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“Sfinire un’aquila”: la tortura della privazione del sonno

19/08/2018Feng Gang |

privazione del sonno

Questo crudele metodo di tortura, che provoca gravi danni fisici e psicologici, viene spesso usato in Cina per interrogare i credenti.

Nel 1986 il governo cinese ha firmato la convezione delle Nazioni Unite contro la tortura, ma non l’ha mai applicata. In Cina le autorità preposte all’applicazione della legge fanno uso di circa cento metodi di tortura estrema. Il più conosciuto è la “sedia di tigre”, ma i detenuti sono anche obbligati a ingurgitare acqua calda con peperoncino piccante, olio di senape, feci e acqua di mare concentrata. Vengono poi esposti a temperature estremamente calde o fredde, alcune parti del loro corpo vengono bruciate con fuoco o con aghi, oppure vengono inserite stecche di bambù sotto le unghie.

La privazione del sonno può sembrare innocua, ma è universalmente riconosciuta come una delle forme più crudeli di tortura. È ampiamente utilizzata perché non lascia alcuna traccia sul corpo della vittima, ma è molto efficace nell’annientarne la volontà. “Sfinire un’aquila”: è l’espressione spesso utilizzata per descrivere questo tipo di tortura e deriva dall’allenamento cui è sottoposto il volatile. Le zampe dell’uccello vengono legate a una corda e, tutte le volte che l’animale chiude gli occhi, l’allenatore fa ondeggiare la corda, svegliandolo. Contemporaneamente viene proiettata una luce intensa nei suoi occhi. In genere non ci vogliono più di tre giorni perché l’aquila sia sfinita e diventi un volatile obbediente.

Lo stesso avviene alle persone che subiscono questo metodo di tortura: sono obbligate a stare sedute o in piedi e non viene loro consentito di dormire per giorni. Chi conduce l’interrogatorio tiene una luce sempre accesa e produce forti rumori gridando o battendo su qualcosa per impedire alla persona di addormentarsi, al contempo picchiandola.

Il cinquantacinquenne Li Xinzhi, fedele della Chiesa di Dio Onnipotente, un nuovo movimento religioso cristiano cinese, della provincia dello Hebei, ha subito questa tortura più di 10 anni fa e, di recente, ha descritto a Bitter Winter la sofferenza straziante che essa causa.

Un giorno del novembre 2002, a notte fonda, 15 agenti della pubblica sicurezza lo hanno arrestato dopo una soffiata, senza peraltro esibire alcun mandato. Lo hanno portato in un albergo di un’altra città e lo hanno interrogato tutta la notte, senza peraltro riuscire a ottenere le informazioni desiderate: ovvero l’elenco dei leader della Chiesa e informazioni sui fondi della stessa. Un funzionario, che si è identificato come il capufficio Zou, ordinava a Li Xinzhi di parlare, minacciando che altrimenti lo avrebbe fatto «soffrire per sette giorni fino a quando non si fosse sottomesso».

A quel punto l’uomo è stato portato in un’altra stanza, dove un agente della bassa manovalanza lo ha guardato con sadismo, dicendo: «Ora iniziamo a “sfinire l’aquila’!». Non comprendendo, Li Xinzhi ha chiesto cosa significasse. L’agente ha iniziato a camminare avanti e indietro e ha risposto con compiacenza: «Non sai cosa voglia dire “sfinire un’aquila”? I falconieri non lasciano dormire gli uccelli fino a che quelli non obbediscono incondizionatamente».

Un altro agente, di stazza robusta, ha puntato il dito su Li Xinzhi e ha sbottato: «Sarai in stato di confusione totale in meno di sette giorni. E poi parlerai senza nemmeno bisogno che t’interroghiamo». Il primo agente ha continuato, traendo piacere dalla malaparata del prigioniero: «Quando la carne viene picchiata molto duramente non senti più dolore, ma “sfinire un’aquila” è peggio della morte. Anche se non muori, sentirai come se ti venisse strappata la pelle di dosso».

A queste parole, Li Xinzhi si è agitato moltissimo perché ha capito che si trattava di un metodo di tortura brutale. Ha potuto solo pregare in silenzio. Gli agenti hanno continuato a interrogarlo, senza sosta, sulla sua fede e sulla Chiesa, ma lui è riuscito a non dire nulla.

Tre giorni dopo la polizia ha scoperto, sul posto di lavoro di Li Xinzhi, un taccuino di devozioni spirituali e un libro contenente le parole di Dio. Il capufficio è tornato a interrogarlo: «Hai qualcosa da dirci? Parla, chi ti ha convertito? Dove hai preso questo libro?». Il prigioniero non ha risposto e così il capo Zou gli ha intimato di alzarsi. «In questi ultimi giorni te la sei presa comoda, vero? Non credere che gli agenti qui te la faranno passare liscia!». Un altro agente è intervenuto: «Ora abbiamo prove del tuo crimine. Anche se non parli, possiamo lo stesso condannarti senza confessione. Credi in Dio Onnipotente e se non parli ti consegneremo all’Ufficio della Pubblica Sicurezza. Lì non sono così gentili come lo siamo noi. Sarei sorpreso se non ti riducessero in poltiglia!».

Li Xinzhi ha risposto: «Poiché dite che potete condannarmi senza una confessione, non fatemi più domande, condannatemi e facciamola finita!». Il capo Zou ha fatto cenno di no con la mano gridando agli altri agenti: «Non sprecate parole. Fategli vedere di cosa siete capaci!».

