Al Parlamento Europeo una importante conferenza tripartisan sulla libertà religiosa in Cina ha esortato le istituzioni internazionali a svegliarsi di fronte alla brutalità del PCC
Marco Respinti
Freedom of Religion in China: sotto questo titolo, il 23 gennaio tre eurodeputati di diversi Paesi, convinzioni religiose e orientamento politico hanno convocato un seminario nella sede di lavoro di Bruxelles, in Belgio, del Parlamento Europeo, sponsorizzato dai tre principali gruppi politici nell’emiciclo.
Per svolgere l’argomento, Bastiaan Belder, deputato neerlandese dei gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR), Christian Dan Preda, deputato rumeno del Partito Popolare Europeo (PPE) e Josef Weidenholser, deputato austriaco dell’Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici ‒ vale a dire la rappresentanza politica “tradizionale”, rispettivamente, della Destra conservatrice, del Centro cristiano-democratico e della Sinistra democratica ‒, hanno invitato Bob Fu, Kuzzat Altay (al posto di Omar Bekali, che non è potuto arrivare dagli Stati Uniti per un problema di visto), padre Bernardo Cervellera, Willy Fautré e il sottoscritto.
Non meno di 100 persone hanno gremito la sala. Tra loro, Harry Tseng, ambasciatore dell’Ufficio di Rappresentanza di Taipei nell’Unione Europea e in Belgio; il deputato ungherese del PPE László Tőkés; il deputato britannico dell’ECR Sajjad Karim; Tashi Phuntsok, rappresentante di Sua Santità il Dalai Lama in Europa, Europa Occidentale e Maghreb; giornalisti, rappresentanti di organizzazioni non governative (ONG), nonché esuli cinesi, tibetani e uiguri, in particolare, Dolkun Isa, presidente del World Uyghur Congress, più Keda Kaceli, autrice albanese.
I relatori sono intervenuti all’unisono. In Cina si combatte oggi una guerra totale alla religione e la comunità internazionale deve fare urgentemente qualcosa per fermarla. Per questo i tre eurodeputati, come hanno detto Belder e Preda nelle considerazioni introduttive, hanno ospitato con orgoglio il simposio in una delle principali istituzioni della scena politica mondiale.
Bob Fu, ministro di culto sino-americano, nonché fondatore (nel 2002) e presidente di ChinaAid, un’organizzazione evangelicale, con sede a Midland, in Texas, che fornisce assistenza legale ai cristiani in Cina, ha sottolineato che il primo dovere che tutti abbiamo è non dimenticare chi soffre. Lo ha detto ricordando l’esempio del pastore cristiano rumeno Richard Wurmbrand (1909-2001), imprigionato e torturato dal regime comunista del suo Paese, e fondatore dell’organizzazione internazionale Voice of the Martyrs, che continua ancora oggi ad aiutare i cristiani perseguitati di tutto il mondo.
Ricordando che i campi per la “trasformazione attraverso l’educazione” dello Xinjiang assomigliano ai campi di concentramento nazisti, e che per gli uiguri e le altre minoranze musulmane il PCC usa letteralmente la famigerata espressione nazista «soluzione finale» che prospettava agli ebrei un destino di genocidio, Fu ha introdotto il secondo oratore, Kuzzat Altay, costretto a fuggire dalla Cina nel 2005 a 19 anni. Imprenditore, fondatore e presidente di una società a Fairfax, in Virginia, il cui nome parla da solo ‒ Uyghur ‒, un giorno Kuzzat ha sentito il padre dirgli: «Figlio, stanno per prendermi». Poi l’uomo, 67 anni, è scomparso come se fosse stato inghiottito nella palude dei campi dello Xinjiang, dove, secondo le Nazioni Unite, sono detenute 1,5 milioni di persone, ma, ha detto Altay, gli uiguri pensano che il numero sia da raddoppiare. Quello di cui più il giovane Kuzzat si rammarica è che, se per i campi nazisti il mondo è stato in grado di vedere (orribili) foto e video, per i campi nello Xinjiang le immagini sono così poche (Bitter Winter ha contribuito ad aumentarne il numero) che le persone la considerano una scusa per volgere il volto altrove. Quasi in lacrime, Altay ha poi toccato un argomento controverso, che il PCC sta usando per giustificare la propria impressionante repressione, e, in conclusione, ha detto a voce alta: «Non sto chiedendo l’indipendenza, sto chiedendo di salvare delle vite».
