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Un rifugiato della Chiesa di Dio Onnipotente conferma l’uso della tortura

22/02/2020Ruth Ingram |

Zhang Wenbo racconta di essere stato appeso con una fune, percosso con un tubo di ferro e ustionato con le sigarette. Il suo unico crimine? Predicare una religione vietata

di Ruth Ingram

Zhang Wenbo in Spagna
Zhang Wenbo in Spagna

Crudeltà spietata e brama di distruzione

In un anno decine di migliaia di fedeli sono stati braccati, oltre seimila arrestati e molti di loro torturati. Oltre un migliaio di fedeli sono stati condannati e 19 di loro uccisi. Questi numeri non bastano però a rendere giustizia alla mole di brutalità e vessazioni sadiche compiute l’anno scorso dal governo cinese nei confronti dei fedeli della Chiesa di Dio Onnipotente (CDO). L’entità degli abusi può essere descritta come una campagna di spietata crudeltà e distruzione senza freni di un gruppo di persone la cui unica colpa consiste nel voler praticare in pace la propria fede. Tutto ciò sfida ogni spiegazione, motivo o logica.

Zhang Wenbo ‒ un marito e padre di 50 anni originario della città di Lingbao, nella provincia dell’Henan ‒ è stato vittima della persecuzione, ma due mesi orsono è riuscito a fuggire dalla Cina. L’uomo, intervistato da Bitter Winter, attualmente vive in Spagna ed è uno dei 564 fedeli della CDO richiedenti asilo che, separati dai propri cari, affrontano un futuro incerto in trepidante attesa che si decida il loro destino.

Questo nuovo movimento religioso cristiano (anche noto come Lampo da Levante o Folgore da Oriente) è stato fondato nel 1991 in Cina e crede che Gesù Cristo sia tornato sulla terra incarnandosi in una donna cinese chiamata «Dio Onnipotente». La CDO è stata perseguitata sin dalla sua fondazione, ma negli ultimi anni, da quando Xi Jinping ha intensificato la sinizzazione delle religioni, il movimento è diventato bersaglio di una brutale persecuzione e repressione. La nuova e draconiana Normativa sugli affari religiosi è stata applicata contro ogni religione, con l’obiettivo finale di accelerare e promuovere la fine della religione trasformando la Cina in un Paese completamente ateo.

Secondo le statistiche incomplete fornite dal rapporto annuale sulla persecuzione recentemente pubblicato dalla CDO, tra il 2011 e la fine del 2019, oltre 400mila fedeli sono stati arrestati dalle autorità cinesi e, a partire dalla fondazione della Chiesa, i fedeli deceduti a causa delle persecuzioni sono ormai 146.

La storia di Zhang Wenbo

La storia di Zhang Wenbo è iniziata 21 anni fa quando un parente gli ha parlato del nuovo movimento della CDO e della fede in Dio Onnipotente. Fino a quel momento Zhang era stato un cristiano tradizionale convertito quand’era un ragazzo da uno zio che era un predicatore di una Chiesa domestica. Sin dai suoi primi giorni, ricorda che la persecuzione era l’elemento centrale della loro vita di fedeli. Nel 1978 suo zio era stato arrestato e torturato a causa della fede e della sua attività missionaria e anche la sua famiglia era diventata un obiettivo chiave della sorveglianza del governo.

Dopo aver aderito alla CDO nel 1998 aveva deciso di diventare un missionario e ha subito seguito con entusiasmo la sua nuova vocazione. Lavorava nell’azienda di famiglia vendendo mobili e trascorreva tutto il tempo libero occupandosi della nuova fede. Per quattro anni ha viaggiato parlando con chiunque volesse ascoltarlo ed è riuscito a evitare diversi arresti. Le cose sono peggiorate nel 2003, quando dopo un’operazione di sorveglianza a lungo termine hanno iniziato a monitorare le attività di Zhang. Così un giorno una decina di poliziotti ha improvvisamente circondato l’edificio dove si trovava con altri quattro fedeli.

