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Bitter Winter

LIBERTÀ RELIGIOSA \n E DIRITTI UMANI \n IN CINA

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La negazione della libertà religiosa in Cina è una sfida al mondo intero

31/07/2018Bitter Winter |

L’idea dei diritti umani è fondata sul principio dei diritti naturali. Ma i princìpi dei diritti umani che regolano ufficialmente la Cina affermano che sono invece diritti concessi dalla società ai singoli.

Aaron Rhodes

Testo presentato al seminario Libertà di religione e di credo, e diritto all’asilo politico, organizzato da Human Rights Without Frontiers e dal parlamentare europeo Tomáš Zdechovský al Parlamento Europeo il 27 giugno 2018

Come attivista dei diritti umani, considero la negazione della libertà religiosa, incluse la persecuzione dei membri della Chiesa di Dio Onnipotente (CDO) e la negazione di altri diritti fondamentali in Cina, come il problema principale nel mondo attuale. Questo problema ha implicazioni vaste, non solo per la libertà personale, ma anche per l’idea stessa di libertà.

Primo, il problema coinvolge milioni dei nostri fratelli e di nostre sorelle. La Cina ha una popolazione di più di 1,4 miliardi di abitanti. È più delle popolazioni totali dell’America Settentrionale, dell’America Meridionale, della Nuova Zelanda e dell’Europa occidentale sommate assieme.

Questi dati sconcertanti si traducono in un numero enorme di vittime. Secondo Human Rights Without Frontiers, che tiene il conto dei prigionieri di coscienza in tutto il mondo, la Cina è il Paese che nel mondo ha incarcerato il più alto numero di credenti di ogni denominazione. Gli esperti affermano che il numero di persone oggi lì detenute per la fede che professa e che pratica è il più elevato dai tempi dalla Rivoluzione Culturale.

Nel numero sono compresi molti protestanti evangelicali e pentecostali, appartenenti a Chiese domestiche clandestine. Più di metà dei protestanti cinesi fanno parte di tali denominazioni indipendenti. La pressione su di esse si è intensificata in modo drammatico. Vengono costrette con la forza a registrarsi e a sottomettersi al governo; e quelle che non lo fanno, sono spesso etichettate come “sette malvagie”. Sono soggette a indagini pressanti da parte delle forze di sicurezza, ne vengono confiscate le proprietà, e i loro pastori subiscono attacchi fisici e arresti.

Nello stesso tempo, in Cina il numero dei cristiani protestanti sta crescendo a un ritmo strabiliante, tanto che il fenomeno viene oggi equiparato a un vero risveglio religioso. Dal 1979 il numero dei protestanti cinesi è cresciuto di circa il 10% all’anno e, considerando questo tasso di crescita, entro 12 anni la Cina avrà la più grande popolazione di cristiani del mondo.

I milioni di protestanti cinesi non si considerano e non agiscono come gruppi politici o come opposizione. Ma qualsiasi comunità religiosa, in uno Stato autoritario e totalitario che esige la fedeltà assoluta, è una minaccia all’autorità dello Stato stesso. Negli anni recenti lo Stato cinese è diventato sempre più controllore e più intrusivo.

Per giustificare il proprio autoritarismo e il proprio nazionalismo etnico, le autorità invocano elementi particolari della tradizione sociale e filosofica cinese. Per questo regime ateo militante, la religione è una minaccia; le autorità intervengono addirittura sui cittadini che cercano di celebrare la festa persiana di Nowruz (il capodanno di origine preislamica).

Ma il problema più pressante è costituito da ciò che accade quando il cristianesimo protestante oggi in crescita collide con la crescente politica di controllo statale sui diritti e sulle libertà personali, una politica che si estende addirittura fino a rilasciare attestazioni di fedeltà ai cittadini in base a quel che leggono e ai loro modi di comunicare.

La Cina è la patria di più di dieci milioni di cattolici. Un accordo nuovo e molto ambiguo con il Vaticano li metterà ancora di più sotto il controllo del governo.

