Il Forum di Taiwan sulla libertà religiosa contesta al PCC l’orribile repressione degli uiguri e dei movimenti etichettati come xie jiao. Bitter Winter era presente
Marco Respinti
Il 1° giugno il vicepresidente di Taiwan, Chen Chien-jen, ha chiuso la tre giorni del Forum internazionale per la libertà religiosa, organizzato da China Aid, Heritage Foundation, Chiesa presbiteriana di Taiwan e Associazione taiwanese per i diritti umani in Cina, tenutosi al Presbyterian Bible College di Hsinchu. Il convegno si era aperto il 30 maggio con il discorso del presidente di Taiwan, signora Tsai Ing-wen.
Il vicepresidente Chen ha presentato le due dichiarazioni conclusive stilate dal Forum. La prima ha esposto «le sostanziali, attendibili e crescenti prove raccolte e non confutate che dimostrano come il Partito Comunista Cinese abbia autorizzato e approvato – e continui a portare avanti – un programma sistematico di “prelevamento di organi” che comporta un’orribile e atroce perdita di vite umane». Il documento chiede inoltre a tutti i Paesi civili di né «ricevere né accettare, direttamente o indirettamente, alcuna consegna di organi per trapianto che provenga dalla Cina». Nel corso del convegno è infatti emerso che non solo chi pratica il Falun Gong è oggetto di tale prelevamento, ma che pure i fedeli di altri gruppi inclusi nell’elenco degli xie jiao, tra cui la Chiesa di Dio Onnipotente, e i musulmani uiguri, sono vittime di questa pratica barbarica.
La seconda dichiarazione ha poi presentato la situazione raccapricciante dei campi per la trasformazione attraverso l’educazione nello Xinjiang, concludendo che «il silenzio di fronte a queste atrocità di massa è un semaforo verde che permette a questi crimini di continuare e l’inazione non è una posizione neutrale». Gli oratori intervenuti hanno del resto rilevato che, benché in origine sia stato valutato in un milione di persone, il numero di uiguri, kazaki e altri detenuti musulmani continui a crescere, spingendo alcune fonti governative statunitensi a stimare le cifra come prossima ai tre milioni.
Al convegno hanno partecipato leader religiosi, responsabili di ONG e parlamentari di diversi Paesi di Asia, Europa, Stati Uniti d’America e Africa. Si è discusso dei problemi relativi alla libertà religiosa in numerosi Paesi, tra cui il Pakistan, la Nigeria e il Myanmar, ma molti degli interventi sono stati incentrati sulla Cina. È stato anche letto un messaggio del Dalai Lama, il quale ha espresso appoggio all’iniziativa.
Il convegno si è svolto a porte chiuse e nessuna delle dichiarazioni ivi proferite può essere attribuita a un relatore specifico senza autorizzazione espressa. Qualcuno ha però parlato con i media per denunciare la recrudescenza della persecuzione che in Cina si sta consumando ai danni di tutte le religioni. Tra questi, Nadine Maenza, membro della Commissione degli Stati Uniti sulla libertà religiosa nel mondo, e Bob Fu, di ChinaAid. Massimo Introvigne, direttore di Bitter Winter, ha tenuto una conferenza in cui ha offerto una panoramica della persecuzione religiosa nel grande Paese asiatico, insistendo sul fatto che nella Cina di Xi Jinping vengono perseguitate tutte le religioni, comprese le cinque approvate. Accampando ogni tipo di pretesto, oggi i loro luoghi di preghiera vengono spesso demoliti o chiusi. Tuttavia le religioni non autorizzate, per esempio le Chiese domestiche, patiscono la persecuzione più dura. E la peggiore di tutte è quella che prende di mira i gruppi che il PCC include nella lista degli xie jiao, come il Falun Gong e la Chiesa di Dio Onnipotente. I fedeli di questi gruppi subiscono abitualmente torture, condanne a morte extra-giudiziali e prelevamento degli organi. «Naturalmente», ha affermato Intriovigne, «i singoli individui che commettono crimini debbono essere puniti e non possono nascondersi dietro la scusa della libertà religiosa. Ma le liste degli xie jiao sono intrinsecamente repressive e non dovrebbero esistere in alcun Paese democratico. Non compete allo Stato stabilire quali insegnamenti siano ortodossi e finanche le credenze religiose considerate eterodosse o eretiche dalle religioni e dalle Chiese ufficiali e riconosciute dovrebbero comunque godere della libertà religiosa».