Gli agenti hanno così iniziato a interrogare Li Xinzhi 24 ore al giorno suddivise in tre turni con due di loro ogni turno. A parte i momenti in cui veniva portato in cella per i pasti, il prigioniero ha passato il resto del tempo su una “sedia di tigre”, privato totalmente del sonno; non gli veniva consentito nemmeno di chiudere gli occhi o di appisolarsi. Veniva interrogato continuamente e aveva due luci ad alta intensità puntate continuamente sul suo volto.

L’uomo ha dichiarato che la sera era il momento più difficile da sopportare. I raggi delle due luci ad alta intensità gli provocavano delle fitte; eppure veniva obbligato a tenere gli occhi sempre aperti e a guardare di fronte a sé. A tarda notte, due agenti gli sedevano di fronte e dormivano a turno. Nel momento in cui il prigioniero cedeva sonno, un agente batteva con forza sulla tavola per svegliarlo.

A volte, quando gli agenti vedevano che il prigioniero era disperatamente stanco, gli aprivano a forza gli occhi con le mani. Lo facevano anche alzare dalla “sedia di tigre” e sollevare le braccia sulla testa, mentre gli gridavano in faccia: «Fai il bravo e stai qui. Vediamo se riesci a dormire. In piedi!». Una volta rimasto in piedi per lungo tempo, Li Xinzhi iniziava a dondolare per lo sfinimento; allora gli agenti lo prendevano a calci nelle gambe, impedendogli di chiudere gli occhi.

Non gli davano niente da bere: mangiavano invece della frutta o bevevano davanti a lui, provocandolo: «Ne vuoi? Se parli, ti daremo qualcosa da mangiare».

Durante gli interrogatori, se non rispondeva o se non era abbastanza svelto, veniva punito. Una volta, visto che era lento nel rispondere, gli agenti si sono scagliati contro di lui con pugni e calci. Quindi lo hanno sbattuto con la faccia a terra, ammanettando dietro una sedia. Era per metà a terra e per metà in ginocchio sul terreno; dopo non molto, entrambe le mani gli si sono intorpidite, perdendo sensibilità. Davanti alla sua sofferenza gli agenti hanno iniziato a ridere malignamente: «Ti sta bene. Nessuno ti ha costretto a credere in Dio!». Li Xinzhi è stato torturato fino a quasi perdere la vita. Di fronte a tali torture disumane, non poteva far altro che continuare a pregare Dio.

La combinazione di luci che gli abbagliava gli occhi e la mancanza di riposo ne hanno arrossato e gonfiato gli occhi; la sua vista si era palesemente deteriorata e non gli erano rimaste più forze; non riusciva nemmeno più a camminare diritto. Tutte le volte che doveva prendere i pasti, gli agenti dovevano trascinarlo a forza altrimenti si sarebbe alzato solo per cadere. Non riusciva più a inghiottire il cibo e voleva solo dormire. Quando si trovava in questo stato di confusione, gli agenti battevano sulla tavola o urlavano per farlo sussultare. È stata per lui una sofferenza psicologica terribile ed è stato allora che ha iniziato ad avere allucinazioni, sentendosi come sulle nuvole mentre in realtà stava sulla “sedia di tigre”. Insomma, non era più in grado di distinguere tra allucinazione e realtà.

Gli interrogatori senza tregua hanno sfinito completamente il suo corpo e la sua mente. Soffriva del resto di emorroidi gravi e quindi sedersi per lunghi periodi sulla “sedia di tigre”, rigida e fredda, gli provocava una sofferenza indicibile. Li Xinzhi ha dichiarato che in quel momento sentiva che la morte sarebbe stata meno dolorosa di quel tipo di vita.

Dopo circa 15 giorni di torture, si trovava in stato confusionale e sull’orlo di un esaurimento nervoso. Un giorno, preoccupati che potesse succedere qualcosa di grave di cui sarebbero poi stati ritenuti responsabili, gli agenti gli hanno permesso di dormire per più di un’ora. Hanno anche allentato la sorveglianza, tanto gli interrogatori non sortivano alcun effetto. Sebbene fosse ancora ammanettato nella sala degli interrogatori, la frequenza degli interrogatori si ridusse. Il prigioniero è quindi stato in grado di godere di un breve momento di riposo occasionale sulla “sedia di tigre” o di appisolarsi brevemente quando notava che non era sorvegliato. Ha sopportato queste condizioni 23 giorni.

La tortura brutale gli ha comunque provocato gravi danni fisici: la sua vista è diminuita, i suoi tempi di reazione sono rallentati, soffre di vuoti di memoria a causa della iperstimolazione neurologica e soffre di insonnia. Spesso ha dei mal di capo insopportabili, come se la sua testa venisse aperta.

Li Xinzhi sa che molti altri fedeli della Chiesa in Dio Onnipotente sono stati torturati tramite lo “sfinimento dell’aquila”. Di recente Bitter Winter ha ricevuto notizie di due casi analoghi, prova che in Cina si ricorre ancora a questa tortura brutale: un uomo, arrestato il 12 giugno, è stato privato del sonno per undici giorni e una donna, di circa 60 anni, è stata sottoposta alla stessa tortura per quattro giorni.

Servizio di Feng Gang

 

Contrassegnato con: Chiesa di Dio Onnipotente, Tortura

Feng Gang
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