Massimo Introvigne
ll 14 maggio 2018, nella sede delle Nazioni Unite, a New York, si è svolto un acceso confronto. Gli Stati Uniti e la Germania hanno accusato la Cina di tenere centinaia di migliaia di uiguri musulmani in campi per la trasformazione attraverso l’educazione. Il rappresentante cinese ha risposto che, in genere, i governi e i diplomatici occidentali accettano come vere fake news diffuse dagli attivisti o dai “terroristi” musulmani anticinesi e che invece questi campi sono stati ufficialmente aboliti tempo fa. Il rappresentante cinese stava semplicemente mentendo? Sì e no
In Cina è molto importante distinguere fra tre tipi diversi di campi. La distinzione è stata studiata in un articolo recente (15 maggio 2018) dedicato dallo studioso tedesco Adrian Zenz ai campi dello Xinjiang. L’articolo è importante perché Zenz ha lavorato soprattutto su irreprensibili fonti cinesi ufficiali, documentando l’esistenza di vari campi diversi. Seguo lo studio di Zenz per la tipologia dei campi, mentre aggiungo commenti personali su come i campi vengano gestiti e sull’ideologia che li appoggia al di fuori dello Xinjiang.
I primi campi descritti da Zenz sono i cosiddetti laogai, o, più precisamente, laodong gaizao (劳动改造), cioè i «campi per la riforma attraverso il lavoro». I detenuti vengono condannati a essere internati per un certo periodo nei laogai da un tribunale a seguito di un processo penale e i laogai fanno parte del sistema carcerario cinese.
Il secondo tipo di campi è chiamato laojiao (劳动教养 o 劳教), cioè i «campi per la rieducazione attraverso il lavoro», istituiti dal regime cinese nel 1957. Laogai e laojiao possono sembrare istituzioni simili, ma sono distinti da un’importante differenza giuridica. Per internare un prigioniero in un laojiao non era necessaria alcuna sentenza di tribunale. Era sufficiente un ordine amministrativo emesso da un’agenzia di pubblica sicurezza. Il sistema dei laojiao è stato usato ampiamente per i dissidenti, per i fedeli delle religioni proibite e per i “controrivoluzionari” veri o sospettati di esserlo. Di fatto questo sistema è stato però abolito nel 2013 e alcuni campi sono stati convertiti in strutture coercitive per la riabilitazione di drogati.
Quando, durante il dibattito alle Nazioni Unite, ha obiettato che i “campi per la rieducazione” non esistono più da tempo, la Cina si riferiva ai laojiao. Naturalmente i laogai sono invece vivi e vegeti, ma la Cina ha buon gioco nel sostenere che in molti Paesi esistono analoghe strutture di lavoro per chi è condannato alla prigione.
Tuttavia, per comodità, il rappresentante cinese “ha dimenticato” l’esistenza in Cina del terzo tipo di campi di rieducazione. Sono quelli che fanno parte del sistema jiaoyu zhuanhua (教育转化), tradotto normalmente con «trasformazione attraverso l’educazione», sebbene zhuanhua significhi «conversione». Questi campi sono diventati una rete immensa e stanno creando quella che Zenz chiama «la più intensa campagna di ingegneria sociale coercitiva [in Cina] dalla fine della Rivoluzione Culturale». Ciò che sta avvenendo è davvero senza precedenti. Mentre il sistema dei laojiao, nota Zenz, ha internato al massimo 180mila detenuti, rapporti affidabili portano il numero degli internati nei jiaoyu zhuanhua vicino al milione solo nello Xinjiang. Zenz ha studiato solo lo Xinjiang e gli uiguri, ma conclude l’articolo avvertendo che processi analoghi si stanno verificando e prendendo di mira anche altre minoranze in altre parti della Cina. Ora, essendo extragiudiziale, questo sistema non è collegato alle leggi speciali che si applicano nello Xinjiang. La cifra reale degli internati potrebbe quindi superare tranquillamente il milione.
