Turkestan orientale sono attentamente progettate e ben pianificate per raggiungere l’obiettivo che consiste nello sradicare completamente le identità mongola, tibetana e uigura al fine di creare un’identità cinese omogenea che non desti preoccupazioni a livello sociale.

Il PCC e il governo considerano la presenza di diverse identità nazionali una minaccia per il regime, ma anche la popolazione cinese in generale le ritiene inopportune e sconvenienti. In base alla mia esperienza personale posso affermare che molti cinesi non legati al PCC o al governo si sentono a disagio e addirittura delusi quando rifiuto di identificarmi come “cinese”.

Abbiamo appreso che le proteste dei pastori nella Mongolia meridionale sono state duramente represse dalla polizia del PCC. Cosa sta accadendo realmente?

A partire dal 2001, con la scusa di «ricuperare l’ecosistema delle praterie», il governo ha attuato due politiche denominate «migrazione ecologica» e «divieto totale di pascolo del bestiame». Mirano a spazzare completamente via le comunità pastorali rurali per mettere fine allo stile di vita nomade dei mongoli. Le amministrazioni locali e le industrie estrattive cinesi si impadroniscono delle terre dei pastori senza il loro consenso libero, preventivo e informato. Migliaia di pastori che hanno protestato contro l’appropriazione illegale delle loro terre sono stati arrestati, fermati e imprigionati.

Anche gli intellettuali vengono perseguitati?

Nella Mongolia meridionale gli intellettuali sono stati i primi a essere perseguitati durante le varie epurazioni politiche. Negli anni 1950 decine di migliaia di intellettuali mongoli sono stati perseguitati in quanto «nazionalisti di destra». Durante la campagna genocidaria dagli anni 1960 agli anni 1970 gli intellettuali venivano eliminati come «nazionalisti separatisti», spie degli imperialisti giapponesi o revisionisti sovietici e mongoli. Negli anni 1980 e 1990 intellettuali come Hada, che si erano espressi in favore dell’autodeterminazione nazionale, sono stati arrestati e imprigionati a lungo. Hada, dopo aver scontato 15 anni di carcere e 4 anni di detenzione stragiudiziale, è tuttora agli arresti domiciliari con l’accusa di «separatismo e spionaggio». Scrittori come Lhamjab Borjigin sono stati arrestati, processati, incarcerati e infine messi agli arresti domiciliari a tempo indeterminato.

Qual è lo stato della libertà religiosa nella Mongolia meridionale?

La religione è stata completamente spazzata via durante la Rivoluzione Culturale. Migliaia di monasteri buddhisti sono stati distrutti e i monaci buddhisti perseguitati. Da allora, il sistema di credenze della Mongolia meridionale non si è più ripreso. Alcuni monasteri sono stati restaurati a fini turistici e come vetrine della “libertà religiosa”, ma senza una vera religione, la libertà religiosa è inesistente.

Perché la situazione della Mongolia meridionale è poco conosciuta nei Paesi democratici?

La situazione della Mongolia meridionale non è ben nota nei Paesi democratici perché, a causa dell’estremo controllo cinese, fino a tempi recenti i mongoli meridionali non hanno mai avuto l’opportunità di andare in esilio nei Paesi democratici, in particolare negli Stati Uniti e in Europa. L’unica destinazione possibile, la Mongolia settentrionale, ovvero la parte del Paese indipendente, è stata tenuta chiusa per oltre quattro decenni fino agli anni 1990.

Qual è il compito del Southern Mongolia Human Rights Information Center?

Il SMHRIC è un’organizzazione di esiliati impegnati nella difesa dei diritti umani. Tutto ciò che possiamo fare è riassunto in due cose:

  1. Rendere nota alla comunità internazionale la condizione dei diritti umani nella Mongolia meridionale;
  2. Fornire ai cittadini della Mongolia meridionale limitati servizi di supporto su come difendere i propri diritti e lottare per la libertà con mezzi pacifici.

Cosa possono fare i Paesi democratici e le ONG per i diritti umani nella Mongolia meridionale?

Sebbene non vi sia un salvatore straniero per nessun movimento nazionale, i Paesi democratici e le ONG possono comunque svolgere compiti importanti nella difesa dei diritti umani, ad esempio aiutando a denunciarne le violazioni agli appositi organismi internazionali e ai governi democratici, formare i leader di base per potenziare le comunità locali, organizzare movimenti di solidarietà per fornire sostegno morale ai difensori dei diritti umani e sollecitare i governi democratici a esercitare pressioni sul governo cinese.

Contrassegnato con: Diritti umani, Mongolia meridionale

Massimo Introvigne

Massimo Introvigne (Roma, 14 giugno 1955) è un sociologo italiano delle religioni. È il fondatore e il direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni (CESNUR), una rete internazionale di studiosi di nuovi movimenti religiosi. Autore di una settantina di libri e di più di 100 articoli nel campo della sociologia della religione, è stato l’autore principale dell’Enciclopedia delle religioni in Italia. Membro del comitato editoriale dell’Interdisciplinary Journal of Research on Religion e del comitato direttivo di Nova Religio, pubblicato alla University of California Press, dal 5 gennaio al 31 dicembre 2011 ha avuto nell’ambito dell’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) il ruolo di “Rappresentante per la lotta contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione, con un’attenzione particolare alla discriminazione contro i cristiani e i membri di altre religioni”. Dal giugno 2012 al dicembre 2016 è stato coordinatore dell’Osservatorio della Libertà Religiosa, istituito dal ministero degli Esteri italiano per monitorare lo stato della libertà religiosa a livello mondiale.

www.cesnur.org/

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