Gli amministratori pubblici vigilano: i tibetani poveri perdono prima la terra, poi l’indennità di trasferta se non smettono la pratica del buddhismo
In maggio le autorità hanno ordinato ai tibetani con basso reddito che vivono della cifra minima dell’indennità di trasferta elargita dallo Stato di smettere di adorare il Buddha; in caso contrario, la loro indennità verrà cancellata. Questa nuova ordinanza rappresenta una escalation nella politica del Partito Comunista Cinese (PCC) tesa a perseguitare i tibetani e a costringerli a rinunciare al proprio credo religioso.
Bitter Winter ha recentemente intervistato alcuni tibetani della città di Lhasa, nella Regione autonoma del Tibet. Numerose fonti confermano che il governo ha confiscato la terra di molti tibetani diversi anni fa, lasciandoli senza reddito e senza cibo per sostentarsi. Di conseguenza molti tibetani non sono in grado di guadagnarsi da vivere e perciò sono stati costretti a dipendere dell’indennità minima di sussistenza fornita dal governo. Quest’ultimo ordine che nega i sussidi pubblici minaccia quindi non solo la libertà di religione, bensì anche la sopravvivenza stessa di molti buddhisti poveri.
Dopo che è stato annunciato il divieto di praticare la religione per chi ricevesse l’indennità di trasferta, Dolma, una donna di circa cinquant’anni, era terrorizzata. Non osava praticare la Kora o adorare il Buddha, nel timore che le autorità stessero tenendo sotto controllo le sue mosse (la Kora è una pratica che i tibetani usano per esprimere la propria devozione religiosa. È insieme una sorta di pellegrinaggio e una forma di meditazione che fa parte delle tradizioni del buddhismo tibetano e del Bon).
Secondo le notizie raccolte, l’amministrazione locale ha nominato un amministratore pubblico per tenere sotto sorveglianza i tibetani dalle 9 del mattino alle 9 di sera.
Dolkar è un vedovo settantenne e un devoto buddhista. L’anziano ha patito molto il fatto che le autorità utilizzino questi metodi per costringerlo a non adorare il Buddha. Ogni giorno, ci dice, siede disperato sulla porta di casa, trascorrendo senza far nulla il tempo che gli resta.
«Adorare il Buddha è una cosa buona. [I buddhisti] non rubano e non rapinano, tutto ruota intorno all’insegnamento del bene. Perché il governo è così determinato a limitare e sopprimere il nostro credo?», ci ha chiesto un tibetano.
Alcuni analisti sono dell’idea che esista una trama nascosta dietro l’appropriazione della terra e la concessione di indennità di trasferta. Il PCC vuole sottomettere il popolo tibetano controllandone i mezzi di sostentamento. Quando il controllo sui tibetani sarà totale, allora ne elimineranno il credo religioso. Vincolati dalle necessità legate alla sopravvivenza, i buddhisti tibetani non avranno altra scelta se non capitolare davanti alle imposizioni del governo.
Il tentativo di negare i sussidi pubblici ai credenti tibetani è solo l’ultimo di una lista di abusi e di persecuzioni imposti a questo popolo sofferente. Numerosi regolamenti sono stati stilati per assicurare il completo controllo sui monaci buddhisti tibetani, sulle monache e sui templi. Il governo ha persino tentato di porre sotto il proprio controllo il sistema delle reincarnazioni proprio al buddhismo tibetano. Anche i dipendenti pubblici sono divenuti un bersaglio. Il 9 gennaio, un servizio di Voice of Tibet, citando i tibetani in Cina, ha affermato che le autorità del PCC hanno emesso il divieto per i funzionari della città di Lhasa di prendere parte alle attività religiose buddhiste, minacciando chi non avesse obbedito di perdere i sussidi pubblici per sempre.
(Tutti i nomi usati in questa sede sono pseudonimi)
Servizio di Li Zaili