Il nome garbato «trasformazione attraverso l’educazione» è fuorviante. Questi campi non sono infatti scuole. I detenuti sono tenuti a lavorare, oltre a essere continuamente indottrinati, e l’“educazione” può essere brutale. Zenz riferisce che «per via delle condizioni palesemente disumane di questi centri, diversi detenuti sono morti e altri hanno sofferto crolli psichici».
Zenz è sorpreso persino del fatto che alcuni laojiao, trasformati in centri per drogati dopo il 2013, siano stati ora riconvertiti in parti del sistema jiaoyu zhuanhua. Di fatto, continua lo studioso tedesco, «l’estremismo religioso» viene sempre più spesso presentato come una «malattia», un «pensiero malato» che deve essere «curato».
Tuttavia Zenz potrebbe non conoscere il legame che esiste tra la repressione cinese delle minoranze religiose e la deprogrammazione. La Cina bandisce diverse “sette” che etichetta come xie jiao («dottrine eterodosse»). Ha pure cercato di far legittimare la persecuzione che riserva agli xie jiao dai nemici occidentali delle “sette”. Quando, nel 2017, sono stato invitato in Cina ai seminari organizzati dall’Associazione cinese anti-xie jiao, che ha legami diretti con il Partito Comunista Cinese (PCC), ho saputo che nel Paese erano stati invitati dei deprogrammatori occidentali, compresi alcuni dalla fedina penale pesante. La “deprogrammazione” è stata una pratica popolare in Occidente dalla fine degli anni 1960 agli anni 1980, allorché fu dichiarata illegale assieme al rapimento dei fedeli adulti dei nuovi movimenti religiosi da parte di “deprogrammatori” nerboruti, in genere assunti dai parenti dei fedeli stessi. I deprogrammatori imprigionavano i fedeli della “setta” e li bombardavano con informazioni negative sulle “sette” cui appartenevano, spesso accompagnando il tutto con sistematici maltrattamenti verbali, privazioni di cibo e sonno, e violenze fisiche.
In Occidente i deprogrammatori sono scomparsi all’inizio del secolo XXI, benché alcuni di loro nascondano i vecchi sistemi sotto nomi nuovi. Ora sembra però che sia la Cina a gestire l’operazione di deprogrammazione più massiccia di tutta la storia umana. Perché è proprio la deprogrammazione, nella sua forma più violenta, ciò che avviene nel sistema dei jiaoyu zhuanhua. I musulmani uiguri sono le vittime studiate da Zenz, ma, come nota lui stesso, prima di venire applicato ai musulmani il sistema è stato creato per il Falun Gong, e oggi nello Xinjiang anche i cristiani vengono internati in quegli stessi campi. Del resto il sistema dei jiaoyu zhuanhua è sempre più operativo pure in altre parti della Cina e nel suo mirino cadono anche i fedeli degli xie jiao, con la Chiesa di Dio Onnipotente che viene indicato dal regime come il primo e il più pericoloso degli xie jiao oggi attivi nel Paese.
La nozione di «estremismo religioso» è stata peraltro importata dalla Russia, dove è stata usata per “liquidare” l’organizzazione di laici musulmani Tablighi Jamaat e i Testimoni di Geova, pronta per “liquidare” altri. Il padre della nozione russa di «estremismo religioso», Alexander Dvorkin, è stato invitato più volte in Cina e salutato come un «settologo illustre». La nozione “russa” di «estremismo religioso» è servita ai cinesi anche per giustificare la repressione degli uiguri musulmani rubricandola alla voce “guerra al terrorismo”, sebbene, come nota Zenz, sia oramai chiarissimo che la cosiddetta “guerra al terrorismo” è di fatto solo una “guerra alla religione”.
E forse questa guerra non si fermerà agli uiguri musulmani e agli xie jiao. «Mentre, a quanto si dice, viene insegnata loro la distinzione fra le attività religiose illegali e le usanze culturali “normali”», conclude Zenz, «alcuni rapporti e alcuni informatori osservano che in realtà i detenuti vengono costretti a ripudiare ogni forma di credo religioso». La religione viene sempre più percepita come una malattia e la deprogrammazione è la cura per un milione, o più, di pacifici cittadini cinesi.