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Gli uiguri scomparsi non tornano: il caso della famiglia Hamdullah

08/01/2020Ruth Ingram |

L’idea del PCC secondo cui adesso gli uiguri se ne stanno nelle proprie case al sicuro è una menzogna. Lo dimostra la vicenda di due noti uomini d’affari e dei loro familiari

Ruth Ingram

Omerjan Hamdullah davanti al suo negozio a Istanbul
Omerjan Hamdullah davanti al suo negozio a Istanbul

Nuove fake news diffuse dal Partito

Ricchi o poveri, religiosi o atei, colti o poco istruiti: la logica è sconcertante. Il PCC non ha bisogno di ragioni per operare retate continue e illegali fra gli uiguri, di ogni classe sociale e di ogni convinzione, e condannarli senza alcun processo.

In risposta al numero crescente di uiguri della diaspora che in tutto il mondo reclamano notizie dei propri familiari rimasti nel Paese d’origine, questa settimana la CGTN (China Global Television Network), portavoce di Pechino sponsorizzata dallo Stato, ha lanciato una campagna pubblicitaria per svelare la «bugia» secondo cui gli uiguri dello Xinjiang sarebbero scomparsi. Affermando di aver «ritrovato» le persone cercate tramite gli annunci con hashtag “StillNoInfo” (“Ancora nessuna notizia”), pubblicati dai parenti preoccupati che vivono all’estero, la CGTN ha mandato in onda una serie di servizi per denunciare le cosiddette fake news che hanno calunniato il regime cinese, sostenendo che le persone dichiarate «disperse» sono in realtà sane e salve.

Questa è una falsità, da ogni punto di vista, come dimostrato dalla vicenda dei fratelli Hamdullah. I due uomini sono fra i magnati di maggior successo in campo immobiliare della comunità uigura dello Xinjiang. I fratelli, Rozi Haji, di 43 anni, e Memet, di 37, sono fra gli uiguri spariti e mai ricomparsi. Ora è giunta notizia alla comunità della diaspora che i due si trovano in carcere, condannati in segreto con procedimento extra-giudiziale a pene severissime. In base a informazioni ricevute di recente il maggiore, Rozi Haji Hamdullah, è stato condannato a 25 anni per “reati” non meglio specificati e il minore, Memet, a 15 anni; ciò ha spinto l’unico fratello rimasto, che vive in esilio, a lottare per la loro libertà, determinato a portare il caso davanti al più alto tribunale mondiale.

L’ultima immagine pervenuta di Rozi Haji Hamdullah, prima della sua scomparsa nel sistema carcerario del PCC
L’ultima immagine pervenuta di Rozi Haji Hamdullah, prima della sua scomparsa nel sistema carcerario del PCC
Memet Hamdullah in tempi più lieti
Memet Hamdullah in tempi più lieti

Una famiglia distrutta

Omerjan Hamdullah, 30 anni, fratello minore dei due imprenditori incarcerati, il solo della famiglia a essere fuggito dallo Xinjiang nel mondo libero, è rimasto a perorare la causa dei fratelli dopo queste notizie sconvolgenti.

I due fratelli, comproprietari della Xinjiang Rozi Haji Ltd. e della Korla Chilanbagh Property Ltd., due dei più grandi e affermati imperi d’affari dello Xinjiang, dal valore stimato di più di 140 milioni di dollari statunitensi, sono stati arrestati a Korla in ottobre e in dicembre 2017 e non si è saputo nulla di dove si trovassero fino a tempi recenti, quando alcune informazioni a proposito del loro destino sono state trasmesse in via riservata da un ex collega cinese di etnia han. Nonostante questi abbia sentito parlare dei processi segreti, non sono stati resi noti né i loro “crimini” né dove si trovino attualmente.

Tutto ciò non ha rassicurato Omerjan, che parla dalla piccola libreria uigura che ha rilevato nel quartiere di Sefaköy, a Istanbul, dove molti compatrioti uiguri hanno stabilito la propria dimora nell’esilio. Il più giovane degli Hamdullah non ha alcuna notizia da casa da più di due anni e ha raccontato di quei giorni dell’autunno 2017, quando alcuni ricchi uomini d’affari uiguri hanno iniziato a cadere vittima dei rastrellamenti e a scomparire. A quel tempo egli era studente e si trovava in Arabia Saudita, l’intera famiglia gli aveva fatto visita per omaggiare il padre, morto durante una visita nel Paese. «I miei fratelli sono tornati a Korla», ha raccontato, «poi sono scomparsi improvvisamente a un paio di mesi di distanza uno dall’altro. Non abbiamo idea di dove siano stati portati o del motivo per cui siano stati presi», ha aggiunto. «Speravo che li avrebbero rilasciati dopo la cosiddetta “rieducazione” e che finisse lì». Invece, si trova ancora nella condizione di temere che non rivedrà mai più i fratelli.

Nel 2013 Omerjan si è stabilito in Arabia Saudita per studiare, ma è stato costretto a trasferirsi in Turchia nel 2017, quando la repressione si stava intensificando. Il suo passaporto cinese era prossimo alla scadenza ed egli sapeva di non avere speranze di rinnovarlo in Cina, considerati la lista nera e gli arresti previsti per chiunque fosse stato in Arabia Saudita per qualsiasi ragione. Inoltre la moglie, che l’aveva raggiunto in Turchia, aveva saputo che il proprio padre, imam della moschea principale di Korla, era stato condannato a 15 anni di carcere.