L’uomo ha dichiarato: «Cinque o sei di loro hanno fatto irruzione nella stanza e ci hanno scortato alla stazione di polizia dove mi hanno torturato per costringermi a denunciare i responsabili della chiesa». Per spezzare la sua volontà gli hanno ordinato di stare piegato in avanti con la punta delle dita a terra e a mantenere una posizione semi accovacciata per un considerevole periodo di tempo. Aveva una lampada da 1.000 watt puntata sul volto che gli causava un fortissimo mal di testa e dolore agli occhi. Quando durante la notte cercava di dormire veniva percosso senza pietà. Zhang ha aggiunto: «Non riuscivo davvero a capire perché mi infliggessero tali tormenti. Non avevo commesso alcun crimine, avevo solamente praticato la mia fede e predicato il Vangelo».

Il giorno dopo è stato finalmente rilasciato su cauzione grazie all’aiuto di amici, ma alla liberazione sono seguite molestie incessanti da parte della polizia, ispezioni alla sua azienda, domande incessanti, richieste di abbandonare la fede e convocazioni alla stazione di polizia. Non gli restava altra scelta che fuggire.

Tra il 2003 e il 2012 ha viaggiato facendosi ospitare da altri fedeli della CDO o affittando appartamenti, lavorava ovunque possibile e coglieva ogni occasione per diffondere il suo messaggio predicando a chi era disposto ad ascoltarlo. Alcuni a cui predicava erano ricettivi mentre altri lo cacciavano via. Taluni lo hanno accolto, ma altri lo hanno tradito costringendolo nuovamente alla fuga.

La paura lo perseguitava. Passava la vita guardandosi le spalle, ascoltando i passi sulle scale e tremando quando qualcuno bussava alla porta. Riusciva spesso a salvarsi per il rotto della cuffia ed era sempre pronto alla fuga. Nel 2012, mentre si trovava nella provincia del Guizhou per predicare la sua lunga fuga è terminata.

Brutalmente torturato nella città di Tongren

Zhang ricorda: «Il 17 dicembre avevo incontrato altri quattro fedeli in un edificio che, come abbiamo appreso in seguito, era attentamente sorvegliato dal PCC. Il direttore dell’Ufficio per la sicurezza pubblica della città di Tongren e una decina di poliziotti, hanno fatto irruzione nel locale e ci hanno portati alla stazione di polizia del distretto Bijiang della città di Tongren, dove mi hanno torchiato affinché denunciassi i responsabili della chiesa».

Visto che si rifiutava di fornire informazioni l’uomo è stato schiaffeggiato, preso a pugni e percosso. Le percosse si sono protratte fino a quando, coperto di lividi, ha perso conoscenza.
È stato quindi trascinato nel seminterrato dove è stato sottoposto al cosiddetto «swing». L’uomo ha ricordato: «Sono stato ammanettato sul telaio di una porta in modo che i miei piedi non toccassero il pavimento. Poi mi hanno legato le caviglie e mi facevano oscillare avanti e indietro. Le manette stringevano saldamente la mia carne, provavo un dolore lancinante ai polsi e gridavo per il dolore». Zhang ha aggiunto che l’altra estremità della fune era legata al telaio di una finestra e che il suo corpo è rimasto in questa posizione per mezz’ora fino a che le mani hanno perso sensibilità.

Il peggio però doveva ancora venire.

Zhang ha detto: «Visto che non avevo intenzione di confessare mi hanno steso a terra, hanno spento la telecamera di sorveglianza e mi hanno percosso la schiena, la vita e le spalle con un tubo d’acciaio lungo 70 centimetri e con un diametro di 3. Mi faceva molto male il petto». Successivi accertamenti medici hanno evidenziato che questo trattamento gli aveva gravemente lesionato una costola.