Quindi ha preso la parola p. Cervellera. Direttore di AsiaNews, l’agenzia stampa ufficiale, in quattro lingue (inglese, cinese, italiano e spagnolo), del cattolico Istituto Pontificio per le Missioni Estere (PIME), notoriamente considerato il principale esperto cattolico in Cina, p. Cervellera ha detto che, dopo l’accordo tra la Santa Sede e la Cina del 2018, per i cattolici perseguitati non è cambiato nulla. Il missionario ha osservato che, secondo quanto riferito da un vescovo clandestino, « […] il papa avrebbe detto […] [che] se non si firmava l’accordo, la Cina minacciava di ordinare 45 vescovi illeciti e “indipendenti” dalla Santa Sede, creando le basi di un vero e proprio scisma. L’accordo è stato quindi un vero e proprio ricatto. In più, subito dopo la firma dell’accordo, in molte regioni della Cina il Fronte unito e l’associazione patriottica hanno svolto raduni per sacerdoti e vescovi in cui si spiegava loro che nonostante l’accordo”, essi dovevano lavorare per l’attuazione di una Chiesa indipendente. Le distruzioni di croci, chiese, sessioni di indottrinamento, arresti sono continuati come prima dell’accordo, se non peggio». È evidente, ha aggiunto, «[…] che il governo e il Partito comunista cinese sono impegnati in una vera e propria guerra religiosa per spodestare il Dio dei cristiani e sostituire il dio-Xi Jinping, che implica una sottomissione totale al Partito comunista».
E questo ha portato direttamente a ciò che il sottoscritto ha detto al pubblico di Bruxelles. Dopo aver illustrato cosa Bitter Winter sia e faccia, ho infatti ribadito una delle mie convinzioni più profonde: «il PCC considera Dio un nemico. Perché? Perché Dio è un suo rivale diretto. I credenti vengono oggi sempre più costretti a rimuovere e a distruggere le immagini religiose per sostituirle con i ritratti di Mao Zedong e di Xi Jinping. Che sono dèi gelosi […]. Dio si estinguerà. Nel frattempo il governo cinese estingue i credenti».
È per questo che ho proposto di imporre alla Cina un “dazio etico”, e ho invitato l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, nonché vicepresidente della Commissione Europea, Federica Mogherini, e i parlamentari europei a usare tutte le occasioni di incontro con le autorità cinesi, così come i meccanismi delle Nazioni Unite, per assicurare la tutela dei diritti umani e trasmettere queste preoccupazioni al governo cinese, sollecitandolo a rispettare gli standard internazionali in materia di libertà religiosa.
Willy Fautré, co-fondatore e direttore di Human Rights Without Frontiers, una delle principali ONG di Bruxelles, nonché co-direttore di Bitter Winter, ha quindi sviluppato ulteriormente l’argomento, concentrandosi sulla persecuzione subita da religioni quali il buddismo e il taoismo che certamente il PCC non può accusare di essere strumenti della “colonizzazione occidentale” ma che ciononostante vengono ugualmente perseguitate. Fautré ha dunque tematizzato la brutale repressione patita da nuovi movimenti religiosi come il Falun Gong e la Chiesa di Dio Onnipotente (CDO). Proiettando alcune immagini di distruzioni e di aggressioni pubblicate da Bitter Winter, Fautré ha sottolineato la macabra realtà della persecuzione che avviene attraverso arresti arbitrari, uccisioni extragiudiziali ed espianto di organi umani, illustrando inoltre le grandi difficoltà che gli esuli cinesi perseguitati per motivi religiosi incontrano quando chiedono asilo in molti Paesi occidentali, situazione che risulta essere particolarmente grave per i fedeli della CDO.
Ha quindi terminato dicendo: «Quando i gruppi violenti e terroristici fanno uso cattivo e strumentale dell’islam per motivi politici, i musulmani comuni, i fedeli e i leader musulmani rispettosi della legge, tolleranti e amanti della pace gridano forte e chiaro: “Non a mio nome. Non a nome dell’islam”. In Europa recentemente organizzazioni e singoli individui atei, agnostici e laici si sono schierati a fianco di organizzazioni religiose per condannare le leggi sulla blasfemia vigenti in Pakistan onde salvare la vita di Asia Bibi, una donna cristiana condannata a morte. Adesso hanno l’occasione di alzare la propria voce forte e chiara contro la persecuzione di tutte le fedi in Cina: “Non a mio nome. Non a nome dell’ateismo”».
Come ha detto Weidenholzer in conclusione, «accettare quanto sta accadendo in Cina non è possibile. C’è bisogno di maggiore informazione e di maggiore schiettezza». L’impegno è quello di organizzare altri convegni come questo per destare la coscienza del mondo in ogni modo lecito. I migliori alleati del PCC sono infatti il silenzio e la tiepidezza.