Esce in Italia una raccolta di articoli tratti da “Bitter Winter” per offrire una prima mappa ragionata e aggiornata della repressione della religione nel Paese del drago rosso
di Marco Respinti
Distratto da mille altre questioni, pure (a volte) legittime, il mondo non si avvede di quel che sta tragicamente succedendo in Cina, dove la persecuzione religiosa ed etnica ha raggiunto livelli parossistici. Una certa attenzione, è vero, i media, le organizzazioni internazionali e alcune amministrazioni politiche la stanno ultimamente rivolgendo ‒ grazie a Dio ‒ ai famigerati campi per la trasformazione attraverso l’educazione dello Xinjiang. Ma, per quanto gravissima, la persecuzione degli uiguri e di altre etnie turcofone della Regione autonoma uigura dello Xinjiang, che gli uiguri preferiscono chiamare Turkestan Orientale, è purtroppo solo la classicissima punta dell’iceberg.
La stessa sorte, ma in più aggravata dal silenzio che praticamente copre tutto, la subisce ogni altro gruppo religioso, maggioritario o minoritario. Certo, non tutti i gruppi religiosi vengono perseguitati materialmente allo stesso modo, ma questo non dipende dalla magnanimità del regime comunista cinese o della preferenza che esso accorderebbe a un determinato gruppo piuttosto che a un altro (questo atteggiamento, se esiste, viene infatti semmai praticato secondo la logica del divide et impera per creare rivalità e problemi ulteriori a tutti gruppi religiosi, compresi quelli che questa illusione ottica potrebbe spingere a considerare i meno sfavoriti). La differenza di atteggiamento dipende infatti dalla forza oggettiva che i diversi gruppi religiosi hanno, una forza che non si calcola certo in termini “militari”, ma semmai “politici”, nel senso che più un gruppo è ben connesso all’estero e più sottile, benché non meno cattiva, è la persecuzione. Qui ‒ ancora ‒ non è il numero che conta. Gruppi religiosi anche molti vasti, ma poco collegati all’estero vengono infatti schiacciati senza pietà a differenza di altri. Né di per sé conta il semplice legame, pur solido, con strutture straniere: questo, anzi, aumenta l’astio da parte del governo, che ha buon gioco nello stigmatizzare tali legami del tutto naturali, ovvi e innocenti come segni di pericolose liaison funzionali all’infiltrazione straniera o addirittura al terrorismo. La differenza vera la fa infatti la “potenza” del legame estero, il che di fatto riduce il “favore” nella differenza di atteggiamento repressivo a un solo gruppo: la Chiesa Cattolica.
Non ‒ come qualcuno pensa ‒ perché la Chiesa Cattolica abbia ceduto alle lusinghe o alla forza del regime, ma perché il “potere” (l’unica dimensione che una struttura di potere come il Partito Comunista Cinese [PCC] comprende davvero), e in specie il “potere” “politico”, della Chiesa Cattolica è tale a livello mondiale da impedire che Pechino applichi a essa le medesime forme repressive che impiega con altri. Nemmeno le megachiese o i grandi network protestanti ‒ che comunque non vengono perseguitati nella stessa forma di altri gruppi meno noti e meno collegati ‒ godono infatti della medesima condizione della Chiesa Cattolica.
La differenza di atteggiamento è dunque più dovuta alla oggettiva resistenza che certi gruppi offrono.
Ricordando che comunque la Chiesa Cattolica è ugualmente perseguitata anche dopo l’accordo tra la Santa Sede e la Cina del 2018 ‒ l’accordo provvisorio segreto stilato dal Vaticano con il regime per la nomina dei vescovi delle diocesi cinesi ‒ (persecuzione nella limitazione delle prerogative e degli spazi, nell’impossibilità di predicare apertamente tutta la dottrina, nelle angherie psicologiche cui sono sottoposti i fedeli, costretti, contro quanto stabilito dall’accordo, a sottomettersi al regime), per orientarsi nel territorio infido della persecuzione religiosa cinese è dunque necessaria una mappa. Massimo Introvigne, sociologo della religione di fama internazionale, fondatore e direttore del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni), autore e curatore di più di 70 volumi specialistici, nonché direttore di Bitter Winter, ne fornisce una preziosa con Il libro nero della persecuzione religiosa in Cina (Sugarco, Milano 2019).