Le brutalità continuavano, i poliziotti lo hanno anche costretto a inginocchiarsi mentre con un tubo d’acciaio premevano con forza sui polpacci facendolo ruotare. Ciò gli cagionava un dolore insopportabile, era come se ginocchia e caviglie venissero frantumate. Ricordando quei momenti l’uomo ha detto che il pensiero delle sofferenze di Gesù gli aveva dato la forza di andare avanti: «Di fronte alla loro ferocia tutto ciò che potevo fare era rivolgermi incessantemente a Dio perché mi aiutasse a non tradirlo».

Prima di raccontare le ultime umiliazioni e il degrado vissuti durante quelle ore buie ha ricordato: «Mi hanno torturato in questo modo per qualche tempo e poi mi hanno ammanettato al muro, una mano sopra la testa e l’altra sotto la vita a formare una croce inclinata. Non potevo né alzarmi né accovacciarmi e dovevo rimanere in quella posizione dolorosa con solo un piede a terra. Mi hanno anche costretto a fumare due pacchetti di sigarette, mi soffiavano il fumo nelle narici, mi hanno bruciato la barba, preso a calci e pugni e persino applicato un liquido sconosciuto sul viso. Questo liquido formava una maschera che provocava un terribile prurito e non riuscivo a non torcere il mio corpo, ma i polsi erano serrati strettamente e così provavo dolori lancinanti. Desideravo solo che il tempo passasse più velocemente».

Zhang ha aggiunto con amarezza: «Mi hanno tolto le mutande e con una sigaretta mi hanno bruciato i peli pubici attorno all’ano. Mi inserivano le sigarette accese nell’ano una dopo l’altra. Continuavo a lottare e urlare di dolore mentre gli agenti di tanto in tanto scoppiavano a ridere». L’uomo ha descritto queste offese e umiliazioni come più dolorose del tormento fisico stesso.

Zhang ha aggiunto: «In quei momenti avrei voluto morire, volevo rimproverarli e domandare perché traessero un tale piacere nell’infliggermi quei tormenti. Erano forse demoni infernali?». L’uomo ha detto che i traumi causati da quel supplizio non lo lasciano mai. Rivede nella sua mente quella scena ogni volta che usa il bagno. Non può liberarsene. Una delle conseguenze fisiche del suo calvario è una grave forma di colite cronica.

Picchiato e insultato anche dagli altri prigionieri

Il 18 dicembre 2012 è stato trasferito nel centro di detenzione del distretto Bijiang nella città di Tongren. Varie volte è stato gettato a terra e preso a calci. Ricorda ancora i sorveglianti che ridevano istericamente e dicevano: «Crede in Dio e quindi è un prigioniero politico. Anche se lo picchiamo a morte non ci puniranno».

Durante la detenzione è stato nutrito il minimo indispensabile. Con il permesso delle guardie gli altri prigionieri provavano grande piacere a picchiarlo e insultarlo. Tuttavia, nonostante tutto ciò che ha dovuto sopportare, ringrazia l’intervento divino per essere stato inizialmente recluso in un centro di detenzione che prevede il soggiorno massimo di un mese, piuttosto che direttamente in una casa di detenzione che sarebbe stata il preludio al processo e alla condanna. Questo “colpo di fortuna” amministrativo ha permesso a familiari e amici della CDO di utilizzare le loro conoscenze per farlo rilasciare su cauzione. La sua libertà è stata pagata 16mila renminbi (2.290 dollari statunitensi), ma la cauzione registrata ammontava a soli 3mila renminbi (430 dollari) e la differenza è stata intascata dai poliziotti.

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Dopo il rilascio Zhang è tornato a casa scoprendo di essere stato messo sotto sorveglianza a lungo termine. Veniva interrogato frequentemente, il suo telefono era monitorato 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e ogni mese doveva fare rapporto. Gli è stato detto che se non avesse rinunciato alla fede avrebbe dovuto affrontare cinque anni di carcere. Non volendo rinunciare alla propria fede e creare problemi a sua moglie e sua figlia, non gli è rimasta altra alternativa che la fuga.