In Cina le autorità proibiscono il digiuno nel mese di Ramadan e bruciano il Corano. Secondo l’organizzazione no profit cristiana ChinaAid, le autorità vogliono eliminare completamente l’islam dalla regione autonoma uigura dello Xinjiang.

Anche in questo caso il regime sta intenzionalmente e senza motivo ponendosi in rotta di collisione con i musulmani, finendo per alimentare l’estremismo islamico cui sostiene di opporsi. La popolazione uigura è indigena della regione dello Xinjiang che si trova in controllo cinese solo dal secolo XVIII.

Attualmente gli uiguri ammontano a meno di metà della popolazione totale della regione. Sono sottoposti a profilature discriminatorie ottenute con l’uso di tecnologia invasiva e anche di limitazioni degli spostamenti. Ma la cosa più inquietante è che i musulmani uiguri vengono incanalati nei cosiddetti “campi di rieducazione”. Secondo alcune stime, circa un milione di persone sono state detenute in questi campi e sottoposte a torture, incluso l’obbligo di mangiare carne di maiale e bere alcol.

E, naturalmente, non si deve trascurare di citare la repressione violenta affrontata dai praticanti della disciplina spirituale Falun Gong fin dal 1999. È stato istituito un ufficio speciale del governo avente l’obiettivo esplicito di sradicarla. Di fatto, molti fedeli di questa denominazione scompaiono dopo l’arresto e vengono inviati in prigioni o in campi di lavoro.

La Cina viola la libertà religiosa e altri diritti umani, ma sostiene di difendere i diritti umani con politiche che hanno innalzato lo standard di vita del Paese. Tutti comprendono che la cultura cinese pone grande enfasi sulle responsabilità collettive e non è individualistica come il mondo occidentale. Ma questa non può essere una scusa per violare i diritti individuali che non sono affatto contradditori rispetto alla fedeltà alla comunità.

Non è un’esagerazione affermare che il regime cinese non accetti per niente il concetto di diritti umani. Il regime non assume nessun impegno a difesa di diritti naturali delle persone, diritti che hanno priorità sullo Stato e che trascendono, e limitano, le leggi emanate dai governi e dagli organi legislativi.

L’idea dei diritti umani è fondata sul principio dei diritti naturali. Ma i princìpi ufficiali che regolano la Cina affermano che sono invece diritti concessi dalla società singoli. Quindi, se la “società” cioè lo Stato, può concedere diritti, può anche revocarli. In questo modo, i diritti umani non sono diversi dalle altre leggi.

Le vittime delle politiche oppressive della Cina sanno che questo non è vero. Comprendono che i diritti umani esistono e che sono sacrosanti perché loro li hanno persi. E, in quanto persone che comprendono la natura dei diritti umani, non solo hanno bisogno della nostra protezione, ma necessitano anche di essere accolti nelle nostre società pluralistiche e libere almeno fino a quando la Cina non smetterà di violare le norme internazionali sui diritti umani iniziando a collaborare davvero alla costruzione di un mondo di Stati liberi, in pace gli uni con gli altri, dove tutti possano pensare e adorare nel modo che desiderano.

 

 

Contrassegnato con: Diritti umani, Libertà religiosa

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Bitter Winter

Bitter Winter intende riferire sul modo in cui alle religioni sia consentito o meno operare in Cina e sul modo in cui alcune di esse siano gravemente perseguitate dopo essere state etichettate come “xie jiao”, ovvero come “insegnamenti eterodossi”. Abbiamo intenzione di pubblicare notizie difficili da trovare altrove, analisi e dibattiti.

Posta sotto la direzione di Massimo Introvigne, uno dei più famosi studiosi delle religioni a livello internazionale, Bitter Winter è un’impresa condivisa da studiosi, attivisti dei diritti umani e membri di organizzazioni religiose perseguitate in Cina (alcuni di essi hanno scelto, per ovvie ragioni, di rimanere anonimi).

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