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In Cina la censura conta più delle vite umane

29/03/2020Bai Lin |

Mentre il mondo lotta contro il coronavirus il PCC espelle i giornalisti stranieri, silenzia i cittadini e premia chi nasconde la verità

di Bai Lin

La giornalista della Xinhua News Agency
La giornalista della Xinhua News Agency Liao Jun e il defunto dottore Li Wenliang (cucitura di immagini su Internet)

Il 18 marzo il regime comunista cinese ha espulso 13 giornalisti di The New York Times, The Wall Street Journal e The Washington Post, e ha dichiarato ufficialmente che essi «non potranno continuare a lavorare come giornalisti nella Repubblica Popolare cinese, comprese le Regioni amministrative speciali di Hong Kong e Macao». Mentre il coronavirus si sta diffondendo in tutto il mondo tale mossa viene giudicata irresponsabile e le ulteriori restrizioni alla libertà di stampa in Cina sono motivo di crescente preoccupazione.

Poche settimane prima dell’espulsione dei giornalisti stranieri, il governo ha elogiato la giornalista Liao Jun che scrive per la Xinhua News Agency, l’agenzia di stampa ufficiale dello Stato per un suo «eroico» servizio sul coronavirus. In un articolo pubblicato all’inizio di gennaio Liao Jun ha riferito di otto persone che stavano «diffondendo voci» sul virus, ribadendo la linea ufficiale delle autorità sanitarie cinesi secondo le quali non c’erano prove della trasmissibilità del virus da uomo a uomo. Una delle persone citate nell’articolo era il Dott. Li Wenliang che per primo ha dato l’allarme sulla pericolosità del virus, ma che è stato messo a tacere ed è deceduto il 7 febbraio dopo aver contratto il COVID-19.

Visto che l’epidemia causava la perdita di vite umane, gli articoli della Liao sono diventati oggetto di critica tra i netizen che li hanno definiti «fake news» in quanto «ingannano le persone». Uno di loro ha affermato che, alla fine di dicembre avrebbe dovuto recarsi a Wuhan, ma che in un primo tempo aveva rinunciato al viaggio perché sui social media avevano iniziato a circolare notizie sul misterioso virus. Alla fine però, rassicurato dagli articoli di Liao Jun, ci era andato comunque rimanendo poi bloccato a Wuhan per molto tempo.

Fidandosi dei suoi articoli molte altre persone hanno preso decisioni che si sono rivelate fatali per loro o per i loro cari.

L’8 marzo, in occasione della Giornata internazionale della donna, il quotidiano nazionale Guang Ming Daily, direttamente controllato dal Dipartimento centrale per la propaganda del PCC, ha elogiato Liao Jun, dicendo: «Salutiamo in lei una giornalista che va contro corrente». Quello stesso giorno in una conferenza stampa organizzata dall’Ufficio informazioni del Consiglio di Stato, la donna è stata premiata come una delle sette «donne in prima linea contro il COVID-19». Accettando il premio, Liao Jun ha parlato del «morale e della forza della Cina» senza menzionare il dottor Li o riconoscere i propri errori.

Un giornalista cinese interpellato da Bitter Winter ha affermato che «informazioni accurate e tempestive sono particolarmente importanti ora che le vite di migliaia di persone sono in pericolo. Se i media del PCC avessero detto la verità, la diffusione dell’epidemia avrebbe potuto essere evitata. Comunque il PCC non riconoscerà mai di avere torto e continuerà a reprimere la libertà di stampa».

Mentre i giornalisti stranieri vengono espulsi e i media nazionali si attengono alle direttive del regime, il ruolo dei cittadini giornalisti è diventato di cruciale importanza perché grazie a loro il mondo esterno può capire cosa sta succedendo. Purtroppo ora il PCC considera queste persone dei bersagli e molti cittadini giornalisti che hanno diffuso notizie sul coronavirus sono stati puniti o sono scomparsi.

Un reporter di Bitter Winter residente nella Cina continentale ha commentato: «I giornalisti possono essere arrestati semplicemente per aver fotografato la rimozione di una croce o la demolizione di una moschea e quindi accusati di “sovvertire il potere statale e divulgare segreti di Stato”».

Secondo un corrispondente di Bitter Winter che era solito scrivere dalla Regione autonoma Hui del Ningxia, i residenti sono molto cauti quando viene loro chiesto di parlare delle persecuzioni del PCC. La maggior parte delle persone intervistate non osa esprimere le proprie opinioni per paura di finire in carcere o di mettere in pericolo le proprie famiglie. Altri temono che chi fa certe domande possa essere un funzionario governativo sotto copertura che indaga sulle loro opinioni circa lo Stato.

L’imam di una moschea approvata dallo Stato a Ningxia ha riferito a Bitter Winter: «Il governo ha installato apparecchiature di sorveglianza in casa mia per controllare ciò che viene detto. Inoltre devo segnalare al governo ogni sconosciuto che bussa alla mia porta».

 

Contrassegnato con: coronavirus, Diritti umani

Ba Lin
Bai Lin

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