Omerjan non ha avuto altra scelta che stabilire una nuova casa per sé, sua moglie e i due bambini, lontano dalla madre e dalla numerosa famiglia estesa a Korla; è disorientato e arrabbiato per l’ingiustizia toccata ai suoi fratelli. «La cosa peggiore è che Razi e Memet non hanno fatto assolutamente nulla di male», ha aggiunto. L’uomo ci racconta del fratello più anziano che, nonostante il successo negli affari, non ha mai dimenticato le persone bisognose della comunità e ha versato offerte in favore della riduzione della povertà e dell’istruzione. Partendo da umili origini, vendendo pere e poi sviluppando dei frutteti nel villaggio di Shaqur, vicino a Korla, nella Prefettura autonoma mongola di Bayangol, è giunto fino ad aprire alcuni ristoranti eleganti di tradizione uigura, spostandosi infine nel campo immobiliare insieme al fratello minore.

«Il Partito inseguiva il loro denaro»

Il complesso residenziale di Chilanbagh, a Korla, parte delle proprietà degli Hamdullah poste sotto sequestro dal PCC
Il complesso residenziale di Chilanbagh, a Korla, parte delle proprietà degli Hamdullah poste sotto sequestro dal PCC

Omerjan non si capacita di come due magnati degli affari, istruiti e di successo, che hanno offerto benefici al vicinato e creato ricchezza per il Paese, possano essere stati trattati così duramente. «Riesco a pensare soltanto che il PCC volesse mettere le mani sulla loro fortuna», ha detto sconsolato. «Non vi è stato alcun processo. I miei fratelli sono semplicemente spariti e noi abbiamo saputo solo per vie traverse delle condanne che sono toccate loro».

Questa settimana Omerjan ha rinnovato il suo appello via Facebook al governo cinese per avere notizie della sua famiglia. «Non hanno commesso altro crimine che essere uiguri e uomini d’affari che si sono arricchiti grazie al duro lavoro», ha aggiunto con amarezza.

Sono trascorsi due anni da quanto Omerjan ha potuto contattare la madre, Hennisahan Semet, vedova e sessantenne, paralizzata e costretta alla sedia a rotelle. L’uomo non ha idea di chi si occupi di lei. Gli altri membri della famiglia, fra cui le mogli e i quattro figli dei suoi fratelli, le sue sorelle Zeynigul e Havagul Hamdullah e i loro bambini, sono tutti ugualmente irraggiungibili, per timore della loro stessa sicurezza, per i messaggi che iniziano a giungere dalla Turchia, un’altra destinazione che il PCC considera vietata per gli uiguri. Non ricevendo smentite, Omerjan teme che i fratelli possano trovarsi in un campo o, peggio ancora, essere morti. «L’aspetto più crudele della vicenda è non sapere assolutamente niente di ciò che è stato di loro».

Una vecchia fotografia di Omerjan a Korla, con la madre
Una vecchia fotografia di Omerjan a Korla, con la madre

L’uomo sfida Pechino a dargli notizie della sua famiglia: «Se sapete dove si trovano, allora ditemelo!», ha detto. «Ditemi anche perché i miei fratelli sono stati condannati in segreto, senza l’intervento di un legale. Ditemi cosa hanno fatto di male e dove si trovano!». Il più giovane degli Hamdullah descrive la campagna pubblicitaria del PCC per dimostrare che nello Xinjiang tutto è a posto come una crudeltà piena di cinismo. «Tutti noi conosciamo la verità.

Tutti noi sappiamo esattamente cosa sta succedendo laggiù», ha aggiunto. «Pechino invita la gente ad andare a verificare di persona, ma tutti ne ottengono poi una trovata pubblicitaria montata a tavolino». L’uomo ha descritto l’intero dipartimento di propaganda del Partito come una fabbrica di “fake news”.

Un appello al mondo libero

Pur di origini benestanti, Omerjan sta ripartendo da capo, come molti degli uiguri della diaspora che hanno perduto tutto a causa del governo cinese. L’intero impero familiare, composto da dieci edifici, numerosi ristoranti di tradizione nazionale uigura e varie proprietà, è stato completamente confiscato e ogni centesimo è stato congelato dal governo. A furia di economie è riuscito a prendere a prestito il denaro per acquistare una libreria, stampa e vende libri di letteratura uigura, copricapi e souvenir della sua nazione. «Come molti miei compatrioti, qui ho dovuto ricominciare da capo», ha raccontato. «Non importa chi fossimo prima. Dobbiamo solo sopravvivere e crescere le nostre famiglie».

L’uomo è deciso a non lasciare nulla di intentato per ottenere giustizia per i suoi fratelli e comparirà anche davanti al Corte internazionale di giustizia dell’Aia se necessario. «In Cina non vi è alcuna giustizia. È un luogo che non conosce la legalità», ha affermato mestamente. «Forse potrò trovare giustizia da parte del resto del mondo».

La domanda che Omerjan pone al PCC: dove sono mia madre e i miei fratelli?
La domanda che Omerjan pone al PCC: dove sono mia madre e i miei fratelli?

Omerjan si rivolge a chiunque sia in grado di aiutarlo a trovare la sua famiglia e a ottenere giustizia per i fratelli. «Chiedo a tutti i Paesi del mondo di aiutarmi a esercitare pressioni sul governo cinese, affinché rilasci i miei familiari dal carcere e mi permetta di contattarli normalmente», ha implorato.

Contrassegnato con: Musulmani Uiguri

Ruth Ingram

Ruth Ingram, ricercatrice, collabora assiduamente a varie testate, fra cui il sito dell’Institute of War and Peace Reporting (la principale pubblicazione su Asia Centrale e Caucaso), Guardian Weekly e The Diplomat.

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