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I netizen reagiscono alla propaganda del PCC sul caso George Floyd

16/06/2020Han Sheng |

Il troppo stroppia, e così gli utenti dei social media rispondono al Partito dicendo che, mentre negli Stati Uniti si può protestare contro la brutalità della polizia, in Cina si finisce in carcere o peggio

di Han Sheng

I morti nelle carceri 
I morti nelle carceri (Immagine composita)

A dispetto delle critiche a livello internazionale per il coronavirus e per la nuova Legge per la sicurezza nazionale imposta ai cittadini di Hong Kong, il PCC ha approfittato della morte di George Floyd per avviare una campagna propagandistica contro gli Stati Uniti d’America. Per criticare gli Stati Uniti la portavoce del ministero degli Esteri Hua Chunying ha twittato «Non riesco a respirare» usando proprio le ultime parole di Floyd.

Tuttavia i netizen cinesi sembrano non credere alle sue parole. Ricordando le brutalità della polizia e le proteste di piazza Tiananmen, alcuni utenti di Twitter hanno chiesto a Hua Chunying «se respirava senza problemi». Alcuni netizen hanno anche raccolto dei videoclip che mostrano la brutalità dei poliziotti nella Cina continentale, e anche dei filmati sulle violenze inflitte ai manifestanti di Hong Kong. I netizen criticano la brutalità dilagante nella polizia controllata dal PCC e sostengono che è ridicolo e vergognoso che il PCC adotti un doppio standard, definendo «plebaglia» e «rivoltosi» i manifestanti a Hong Kong e in Cina mentre inneggia a coloro che manifestano negli Stati Uniti. In Cina le numerose vittime della brutalità della polizia non possono esprimere il loro risentimento e ottenere il sostegno dalla società civile.

Video 1: Un agente di polizia nella città di Shenzhen si inginocchia sul collo di una giovane donna che «non riesce a respirare»

Video 2: brutalità della polizia cinese «Non riesco a respirare»
https://twitter.com/sunnycai138/status/1267870631179280384

Bitter Winter ha parlato con il firmatario di una petizione convinto che il proprio padre sia morto dopo essere stato torturato dalla polizia. Gli agenti di polizia coinvolti non sono mai stati incriminati. L’uomo ha detto che la sua famiglia ha presentato petizioni per 37 anni, ma il caso di suo padre non è mai stato giudicato in modo equo. Il fratello maggiore è deceduto in circostanze sospette dopo essere stato dichiarato «malato di mente» e tutti i familiari sono stati messi sotto sorveglianza in base al concetto di «colpa per associazione» causando la dissoluzione della famiglia e gravi danni economici.

L’uomo, che come da lui richiesto chiameremo «Zhang», si è rannicchiato e abbassando il capo ha detto: «Non riusciremo a vincere e rischiamo di finire tutti in carcere».

Poliziotti brutali assolti

Trentasette anni fa, quando era ancora minorenne, Zhang e i suoi fratelli hanno assistito all’orrenda morte del padre.

L’uomo aveva messo in atto con i propri compaesani un’azione per tutelare i loro diritti. Tre giorni dopo funzionari governativi avevano convocato i figli e li avevano condotti nel locale dove si svolgevano gli interrogatori. Lì avevano trovato il corpo del padre appeso ad una finestra alta un metro con una lunga corda che pendeva fino a terra. A prima vista sembrava che si fosse suicidato impiccandosi, ma osservandolo da vicino i figli avevano notato una lacerazione e un rigonfiamento sul capo e tre ferite sulla schiena probabilmente causate da una barra di ferro.

Una fonte interna aveva detto loro che nelle prime due notti dopo l’arresto dalla stanza degli interrogatori provenivano urla orribili, ma che la terza notte non si sentiva più nulla.

Sebbene le prove indicassero che l’uomo era stato torturato il tribunale aveva stabilito che si trattava di un suicidio e quindi tutti gli agenti coinvolti erano stati assolti e rilasciati.

