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Attivista kazako costretto a rilasciare una confessione falsa

26/03/2019Li Pei |

Serikzhan Bilash, arrestato per aver riferito del maltrattamento degli uiguri nello Xinjiang, rivela i dettagli della sua detenzione con un messaggio vocale

Serikzhan Bilash fuori dal tribunale
Serikzhan Bilash fuori dal tribunale (fotografia fornita dal volontario/giornalista Qiao Na di RFA)

Serikzhan Bilash, responsabile di Atajurt, una ONG per i diritti umani in Kazakistan, si trova agli arresti domiciliari in attesa di processo dopo il suo arresto avvenuto il 10 marzo con l’accusa di “incitamento all’odio etnico”. L’uomo raccoglie le informazioni fornite da persone residenti in Kazakistan sui loro parenti perseguitati in Cina e le mette a disposizione delle organizzazioni internazionali per i diritti umani. La settimana scorsa, tramite il suo avvocato, ha dichiarato di essere stato minacciato per aver diffuso notizie sulla persecuzione della minoranza kazaka in Cina. L’uomo è anche stato costretto a rilasciare una confessione in video.

Il governo del Kazakistan si sta concentrando su presunte affermazioni di Serikzhan con le quali egli avrebbe invocato lo “jihad contro i cinesi”. Il video di un suo discorso registrato a febbraio in occasione di un incontro pubblico proverebbe la veridicità dell’accusa, ma Serikzhan afferma che i commenti nel video sono stati estrapolati dal contesto in modo errato.

Un altro attivista kazako, Erkin Azat, ha fornito a Bitter Winter un messaggio vocale di Serikzhan registrato mentre quest’ultimo si trovava agli arresti domiciliari. Nel messaggio, Serikzhan afferma che due delle persone che lo hanno arrestato hanno rifiutato di identificarsi e lo hanno costretto a registrare un video in cui ammetteva la sua colpevolezza. È stato anche costretto a ricusare il suo avvocato Aiman ​​Umarova e gli è stato ordinato di accettare un avvocato d’ufficio assegnatogli dal governo. Gli è anche stato detto: «noi siamo la legge. Se decidiamo che sarai processato, lo sarai. Se decidiamo di liberarti, sarai libero».

Serikzhan ha riferito che i funzionari kazaki lo hanno costretto a firmare diversi documenti, ma che non sa come verranno utilizzati. È stato minacciato di essere condannato a dieci anni di carcere se non avesse collaborato. Nel suo messaggio vocale Serikzhan afferma: «Volevano farmi credere che se avessi fatto come volevano non sarei stato processato, mi dicevano: “Confessi il suo crimine e chieda l’applicazione delle procedure semplificate e noi la rilasceremo appena possibile. Verrà rilasciato prima del 31 marzo. Però, non potrà più occuparsi dei problemi sino-kazaki. Alcuni dei suoi diritti saranno limitati, ma non andrà in carcere e non sarà condannato”».

Serikzhan ha dichiarato che, per proteggere la sua sicurezza, ha registrato un messaggio vocale e lo ha inviato a sua moglie. Nel messaggio ribadisce di non aver invitato nessuno «a partecipare allo jihad». Ha inoltre affermato: «Ho solamente raccolto informazioni attraverso i resoconti dei media o fornite da persone i cui parenti sono perseguitati in Cina. Ho presentato agli organismi internazionali competenti in materia di diritti umani informazioni dettagliate sui detenuti nello Xinjiang, compreso il luogo in cui le persone perseguitate sono trattenute e quando sono state arrestate».

Alla fine del videomessaggio, Serikzhan afferma: «Amo mia moglie e i miei due figli. Amo la mia etnia kazaka. Amo il Kazakistan che è il mio Paese. Mi piace la pace. Non voglio distruggere l’unità nazionale».

Quella che segue è la trascrizione del messaggio vocale di Serikzhan Bilash (fornito da Erkin Azat):

Sono le 23 e 21 minuti del 13 marzo 2019. Sono stato arrestato ad Almaty la mattina del 10. Due delle persone che mi hanno arrestato non mi hanno mai mostrato le loro credenziali. Queste due persone mi hanno ingannato, intimidito e adescato. Sono anche stato costretto a registrare due o tre video. In uno di essi mi hanno chiesto di oppormi ad Ablyazov. (Mukhtar Ablyazov, già presidente della Bank Turan Alem in Kazakistan e fondatore del partito politico Democratic Choice Kazako). In realtà, non conosco Ablyazov. Mi sono occupato di politica, ma sono contrario agli slogan di Ablyazov che spingono il popolo a scendere in piazza. Non voglio che si verifichi un sanguinoso conflitto. Sono stato costretto a realizzare questo video.

