Lo scorso anno, con il pretesto di “combattere l’inquinamento”, le autorità del Fujian hanno chiuso e poi demolito alcuni stabilimenti. Ai titolari è stato negato il risarcimento e sono stati illegalmente incarcerati per aver tentato di far valere i propri diritti
Una donna che risiede nella città di Putian, nella provincia sud-orientale del Fujian, ha fornito a Bitter Winter fotografie e testimonianze oculari che dimostrano come, lo scorso anno, le autorità abbiano preso di mira diverse fabbriche in cui si lavorava la pietra, maltrattandone i proprietari.
Nell’aprile 2017, le autorità del borgo di Dongpu, nel distretto Xi’anu di Putian, hanno ordinato ai proprietari di diverse fabbriche adibite alla lavorazione della pietra di trasferire l’attività entro il 30 giugno. La notifica precisava che le loro aziende sarebbero state demolite per «combattere l’inquinamento».
Tuttavia uno dei proprietari, Chen Guoqing, si è rifiutato di obbedire e ha chiuso la sua fabbrica perché riteneva che il risarcimento riconosciutogli dalle autorità non fosse congruo.
Il 23 maggio, l’amministrazione locale, senza nemmeno informarlo, ha inviato oltre 130 agenti di polizia e un escavatore per demolire la sua azienda. Quando lui e sua moglie lo hanno scoperto hanno implorato i funzionari di sospendere la demolizione in quanto mancava ancora oltre un mese alla data fissata per il trasferimento dell’azienda. «Abbiamo ancora delle pietre che necessitano di alcune lavorazioni per essere finite. Se non riusciremo a trasferirci entro il 30 giugno, non ci opporremo alla demolizione».

I funzionari hanno proceduto comunque alla demolizione. La moglie di Chen li ha nuovamente implorati dicendo: «Dipendiamo dalla fabbrica per sopravvivere e abbiamo bisogno dei soldi per curare mio nipote che è ricoverato in ospedale». Visto che questi continuavano ad ignorare le sue suppliche ha tentato di raggiungere lo stabilimento per fermare la demolizione ma una decina di poliziotti l’ha trattenuta. Poi l’hanno spinta per un centinaio di metri gettandola a terra, la donna ha perso i sensi e si è procurata alcune fratture.

I funzionari non si sono però limitati a demolire l’azienda, infatti il 3 luglio sono tornati ed hanno distrutto anche la residenza di Chen che si trovava all’interno dello stabilimento. Infuriato per il comportamento tirannico delle autorità, Chen ha chiesto delle risposte.


Un funzionario del partito locale, Xu Jiahua, si è limitato a dire: «Sto facendo rispettare la legge e ho intenzione di sbarazzarmi di tutte le prove. Se hai il necessario allora vai a parlare con il presidente Xi Jinping». In otto giorni ogni oggetto è stato rimosso dalla fabbrica.
Da allora, Chen e sua moglie hanno fatto numerose visite agli appositi uffici provinciali e statali preposti ai reclami e alle segnalazioni, ma senza risultato. Alla vigilia del XIX Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese nel 2017, sono stati arrestati mentre erano diretti a Pechino e trattenuti per quattro giorni. Sono stati poi nuovamente arrestati a marzo durante un altro tentativo per raggiungere Pechino e questa volta per dieci giorni.
Un altro proprietario di una fabbrica per la lavorazione della pietra, Chen Jinshou, ha subito lo stesso trattamento. Anche la sua azienda è stata rasa al suolo e le sue perdite ammontano a un milione di renminbi, circa 140mila dollari statunitensi, ma ad oggi non ha ricevuto alcun indennizzo. Anche se ha già tentato oltre dieci volte di farlo, le autorità non gli permetteranno di sporgere denuncia.
Servizio di Lin Yijiang