Almeno 45 nostri reporter sono stati fermati e interrogati per spionaggio e sovversione. “Scomparso” il corrispondente che aveva filmato un campo segreto nello Xinjiang
In agosto, i vertici del Partito Comunista Cinese (PCC) hanno indicato Bitter Winter come «sito web straniero ostile» per avere pubblicato documenti segreti e informazioni sulla repressione contro le religioni e sulla violazioni dei diritti umani di cui il PCC è responsabile. Le autorità si sono poi vendicate sabotando più volte il nostro sito, e anche prendendo di mira reporter e collaboratori.
Infatti, a partire appunto da agosto, almeno 45 collaboratori di Bitter Winter che operano sul territorio cinese sono stati arrestati per avere filmato episodi di persecuzione religiosa e di violazione dei diritti umani da parte del PCC, o per averne dato notizia. Di solito i reporter vengono arrestati e interrogati con l’accusa di avere «divulgato segreti di Stato» oppure per «complicità nell’azione d’infiltrazione operata da forze straniere». Alcuni di loro sono stati inviati in «centri per l’educazione giuridica» per essere sottoposti a corsi obbligatori di indottrinamento, mentre altri sono stati torturati e abusati.
In generale, il PCC ha intensificato gli attacchi contro la libertà di stampa e contro chiunque denunci le violazioni dei diritti umani in Cina. Questo dicembre Reporters Without Borders, una associazione no-profit con sede a Parigi, in Francia, ha pubblicato un rapporto in cui la Cina figura come il Paese con il più elevato numero di giornalisti in carcere. Almeno 60 persone tra giornalisti professionisti e amatoriali sono infatti state arrestate arbitrariamente. Ma il controllo rigido esercitato dalle autorità cinesi sull’informazione pubblica rende complicato riuscire a documentare la situazione di ogni singolo giornalista scomparso: il numero potrebbe quindi essere purtroppo anche maggiore.
L’attacco ai nostri reporter ha duramente colpito Bitter Winter. A metà ottobre due nostri collaboratori sono stati arrestati nella provincia del Fujian, sulla costa sudorientale del Paese. Sono ancora in prigione. Sono stati definiti «persone di primo livello» che necessitano di essere tenute sotto osservazione particolare e quindi non hanno diritto alle visite dei familiari. Secondo informazioni raccolte all’interno del sistema repressivo cinese, la polizia li ha torturati entrambi.
Un altro nostro corrispondente, attivo nella regione dello Xinjiang, è riuscito, settimane fa, a realizzare un’inchiesta esclusiva sui campi per la trasformazione attraverso il lavoro, compresa la loro struttura interna. L’uomo è stato arrestato a fine settembre. Che fine abbia fatto ancora non si sa.
Una volta rilasciati, alcuni dei nostri collaboratori, hanno riferito degli interrogatori subiti. Uno racconta di essere stato apostrofato così: «Sei in Cina e quindi devi rispettare le leggi cinesi. Se lo Stato ritiene che tu le abbia violate, allora tu le hai violate. Se vuole condannarti a morte, per il Partito sarà come schiacciare una formica». E ancora: «Raccogliere questi materiali e raccontare questi eventi è sovversione contro il potere dello Stato; è spionaggio».
Un altro collaboratore ancora ha aggiunto: «Fornire queste notizie è molto pericoloso, ma dobbiamo far conoscere a tutto il mondo la realtà delle persecuzioni praticate dal PCC contro le fedi e gli abusi dei diritti umani che esso commette. Il Partito deve essere condannato e fermato. Penso che ce la farò e che continuerò a informare».
Servizio di Lin Yijiang