Due studiosi cinesi suggeriscono che il virus provenga dai pipistrelli tenuti in cattività in due centri di ricerca di Wuhan. Il loro documento è stato prontamente censurato, ma il PCC dovrebbe spiegare al mondo cosa esattamente è successo lì.
di Marco Respinti
Un intero Paese, l’Italia, è in quarantena. Altri ne stanno seguendo l’esempio. Non è mai successo prima. Il coronavirus sta minacciando le nostre vite ovunque, e il suo costo in vite umane in Italia, il mio Paese, cresce di ora in ora.
Ma cosa si sa di questo nuovo virus letale, specialmente sulla sua origine? Molto poco, e le persone sprofondano nella confusione poiché troppo spesso i media sembrano inseguire la spettacolarizzazione piuttosto che informare secondo verità.
Se un italiano cercasse in Google «mercato pesce Wuhan» quel che otterrebbe è un esempio piuttosto evidente di palese contraddizione. Come si può vedere dallo screenshot qui sopra, il Corriere della Sera, il maggiore quotidiano italiano, afferma che il coronavirus non abbia avuto affatto origine nel mercato di Wuhan, come molti hanno ripetuto nelle ultime settimane. Ma il secondo record di Google, del National Geographic, dice esattamente il contrario: il virus proviene dal mercato ittico di Wuhan. Entrambi gli articoli portano la stessa data: 20 gennaio 2020, e sono i primi due record pubblicati nella mia ricerca su Google il 9 marzo 2020.
Il 24 febbraio l’autorevole periodico accademico medico britannico The Lancet ha negato scientificamente che l’origine del coronavirus sia il mercato di Wuhan. Il primo caso di coronavirus verificatosi in Cina è infatti datato 1° dicembre 2019 e non è possibile stabilire alcun collegamento fra quel caso e il mercato di Wuhan. Inoltre, 13 casi su 41 (una percentuale statisticamente piuttosto elevata) non hanno alcun collegamento con il mercato di Wuhan. Una notizia, questa, rilanciata nel mondo dai media.
Caso chiuso? No. Mentre seri studiosi accademici, e dilettanti meno seri, speculavano sull’origine del virus, a metà febbraio due ricercatori cinesi, il dott. Botao Xiao della South China University of Technology di Guangzhou e il dott. Lei Xiao della Wuhan University of Science and Technology, hanno individuato nei pipistrelli la vera fonte dell’infezione. Interessante notare come il loro studio sia scomparso dal database accademico internazionale Research Gate ‒ non il primo incidente di questo genere per testi provenienti dalla Cina che il PCC non gradisce ‒, benché sia ancora disponibile attraverso Wayback Machine, uno strumento utile a ricuperare materiali Internet cancellati che fino a oggi la Cina non è riuscita a controllare.
L’articolo non riguarda i pipistrelli allo stato brado, dal momento che nella regione in cui si è manifestato il coronavirus non esistono animali di questo tipo. I più vicini si trovano a più di 900 chilometri da Wuhan ed è impossibile che abbiano compiuto un volo di questa lunghezza senza contagiare nessuno sul percorso. Quei pipistrelli, dicono i due esperti cinesi, potrebbero quindi provenire da due centri di ricerca situati a Wuhan o nelle vicinanze. Uno è il Wuhan Center for Disease Control & Prevention, che sta a meno di 300 metri dal mercato di Wuhan, e l’altro è il Wuhan Institute of Virology, amministrato dall’Accademia cinese delle scienze, posto a circa 12 chilometri dal mercato. L’analisi dei due studiosi cinesi riferisce che in quei centri si svolgono esperimenti sul virus, concludendo che «[il] suo ricercatore principale ha partecipato a un progetto che ha generato un virus chimerico usando il sistema della genetica inversa del SARS-CoV riscontrandone la potenziale comparsa nell’uomo. Una delle ipotesi dirette è che la SARS-CoV o un suo derivato possano essere fuoriusciti dal laboratorio».
Effettivamente sono i pipistrelli i responsabili del coronavirus. Ne contagiano gli esseri umani. Una delle risposte possibili alla domanda sulle origini del coronavirus è che qualcosa nei due centri di ricerca possa essere andato fuori controllo e così il morbo si è diffuso. Ciò che i due ricercatori cinesi chiaramente non dicono nel proprio studio è che il virus mortale che sta affliggendo il mondo sia stato creato e fatto proliferare di proposito.
Il primo giornale occidentale ad avere dato notizia dello studio dei due ricercatori cinesi è stato, a quanto pare, il Daily Mail britannico, che già aveva attirato l’attenzione sul secondo dei due centri di ricerca della zona, creato nel 2015 e aperto nel gennaio 2018 per studiare agenti patogeni pericolosi quali SARS ed Ebola. Temendo che un virus potesse fuoriuscire da lì, gli esperti statunitensi di biosicurezza avevano espresso preoccupazione già nel 2017, dato che, nel 2004, un virus SARS era fuggito da un laboratorio di Pechino.
Ora, nessuno a Bitter Winter è un virologo o uno specialista in malattie contagiose e quindi lasciamo l’intera questione a esperti veri. Non siamo nemmeno nella condizione di valutare se l’ipotesi del dott. Botao Xiao e dl dott. Lei Xiao sia affidabile. Ma una cosa è certa: vogliamo trasparenza. La comunità internazionale ha l’autorità e la forza per chiedere alla Cina di spiegare chiaramente a tutto il mondo cosa succede nei centri di ricerca di Wuhan, come vengano trattati i virus e condotti gli esperimenti sugli animali lì, e cosa ci facciano con tutto questo.
Viviamo in un mondo globalizzato e le malattie ci mostrano l’aspetto duro di questa espressione. Non stiamo accusando la Cina di alcun complotto. Vogliamo solo sapere. Le persone nel mondo vogliono sapere, e anche le persone perseguitate in Cina vogliono sapere. E ciò che, in questa tempesta di informazioni, impressioni, opinioni, competenze, reali o presunte, più troviamo sconcertante è che nessuno stia chiedendo alla Cina, un Paese che già vanta un record orribile in tema di diritti umani e di disinformazione, di spiegare chiaramente cosa succede in quei centri di ricerca, uno a meno di 300 metri dal mercato di Wuhan e l’altro a soli 12 chilometri. Nessuno di noi sta accusando la Cina a cuore leggero. Poniamo domande e vogliamo risposte. Perché non lo fa anche il mondo?