Nel secondo video mi è stato chiesto di ricusare il mio avvocato Aiman ​​Umarova. Mi hanno costretto a dire di aver chiesto un avvocato d’ufficio e ho dovuto dichiarare che rifiutavo il patrocinio del mio legale. Hanno anche sottolineato che Aiman ​​Umarova è una sostenitrice di Ablyazov.

Durante le riprese del terzo video, era presente un uomo di nome Buliate Shiliashiov. Ricordo il suo cognome perché la pronuncia di Shiliashiov è simile a quella del mio Beliyashi. Questa persona è il superiore dell’investigatore che si occupa del mio caso, M. Baimaganbetov. Mi hanno detto di presentare una domanda al funzionario investigativo Baimaganbetov in cui chiedo la semplificazione delle procedure giudiziarie ammettendo la mia colpevolezza. Visto che stavo collaborando alle indagini, ho presentato la domanda per ottenere uno sconto di pena e sono stato costretto a firmare anche questo documento. Volevano farmi credere che, se avessi fatto ciò che loro volevano, non sarei stato nemmeno processato. Hanno anche detto che in caso di processo sarei stato condannato a dieci anni di carcere. Mi hanno detto di esaminare i termini e le disposizioni legali. In realtà, non ci capivo nulla e non sapevo a cosa servissero. In questo modo, mi hanno costretto a firmare i documenti e mi hanno detto: “Confessi il suo crimine e chieda l’applicazione delle procedure semplificate e noi la rilasceremo appena possibile. Verrà rilasciato prima del 31 marzo. Però, non potrà più occuparsi dei problemi sino-kazaki. Alcuni dei suoi diritti saranno limitati, ma non andrà in carcere e non sarà condannato”.

Sono stato costretto a firmare diversi documenti e tra questi anche alcuni questionari che sembravano destinati al tribunale. C’erano molti spazi vuoti, ma me li hanno fatti firmare comunque.

Ora ho paura per i vari video su Ablyazov. Li hanno registrati tre o quattro volte. Questi video potrebbero essere modificati e manipolati. Sono preoccupato perché si affermerà che sono un sostenitore di Ablyazov. La verità è che sono contrario agli slogan di Ablyazov che spingono il popolo a scendere in piazza. L’ho detto nelle mie osservazioni e nei video precedenti.

Mi chiamo Serikzhan. Le persone che mi hanno arrestato non mi hanno mai mostrato le loro credenziali, ma quando sono arrivate, l’ufficiale di polizia responsabile del numero 6 di Zhangawozen Street ha detto loro di entrare. Ritengo che fossero agenti del KGB [Ufficio per la sicurezza dello Stato].

Visto che avevo paura, ho fatto questa registrazione vocale alle 23.24. Ho chiesto loro: “Secondo la sentenza del tribunale, durante i due mesi che devo trascorrere agli arresti domiciliari, non mi è permesso girare video o caricarli online”. La loro risposta è stata: “Noi siamo la legge. Se decidiamo che sarai processato, lo sarai. Se decidiamo di liberarti, sarai libero”.

Mi hanno ordinato di ricusare l’avvocato Aiman Umarova ed è stato registrato un video mentre lo dicevo. In realtà avevo accettato Aiman Umarova come mio avvocato e non ho mai rifiutato il suo patrocinio legale. Non mi sono mai riconosciuto colpevole. Non ho commesso alcun crimine. Non ho mai invitato nessuno a partecipare al jihad. «Ho solamente raccolto informazioni attraverso i resoconti dei media o fornite da persone i cui parenti sono perseguitati in Cina. Ho fornito agli organismi internazionali impegnati nella difesa dei diritti umani informazioni dettagliate sui detenuti nello Xinjiang, comprese le località dove sono imprigionati i perseguitati e quando sono stati arrestati. Come ho detto, si tratta di un jihad delle notizie. Non ho mai minacciato l’unità nazionale. Ho pubblicato almeno 40-50 video discorsi in cui consiglio al popolo di non scendere in piazza o di radunarsi. Lo sto dicendo da tre anni. Pertanto, per motivi di sicurezza, io, Serikzhan, ho inviato questo messaggio vocale a mia moglie. Amo mia moglie e i miei due figli. Amo la mia etnia kazaka. Amo il Kazakistan che è il mio Paese. Mi piace la pace. Non voglio distruggere l’unità nazionale. Ho solamente raccolto informazioni fornite da persone che vivono in Kazakistan sui miei compatrioti perseguitati e le ho fatte pervenire agli organismi internazionali competenti in materia di diritti umani. Le informazioni di cui sto parlando sono il jihad. Ogni musulmano conosce il significato del jihad. Questo è tutto ciò che ho da dire».

Servizio di Li Pei

Contrassegnato con: Musulmani del Kazakhstan, Persecuzione religiosa

Li Pei

Usa uno pseudonimo per ragioni di sicurezza

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