La campagna per eliminare le religioni non risparmia i simboli degli insegnamenti spirituali tradizionali; distrutti immagini e templi taoisti
di Tang Zhe
Il taoismo cinese è al tempo una pratica spirituale e una filosofia che promuove una vita frugale e fa parte dell’identità della civiltà cinese almeno dal secolo IV a.C. Sebbene appartenga al cosiddetto «mercato rosso», che comprende le cinque religioni ufficialmente riconosciute in Cina, il taoismo viene sempre più perseguitato dopo che nel febbraio scorso è entrata in vigore la nuova Normativa sugli affari religiosi.
Uno dei modi in cui le autorità reprimono il taoismo consiste nel distruggere o nascondere simboli e statue, compresi quelli del fondatore, il filosofo cinese Lao-Tzu (noto anche come Laozi o Lao Tze).
Una di queste sculture – il volto di Lao-Tzu scolpito nella roccia del monte Wugong nella zona panoramica nazionale di livello 4A a Yangshimu nella contea di Anfu, nella giurisdizione di Ji’an una città nella provincia sud-orientale dello Jiangxi – avrebbe dovuto essere distrutta il 12 ottobre. L’amministrazione locale aveva infatti dichiarato che il manufatto violava l’Articolo 30 della nuova Normativa sugli affari religiosi, il quale stabilisce che «organizzazioni e individui diversi dai gruppi religiosi, dai templi e dalle chiese non possono costruire grandi statue religiose all’aperto». La decisione ha fatto adirare la popolazione attirando l’attenzione dei media che, in alcune occasioni, hanno definito «assurda» la decisione di distruggere la scultura di Lao-Tzu perché «violerebbe le politiche religiose».
Secondo quanto riferito da un dipendente dell’area panoramica, la scultura è stata realizzata nel 2017 da Wang Ronghai, un noto scultore della provincia del Fujian. La scultura che misura sedici metri di larghezza e ventitré di altezza è costata oltre 4 milioni di renminbi (circa 560mila dollari statunitensi). Dopo il suo completamento l’opera è divenuta un’attrazione dell’area panoramica molto apprezzata dai turisti.
Secondo fonti locali, il piano iniziale del governo prevedeva la sua distruzione con l’esplosivo, ma l’amministrazione dell’area panoramica, temendo che l’esplosione potesse danneggiare la zona circostante si è opposta, oltretutto la scultura si trova di fronte all’ingresso della funivia dell’area panoramica. Così, dopo una trattativa tra le parti, si è deciso di nasconderla.
In marzo, per nascondere la scultura, l’amministrazione provinciale ha ordinato una sospensione di 20 giorni degli accessi all’area panoramica, minacciando di infliggere multe se gli ordini non fossero stati eseguiti correttamente.
Il parco ha quindi nascosto l’opera dietro una grande barriera decorata con piante e con sopra i caratteri del nome cinese Anfu (安福).
Il dipendente dell’area panoramica ha aggiunto che lo scorso ottobre anche il tempio taoista Ziyun, situato a circa quattro chilometri da Yangshimu, è stato chiuso dalle autorità in quanto era «senza licenza». Statue taoiste, bracieri per l’incenso e una grande campana sono stati rimossi e abbandonati sotto un cornicione. Quattro sacerdoti sono stati costretti a lasciare il tempio e non si sa dove si trovino attualmente.
La distruzione dei templi e dei simboli taoisti è diffusa in tutta la Cina. Il 9 maggio, il tempio di Qingyun nella nuova area Jinpu di Dalian, una città nella provincia nord-orientale del Liaoning, è stato sigillato per ordine delle autorità locali. Tutti gli oggetti che vi si trovavano, tra cui scritture taoiste, calligrafie e dipinti, sono stati bruciati o distrutti perché «pubblicazioni illegali». Un credente del posto ha detto che il governo sta «rettificando» la religione proprio come avveniva durante la Rivoluzione Culturale e ha aggiunto sconfortato: «Le persone devono fare qualunque cosa le autorità ordinino. Chi avrebbe il coraggio di opporsi?».
Allo stesso modo in aprile è stato sigillato anche il tempio taoista Jiulong situato nel distretto Pulandian di Dalian. Funzionari dell’amministrazione locale hanno chiuso l’ingresso e hanno ordinato al responsabile di firmare una dichiarazione in cui garantiva che non avrebbe venduto incenso o tenuto cerimonie e riti taoisti.