Il documentario di Robin Barnwell China Undercover è incredibile. La PBS lo trasmette il 7 aprile
di Marco Respinti
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Una nazione torturata. La sua cultura e la sua lingua vietate. Telecamere di sorveglianza ovunque. Controllo dei documenti per entrare nei negozi e nelle abitazioni. Gabbiotti di polizia di “prima necessità” ogni duecento metri nella sua capitale. E milioni di persone nei campi di concentramento. No, non è la Germania nazista, è lo Xinjiang oggi. Tuttavia, il confronto con la Germania nazista non è fuori luogo.
Robin Barnwell è un noto regista e produttore britannico. Il suo China Undercover svela la tragedia di quella che il governo comunista cinese chiama Regione autonoma uigura dello Xinjiang (XUAR) e gli uiguri preferiscono chiamare Turkestan orientale. Non è l’ennesimo documentario sullo Xinjiang. È un documento nuovo, superiore.
Un inferno
Attraverso l’expertise di ben noti studiosi, il film di Barnwell si concentra sul duplice modo con cui il PCC mira ad annientare gli uiguri: i famigerati campi per la trasformazione attraverso l’educazione e la “prigione aperta” della vita fuori da quei campi.
Riproducendo spezzoni dai canali della televisione di Stato cinesi, Barnwell illustra come gli adulti, e persino i bambini, vengono rieducati a ripetere pappagallescamente la dottrina del PCC in quelle che il regime afferma siano solo «scuole per l’avviamento professionale». Se non lo fanno, viene loro negato il cibo e si trovano a patire conseguenze gravi. Nel gennaio 2019 il regime ha persino selezionato alcuni giornalisti invitandoli a visitare alcuni di questi campi. Si è trattato però soltanto di una messa in scena, a fronte di una realtà ben diversa. A quanto pare oggi quei campi sono circa 1. Un milione di uiguri, afferma Barnwell, vive rinchiusa in grandi complessi simili a prigioni, circondate da fili spinati e diffuse tutto lo XUAR (alcune delle immagini utilizzate sono state concesse da Bitter Winter), ma giustamente il documentario ricorda come alcuni ricercatori indipendenti parlino di cifre molto più alte. A ogni buon conto, anche “solo” un milione di uiguri ammonta (come si afferma nel documentario) al 10% della popolazione musulmana dello XUAR (tutto lo XUAR ha circa 22 milioni di abitanti, suddivisi approssimativamente in una metà composta da uiguri e da altre minoranze musulmane turcofone e in una metà di cinesi han).
In quei campi la gente viene vessata e torturata. Alcuni impazziscono. Pochi ne escono. Rohima, una giovane uigura, è una delle poche fortunate. Davanti alla telecamera racconta il motivo per cui è stata detenuta in condizioni orribili per un anno: è stata catturata con WhatsApp nello smartphone, un “pericoloso” segno di “ribellione” e di libertà. Non si vedeva nulla di simile, dice la voce della narratrice, Caroline Catz, dai tempi della Seconda guerra mondiale, un numero senza precedenti di persone incarcerate, la segregazione di un’intera etnia.
L’anticamera dell’inferno
Ma se i campi di detenzione sono un inferno, la vita nello XUAR fuori dai campi ne è l’anticamera. Un reporter e cameraman cinese han ha accettato di filmare per conto di Barnwell, potendosi muovere per tutta la regione richiamando molto l’attenzione di un britannico. Con lo pseudonimo di “Mr. Li” è reclutato in Thailandia e ha messo per la prima volta piede nello Xinjiang, visitando soprattutto Urumchi, la capitale dello XUAR, e Kashgar, città al cuore della cultura tradizionale uigura. Fingendosi un uomo d’affari che sfrutta le vacanze per cercare nuove opportunità, è riuscito per la prima volta a registrare su pellicola voci critiche della politica praticata dal PCC nella regione e persino la testimonianza di un anonimo funzionario locale del regime. «E i diritti umani?» chiede il giornalista. «Gli uiguri non hanno diritti umani» risponde il funzionario. Sono come topi, materiale da esperimenti per ricerca, aggiunge un’altra fonte che vuole conservare l’anonimato, un esperto di sistemi di controllo. La guerra che il PCC combatte contro gli uiguri è anche una lotta razzista per la supremazia han. La chiamano sinizzazione.
L’uomo che sta dietro a questo enorme laboratorio umano, in cui il regime comunista sperimenta gli strumenti più odiosi di repressione e le tecniche di controllo più sofisticate è il governatore dello XUAR, Chen Quanguo, già famoso come “pacificatore” del Tibet.
Il puzzle
Nello Xinjiang agisce come gestore locale del Grande Fratello di Pechino grazie ad aziende come Leon e Huawei, che offrono le attrezzature più avanzate per il controllo della vita della gente o adottando strategie come il programma “casa-soggiorno” che infiltra le famiglie uigure di spie.
Il documentario di Barnwell è stato trasmesso in anteprima in Gran Bretagna dalla rete ITV il 15 luglio 2019 con il titolo Undercover: Inside China’s Digital Gulag. Il 7 aprile ne verrà trasmessa una versione aggiornata dalla rete PBS intitolata China Undercover. Il 25 marzo History Channel ha trasmesso una traduzione italiana della prima versione britannica intitolata Gulag: il volto oscuro della Cina, replicata il 26. Nel mezzo della crisi da coronavirus, vale a dire della devastazione causata al mondo dal virus del PCC, la cui responsabilità è da attribuire al regime, probabilmente in tandem con il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, è il momento perfetto affinché il mondo impari quale incubo sia la Cina.
Per completare il quadro, di Barnwell non ci si dimentichi di guardare anche l’emozionante documentario in presa diretta Battle for Hong Kong, che segue direttamente cinque giovani manifestanti per le strade dell’ex colonia britannica durante i giorni più infuocati della rivolta dello scorso anno. Aggiunge un altro pezzo importante al puzzle cinese. Lo ha trasmesso la PBS l’11 febbraio 2020 ed è ancora visibile.