Ai familiari delle vittime della brutalità della polizia non viene mai detta la verità anche quando molti indizi lasciano intendere che i prigionieri sono stati torturati. Al fine di eliminare ogni prova sono pratiche comuni la modifica dei registri di sorveglianza, la manomissione dei referti autoptici e la cremazione dei cadaveri. In questi casi difficilmente le famiglie possono scoprire la vera causa del decesso dei loro congiunti e consegnare alla giustizia i funzionari coinvolti od ottenere un ragionevole risarcimento.

37 anni di petizioni

Da allora, per 37 anni, Zhang e la sua famiglia hanno presentato delle petizioni, poi il disastro.

Il fratello maggiore di Zhang era un attivo firmatario ma è caduto in mare e affogato in circostanze piuttosto sospette quando in una bella giornata era andato a pescare. Non è affatto raro che coloro che per anni hanno presentato petizioni incorrano in una «morte accidentale» o abbiano «un incidente d’auto». Zhang non crede che suo fratello sia morto accidentalmente.

In seguito un altro fratello maggiore di Zhang si era fatto carico di continuare a presentare la petizione, ma, dopo una decina d’anni, la sezione locale dell’Ufficio per la sicurezza pubblica lo ha fatto rinchiudere in un ospedale psichiatrico. Secondo un medico, la sua malattia mentale di tipo paranoico si manifestava nella richiesta al governo di un risarcimento per la morte del padre esagerato.

Zhang ha detto a Bitter Winter: «Quando è stato dimesso dall’ospedale psichiatrico ed è tornato a casa mio fratello maggiore era diventato strano. Durante la cena, le sue mani tremavano così tanto che non riusciva a tenere ferma la ciotola o a usare le bacchette. Sembrava aver perso completamente la capacità di lavorare». I familiari, addolorati per le sue condizioni, gli avevano domandato perché quando era in ospedale prendeva le medicine e lui aveva detto che, in realtà, i farmaci gli venivano somministrati con la forza e che se si fosse ribellato le guardie lo avrebbero picchiato.

Rivolgersi ai media è inutile

Zhang ha continuato a presentare la petizione, ma il suo avvocato gli ha detto che c’erano ben poche speranze di vincere la causa, a meno che non fosse riuscito a fare pressione sul governo avvalendosi dei media per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica.

I media però appartengono allo Stato. Per attirare l’attenzione dei mezzi di comunicazione l’uomo aveva anche partecipato a un evento pubblico, ma sfortunatamente aveva attirato l’attenzione della polizia anziché quella dei giornalisti. Solo dopo aveva scoperto di essere stato inserito nella black list governativa. L’uomo piuttosto frustrato ha concluso: «Dopo la laurea mia figlia non riuscirà a trovare un buon lavoro».

Dopo anni di petizioni Zhang ha accumulato un debito di 160mila renminbi (circa 22.700 dollari statunitensi). Sua madre è morta di malattia perché a causa della mancanza di denaro non ha potuto ricevere le cure necessarie. Tutti i componenti della famiglia vengono attentamente monitorati e la moglie di Zhang, non sopportando più una simile vita, ha chiesto il divorzio.

L’uomo, sopraffatto dalla cruda realtà, ha commentato: «Sotto il dominio del PCC il mondo è davvero oscuro» e ha aggiunto che, negli ultimi anni, aveva conosciuto molte persone che condividevano esperienze simili alle sue

No, negli Stati Uniti non è «lo stesso»

Zhang è un buon esempio di come assicurare alla giustizia dei poliziotti brutali possa essere difficile negli Stati Uniti, ma impossibile in Cina.

Alcuni netizen hanno commentato che quando negli Stati Uniti la polizia si comporta in modo brutale è possibile scendere in strada e persino protestare di fronte alla Casa Bianca. Secondo i media controllati dal PCC le proteste dimostrerebbero che negli Stati Uniti regna il caos, mentre in realtà dimostrano che la democrazia funziona. In Cina chi protesta contro le brutalità della polizia finisce in carcere, in un ospedale psichiatrico o peggio.

Come cinese sono d’accordo con il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America, Robert O’Brien, che, intervistato da ABC News, ha commentato: «La differenza tra noi e la Cina è che qui l’agente che ha ucciso George Floyd sarà perseguito, indagato e riceverà un processo equo».

Contrassegnato con: Brutalità della polizia

Han Sheng

Usa uno pseudonimo per ragioni di sicurezza

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