Sulla base delle nuove ricerche effettuate dallo studioso Adrian Zenz, l’Alleanza interparlamentare sulla Cina denuncia le atrocità del regime e l’immobilismo dell’Occidente
di Marco Respinti
Come documenta lo studioso indipendente tedesco Adrian Zenz in una nuova ricerca, in Tibet il PCC gestisce un sistema di campi di lavoro forzato sullo stesso riuscito modello dei famigerati campi per la trasformazione attraverso l’educazione dello Xinjiang, che i suoi abitanti preferiscono chiamare Turkestan orientale. Lì, secondo le statistiche più recenti, fino a tre milioni di uiguri più migliaia di altre minoranze turcofone sono detenuti in condizioni orribili per la sola ragione di essere credenti musulmani e di resistere alla “sinizzazione”. Zenz è del resto il primo studioso ad avere dettagliato la realtà dei campi dello Xinjiang e calcolato il numero dei detenuti, che, al momento dei suoi primi studi, ammontavano a un milione di persone. Vale peraltro la pena notare che, a seguito delle proprie solide ricerche, Zenz è stato tanto brutalmente quanto falsamente attaccato dalla macchina propagandistica del PCC, che lo ha accusato di essere un “fanatico religioso” pagato dagli Stati Uniti e un “estremista”.
Il progetto «in stile militare» (军旅 式, junlüshi) per il Tibet, che include indottrinamento forzato e sistemi di sorveglianza intrusiva (sebbene non necessariamente la detenzione, a differenza dello Xinjiang), solleva preoccupazioni serie in materia di diritti umani tanto da spingere l’Alleanza interparlamentare per la Cina (IPAC) a pubblicare, il 22 settembre, il giorno stesso dell’uscita dello studio di Zenz, una dichiarazione finora firmata da 63 legislatori in rappresentanza di diversi Paesi del mondo. L’IPAC è un gruppo internazionale di parlamentari appartenenti a diversi partiti che opera per influenzare l’approccio dei Paesi democratici nei confronti della Cina e con la propria dichiarazione promette azioni politiche in ciascuno dei 18 Paesi che rappresenta. «Questo rapporto», scrive l’IPAC, «è l’ultima di una serie crescente di prove che documentano le gravi violazioni dei diritti umani in Tibet, dove la situazione della libertà religiosa, della persecuzione politica sistematica e dell’assimilazione culturale forzata della popolazione tibetana autoctona è venuta nei decenni sempre più deteriorandosi».
Per giustificare la dura politica di repressione che attua in Tibet il PCC usa l’espressione «formazione professionale» esattamente come fa nello Xinjiang e, ancora una volta in modo analogo a quanto avviene nello Xinjiang, suo obiettivo è la riforma della presunta “arretratezza di pensiero” dei tibetani e la loro sollevazione dalla “tradizionale pigrizia”. Questo modo di esprimersi tradisce però un netto progetto di «genocidio culturale» ‒ tra l’altro uno degli argomenti centrali degli studi di Zenz sulla Cina ‒, che fa della lotta per la libertà culturale nello Xinjiang, nel Tibet e nella Mongolia interna, che i mongoli locali preferiscono chiamare Mongolia meridionale, una causa unica.
La dichiarazione dell’IPAC chiede specificamente di affrontare il problema attraverso sanzioni mirate «in stile Magnitsky» contro i responsabili e ai governi di rivedere le indicazioni sui rischi che corrono le imprese che si riforniscano in Tibet e in altre aree interessate dal fenomeno, onde impedire che nelle loro catene di approvvigionamento venga impiegato il lavoro forzato. Il riferimento è al Global Magnitsky Human Rights Accountability Act, una legge del 2017 che consente agli Stati Uniti d’America di sanzionare gli stranieri che si macchino di atrocità. Di fatto il Dipartimento di Stato americano ha già sanzionato quattro alti funzionari del PCC nello Xinjiang, tra cui Chen Quanguo, attuale Segretario del Partito Comunista della Regione autonoma uigura dello Xinjiang ed ex Segretario del Partito Comunista della Regione autonoma del Tibet, ovvero il responsabile delle campagne gemelle di repressione in entrambe le regioni. E misure restrittive sono state prese dal Dipartimento di Stato USA anche contro i funzionari del PCC colpevoli di violazioni della libertà religiosa e dei diritti umani in Tibet.
Dei Paesi rappresentati nell’IPAC sarà comunque l’Italia a ospitare una conferenza stampa a Roma, nella Camera dei Rappresentanti, il 1 ° ottobre. Organizzata da parlamentari critici nei confronti dell’acquiescenza del governo italiano alle politiche cinesi nell’ambito della “Belt and Road Initiative”, la conferenza stampa denuncerà la decennale repressione dei diritti umani fondamentali in Tibet, Xinjiang, Mongolia interna e Hong Kong. Parallelamente si terrà a Milano, la “capitale economica” del Paese, una manifestazione pacifica organizzata dalla Comunità Tibetana in Italia.