La manifestazione dell’8 agosto, quando 30mila musulmani hanno tentato di impedire la demolizione di una moschea al di fuori dello Xinjiang, prova che la Cina sta reprimendo l’islam in quanto tale e non solo per via del “separatismo uiguro”
È difficile partecipare a un convegno sui diritti umani in un luogo qualsiasi del mondo senza ascoltare qualcuno che citi la famosa poesia Poi vennero per me del pastore luterano tedesco Martin Niemöller (1892-1984):
[…] vennero a prendere i sindacalisti e io non dissi niente perché non ero un sindacalista.
Poi vennero a prendere gli ebrei e io non dissi nulla perché non ero ebreo.
Poi vennero a prendere me e non c’era rimasto più nessuno a protestare.
Molto meno frequentemente viene invece notato che anche i regimi totalitari hanno imparato la lezione della poesia di Niemöller. Quei regimi spingono infatti i gruppi non ancora perseguitati a sostenere la persecuzione di altri gruppi. E quei gruppi non si rendono conto che saranno i prossimi. I regimi totalitari applicano sempre il vecchio motto del re Filippo II di Macedonia (382-336 a.C.), padre di Alessandro il Grande (356-323 a.C.), che i romani tradussero con divide et impera, «dividi e regna».
Il Partito Comunista Cinese (PCC) recluta per esempio i pastori della Chiese domestiche cristiane per sostenere la persecuzione che esso attua ai danni dei gruppi indicati come xie jiao. Ma quando questi pastori non saranno più utili, verranno arrestati anche loro, cosa peraltro già accaduta.
In questi giorni vediamo come questa strategia operi nella comunità musulmana cinese. I due maggiori gruppi musulmani della Cina, ognuno con una popolazione stimata tra gli otto e i dieci milioni di persone, sono gli uiguri e gli hui. La maggior parte dei primi vive nella regione autonoma dello Xinjiang. I secondi sono invece distribuiti in tutto il Paese, sebbene siano localizzati soprattutto nella parte nordoccidentale. Esistono hui musulmani che vivono al di fuori della Cina e hui che non sono musulmani, ma la grande maggioranza di questa etnia è composta da musulmani che vivono entro i confini cinesi.
Sia gli uiguri sia gli hui vengono da un passato di rivolte contro il potere imperiale cinese. Gli hui si sono più volte ribellati contro la dinastia Qing. Tuttavia il PCC ha costruito una leggenda metropolitana che opporrebbe tra loro hui e uiguri (le cui relazioni sono spesso state tese anche prima dell’avvento del comunismo, poiché parlano lingue diverse e seguono interpretazioni diverse dell’islam). Il PCC presenta gli uiguri come musulmani “cattivi”, separatisti e inclini al terrorismo, laddove invece gli hui sarebbero i musulmani “buoni”, integrati nel sistema ufficiale. In Tibet, dove risiede una consistente minoranza hui musulmana, il regime ha fomentato la tensione e creato incidenti che oppongono hui musulmani e tibetani buddhisti. Per contro, alcuni leader degli hui hanno sostenuto apertamente la repressione degli uiguri nello Xinjiang e quella dei buddhisti nel Tibet.
Gli hui sono stati molto importanti per la propaganda cinese. “Provano” che gli Uiguri sono perseguitati in quanto “separatisti” e non perché musulmani. Di fatto, insiste il PCC, i musulmani fedeli al Partito e non “separatisti” o “terroristi” non vengono perseguitati, come appunto dimostra il caso degli hui.
Ma tutto questo sta per finire. Gli emendamenti alle leggi sulla religione entrati in vigore quest’anno evidenziano profonda ostilità verso tutte le religioni e annunciano persecuzioni di massa contro ogni fede. I media internazionali hanno riferito che nel Linxia, una regione islamica della provincia del Gansu, nella Cina occidentale, dove massiccia è la presenza di hui, è stato rigidamente proibito l’ingresso nelle moschee ai minorenni (come nel resto della Cina è stato proibito loro l’ingresso nelle chiese cristiane), è vietata qualsiasi tipo di educazione religiosa e gli altoparlanti che invitavano alla preghiera sono stati rimossi da tutte le moschee della zona.
Era peraltro facile prevedere che a questo sarebbe presto seguita anche la demolizione delle moschee hui, proprio come altrove vengono demolite le moschee uigure. In agosto l’amministrazione si è mossa per demolire la Grande moschea del comune di Weizhou, nella regione autonoma hui del Ningxia. L’8 agosto 30mila hui si sono radunati per proteggere la moschea in una dimostrazione pubblica che ha colto l’amministrazione di sorpresa. La protesta è proseguita nei giorni seguenti fino a quando, il 10 agosto, un portavoce dell’amministrazione locale ha letto alla folla un documento in cui si annunciava che il progetto di demolizione della moschea era stato “posticipato”. Il documento non garantisce però che la moschea non venga demolita in futuro.
Alcuni leader degli hui, e altri in Cina, possono ora applicare a se stessi la famosa poesia di Niemöller:
[…] vennero a prendere gli xie jiao e io non dissi niente perché la mia religione non era classificata come xie jiao.
Poi vennero a prendere gli uiguri e io non dissi niente perché non ero uiguro.
Poi vennero a prendere me e non c’era rimasto più nessuno a protestare.