I tre mercati della fede
Il volume nasce del resto proprio sulle pagine virtuali di Bitter Winter, configurandosi come una raccolta ragionata – e talora aggiornata – di alcuni articoli chiave apparsi sul periodico.
Riprendendo l’efficace tripartizione dello scenario religioso cinese proposta dal sociologo, pure cinese, Fenggang Yang, Introvigne divide il campo, e il libro, in tre settori: il «mercato rosso», il «mercato grigio» e il «mercato nero». La differenziazione non è, come detto, dovuta a una differenza di gradimento delle diverse fedi da parte del regime, ma alla diversa tolleranza di fatto (poiché di principio lo Stato comunista cinese considera nemiche tutte le fedi) di cui i vari gruppi godono o per l’impossibilità del regime di schiacciare tutti ugualmente allo stesso modo nello stesso tempo o alla ritrosia nel farlo, vistone “il peso”.
Se il «mercato rosso» è dunque lo spazio in cui il regime cerca di addomesticare alcuni gruppi, infiltrandoli e controllandoli dall’interno (attraverso la Chiesa delle Tre Autonomie per i protestanti, l’Associazione patriottica cattolica cinese, l’Associazione islamica cinese, l’Associazione buddhista cinese, l’Associazione taoista cinese, tutte originariamente create negli anni 1950), il «mercato grigio» è il “limbo” dove il PCC non riesce più di tanto a intervenire con durezza, non certo lasciando correre, ma adottando strategie indirette. Bene inteso, né il «mercato rosso» è esente da repressione (che infatti ultimamente si sta intensificando) né lo è il «mercato grigio», dove vivacchiano alcuni gruppi partecipare ai quali è vietato ma ancora non configura reati punibili con il massimo della pena.
Questo ultimo ambito è infatti quello del «mercato nero», dove vengono relegati i gruppi definiti xie jiao, un’antica espressione usata dal potere politico cinese per estromettere ad libitum come «insegnamenti eterodossi» i gruppi sgraditi e oggi riesumata per essere distorta in “sette”, o “sette malvagie”, a imitazione di un cattivo costume in auge in Occidente qualche decennio fa. Fare parte di un gruppo del «mercato nero» presente nella lista ufficiale degli xie jiao stilata dal governo (dove xie jiao è tautologicamente qualunque gruppo faccia parte dell’elenco degli xie jiao, elenco dal quale pure si può entrare e uscire) è un reato punito con severità inaudita, ed è in questo ambito che sono avvenute e che avvengono le mattanze più crudeli e ignorate di gruppi quali il Falun Gong e la Chiesa di Dio Onnipotente, entrambi peraltro oggetto anche della raccapricciante pratica dell’espianto forzato di organi che alimenta il commercio clandestino.
Nel libro Introvigne passa in rassegna i “tre mercati” e mostra come, dopo l’entrata in vigore, il 1° febbraio 2018, della nuova Nor mativa sugli affari religiosi, la legge cinese più restrittiva in materia religiosa, di fatto nessuno si salvi. Lo studioso lo fa prendendo in esame alcuni casi eccellenti che coprono l’intero panorama delle fedi presenti in Cina, dal buddhismo all’islam, dal cristianesimo sia protestante sia cattolico al taoismo, dalle religioni popolari ai nuovi movimenti religiosi.
Nell’invito alla lettura che apre il volume il sottoscritto coglie l’occasione per rispondere al cattivo costume che giudica il comunismo un’antichità da museo. Il comunismo è invece purtroppo vivo e vegeto, e «purtroppo» qui è detto perché, forte della propria ideologia materialista, esso considera le fedi (tutte, senza distinzione o eccezione) come il primo nemico da abbattere, e così facendo distrugge milioni di vite rovinandone milioni di altre. La Cina rappresenta oggi certamente un comunismo diverso da quello del maoismo classico o dell’Unione Sovietica, vinti dalla storia; ma la sua novità è anche quella di essere stato capace di sopravvivere a se stesso e di rivendersi all’Occidente. Ciò che invece resta immutato è il suo disprezzo per la vita umana e il suo metodo repressivo feroce.