Il mondo la conosce per la campagna promossa dalla sorella Rushan, che non ha mai smesso di chiederne conto al PCC. Ora una risposta c’è. La donna è rinchiusa in un campo dello Xinjiang
di Marco Respinti
Gulshan Abbas è stato trovata. È detenuta nello Xinjiang, proprio come i suoi parenti hanno sostenuto per 21 mesi.
Gulshan è una dottoressa uigura in pensione, che lavorava al Nurbagh Petroleum Hospital della capitale della Regione autonoma uigura dello Xinjiang, Urumqi. Pensionata o no, è stata arrestata e inviata in una di quelle strutture che il PCC chiama «scuole professionali», ma che in realtà sono i temuti campi per la trasformazione attraverso l’educazione. Laddove i documenti internazionali affermano che almeno un milione di uiguri e altri musulmani turcofoni (e alcuni cristiani) siano detenuti in quei campi del tutto simili a prigioni, i ricercatori indipendenti ritengono che la cifra attuale sia in realtà più vicina ai tre milioni.
La dottoressa Abbas, 57 anni, è scomparsa improvvisamente l’11 settembre 2018. Mese dopo mese, i suoi parenti negli Stati Uniti d’America hanno lottato per sapere cosa ne fosse stato, attirando anche l’attenzione di alcuni membri del Congresso degli Stati Uniti, ma senza risultati. Adesso però il servizio in lingua uigura di Radio Free Asia riferisce di essere riuscito a intervistare una impiegata cinese han dell’Ufficio Quadri del PCC dell’Ospedale Nurbagh Petroleum la quale ha confermato «[…] che Gulshan Abbas è stata arrestata, sebbene non sia sicura del perché o del luogo in cui la dottoressa in pensione sia stata portata». Coperta dall’anonimato, l’impiegata ha aggiunto: «Abbiamo studiato e visionato alcuni materiali di archivio e altri documenti che la riguardano, ma non so esattamente quale sia il dipartimento che l’ha presa in carico». Di fatto l’arresto della dott.ssa Abbas è stato notificato attraverso «un annuncio diffuso da funzionari di livello superiore», ma l’impiegata intervistata «non è sicura se la donna sia stata trasferita in un campo di internamento». Questo è tutto ciò che si sa.
Una detenuta che non ha commesso reati
I lettori di Bitter Winter conoscono bene il caso di Gulshan Abbas. Ne abbiamo raccontato la storia intervistando la sorella, Rushan Abbas, fondatrice e presidente di Campaign for Uyghurs a Herndon, in Virginia. Rushan è persuasa che il governo cinese abbia incarcerato Gulshan per rappresaglia contro il proprio attivismo negli Stati Uniti. «Sei giorni dopo avere tenuto una conferenza per l’Hudson Institute di Washington», spiega, «tanto mia sorella quanto mia zia sono state rapite benché vivano a 1400 km di distanza l’una dall’altra. Non è una coincidenza. Mia sorella non ha colpe ed è arbitrariamente in carcere da 22 mesi. Una detenuta che non ha commesso reati».
Una delle figlie di Gulshan Abbas, Ziba Murat, ha creato un sito web per tenere desta la memoria della madre e nel giorno della Festa della mamma 2019 ha pubblicato su Bitter Winter un appello commovente. «Della mamma non sappiamo altro», ci dice ora. «Non ci sono informazioni ulteriori: solo che sono stati visti alcuni documenti relativi al suo arresto che circolavano in ospedale. Molti hanno già cercato di sapere di più, ma senza successo. Questa nuova notizia è arrivata un paio di giorni dopo che ho avviato una petizione per chiedere il rilascio di mia madre. Ci sono anche due richieste di intervento urgente per la sua liberazione patrocinate da Amnesty International, una nel Regno Unito e una negli Stati Uniti. La mia supplica alla comunità internazionale rimane la stessa: per favore, aiutami a far conoscere il suo caso e a far firmare le petizioni in suo nome. Uniti siamo più forti, e ogni firma in più mi porta un passo più vicino alla mamma!».
Fake news, come al solito
«Non ho saputo nulla del luogo in cui si trovasse mia sorella, men che meno se fosse viva o meno, per oltre 21 mesi. La mia prima reazione è stata dunque di sollievo, perché almeno ho la conferma che è viva», dice Rushan Abbas a Bitter Winter. «Ma non basta. Mia sorella deve essere liberata e ne voglio la conferma da lei in persona. Adesso lavoro ancora più sodo per farne conoscere il caso e garantirle il modo di tornare a casa sana e salva per riunirsi alla sua famiglia. È assolutamente ignobile che venga a sapere i dettagli della sua detenzione da un articolo di giornale e non dal governo».
Dopo il rapimento di Gulshan, Rushan non ha taciuto un attimo e ne ha patito ritorsioni. «Tanto per cominciare», racconta, «il governo cinese ha fatto di tutto per screditare le mie accuse di averla rapita. E il Global Times, un tabloid nazionalista sostenuto dal PCC, ha lanciato una campagna di diffamazione sostenendo che utilizzo immagini false e che dico bugie sul suo rapimento».
Rushan vuole «che il mondo veda a quali azioni oltraggiose e illecite la Cina ricorra per zittirmi», dice a Bitter Winter. «Mi sono fatto un punto d’onore di taggare i funzionari del governo cinese ogni volta che chiedo il suo rilascio immediato così da mostrare loro che so che sono complici del suo rapimento. Sui social media molti di loro mi hanno già bloccata. Non c’è nient’altro che possa fare se non continuare a sollevare il suo caso e denunciare la corruzione del governo cinese».
La dottoressa Gulshan Abbas compirà 58 anni il 12 giugno. Un altro compleanno dietro le sbarre.