Nel 2013, mentre predicava a Sanmenxia, una città nell’Henan, era riuscito a malapena a fuggire e così aveva ripreso a spostarsi da un posto all’altro.

Tra il 2013 e il 2018 ha avuto pochissimi contatti con sua moglie o sua figlia e ha aggiunto: «Sarebbe stato troppo pericoloso per tutti noi». Nel 2016 ha appreso che la polizia stava intensificando le ricerche e i suoi familiari gli hanno inviato dei messaggi urgenti con cui gli hanno chiesto di non tornare a casa e di non contattarli. Nel 2018, a causa di una grave colite ha raggiunto il suo punto di rottura e si è rifugiato da una zia dove ha potuto vedere i suoi genitori per l’ultima volta. Quando ha saputo che la polizia aveva informato i suoi genitori che un corpo all’obitorio doveva essere identificato e che era necessario un campione di DNA di tutti i suoi familiari è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Avendo compreso che si trattava di una trappola Zhang è nuovamente fuggito e ha deciso che in qualche modo avrebbe lasciato il Paese.

In dicembre è infine riuscito con grandi difficoltà a ottenere un visto turistico e a raggiungere la Spagna. Lì, ha contattato altri fedeli della CDO e ha presentato la domanda di asilo. Il dolore della separazione da sua moglie e sua figlia, le cicatrici mentali della tortura e gli anni di persecuzioni lo seguono ogni giorno. Si guarda sempre le spalle sapendo che Pechino è determinata a riportare nel Paese ogni fedele della CDO. Ora il suo unico sogno è quello di arrivare a fine giornata. Non è facile immaginare un futuro senza la propria moglie al fianco.

Sperando di trovare asilo in Europa

È inutile tentare di spiegare l’incessante e crudele persecuzione che il PCC infligge ai fedeli della CDO in Cina e in tutto il mondo. Ho intervistato un’altra esiliata della CDO in Gran Bretagna che ha tentato di spiegare la persecuzione con un proverbio cinese, Sha yi jing bai (杀一儆百) che significa ucciderne uno per educarne cento. Secondo Heather – una Fedele della CDO che vive in Gran Bretagna – ed Emily, anch’essa sfuggita alle persecuzioni e rifugiata nel Regno Unito dall’anno scorso, il PCC spera che il suo pugno di ferro costituisca un valido deterrente per gli altri fedeli.

Heather ha commentato: «Non si rendono conto che in realtà è proprio la persecuzione a farci crescere. Pensano che eliminando i responsabili e impadronendosi dei nostri fondi riusciranno a distruggerci. In realtà, non comprendono il motivo del nostro successo e dopo soli trent’anni siamo più di 4 milioni di fedeli. Possono prendere i nostri soldi e uccidere i nostri leader, ma continueremo a prosperare».

Nel frattempo, Zhang Wenbo attende con ansia l’udienza per l’asilo. Ripone le sue speranze nella democrazia spagnola e ricorda che nel 2014, dopo un’indagine di otto anni sulle violazioni dei diritti umani in Tibet, la Spagna ha emesso un mandato di arresto internazionale contro l’ex presidente cinese Jiang Zemin.

Zhang ritiene di avere prove sufficienti a sostegno della propria domanda di asilo e confida nella benevolenza del governo spagnolo: «So che non temono la Cina e che sarò trattato con giustizia, per questo sono venuto in Spagna».

Contrassegnato con: Chiesa di Dio Onnipotente, Tortura

Ruth Ingram

Ruth Ingram, ricercatrice, collabora assiduamente a varie testate, fra cui il sito dell’Institute of War and Peace Reporting (la principale pubblicazione su Asia Centrale e Caucaso), Guardian Weekly e The Diplomat.

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