La massima autorità del buddhismo tibetano parla con i giornalisti dell’Hindustan Times della designazione del proprio successore. Che potrebbe anche non esserci
Massimo Introvigne
Il giorno di Natale, il Dalai Lama ha rilasciato un’intervista all’Hindustan Times. L’autorevolezza e l’attendibilità dell’intervista sono state avvalorate dalla sua pubblicazione sul sito web della Amministrazione Centrale Tibetana.
L’attuale quattordicesimo Dalai Lama (84 anni) ha dovuto rimunciare alla visita negli Stati Uniti d’America e all’incontro previsto con il presidente Donald J. Trump a causa delle sue condizioni di salute, benché abbia dichiarato che il cancro alla prostata da cui era affetto sia stato curato con successo grazie alla radioterapia. Né è sembrato troppo colpito dal fatto che alcuni Paesi non gli abbiano consentito l’ingresso. Il Dalai Lama ha inoltre spiegato che non vi sono contatti con il governo cinese, ma che «esiste semplicemente un canale informale con alcuni funzionari cinesi in pensione e con alcuni uomini d’affari che di tanto in tanto vengono a trovarmi». I contatti semiufficiali che esistevano durante le presidenze di Deng Xiaoping (1904-1997) e di Jang Zemin sembrano dunque appartenere totalmente al passato.
La parte più interessante dell’intervista riguarda però la questione del quindicesimo Dalai Lama: se vi sarà o no e, in caso affermativo, come verrà individuato. Numerose dichiarazioni e numerosi testi scritti del Dalai Lama negli ultimi decenni testimoniano che la questione del successore è tutt’altro che scontata. In più, una legge istituita dal regime di Pechino nel 2007 riserva paradossalmente al Partito Comunista Cinese (PCC) il diritto di decidere quali saranno i lama reincarnati e le modalità con cui le reincarnazioni verranno identificate.
Nel corso dell’intervista, il quattordicesimo Dalai Lama ha ribadito le posizioni dottrinali già espresse negli scritti teologici precedenti, non sempre noti ai non specialisti. Centinaia, persino migliaia di lama tibetani e mongoli appartengono a stirpi di reincarnati. Il Dalai Lama ha più volte indicato che un lama precedente può trasferire la propria essenza a un successore anche prima di morire (in questo caso, il termine corretto è “emanazione” invece che “reincarnazione”) e che il singolo lama può reincarnarsi in molte persone, oppure non farlo del tutto. Fondamentalmente, la decisione è solo sua.
Il Dalai Lama ha quindi fornito tre indicazioni di notevole importanza. Con la prima ha chiarito cosa pensa del fatto che, in aggiunta ai due Panchen Lama (uno riconosciuto dalla diaspora tibetana e l’altro dal PCC, benché nessuno abbia più visto il Panchen Lama sostenuto dalla diaspora da quando il PCC l’ha preso in custodia nel 1995, all’età di soli sei anni), oggi ci siano due Karmapa rivali. In Tibet il Karmapa è il capo della scuola buddhista Karma Kagyu. Il Panchen Lama è invece la seconda carica della scuola Geluk, il cui leader è appunto il Dalai Lama. Quest’ultimo ha dunque dichiarato che «nel secolo XIX un lama di rango elevato si è reincarnato in cinque persone diverse. È possibile che del sedicesimo Karmapa ci siano contemporaneamente diverse reincarnazioni, ma il detentore dell’autorità deve ugualmente essere uno solo». Ha poi aggiunto che, in ogni caso, ragioni politiche suggeriscono di non insistere su questo punto teologico: «[…] poi un certo gruppo mi ha fatto sapere che sarebbe meglio che io non parlassi della possibilità di due o tre reincarnazioni contemporanee dello stesso lama. Ho risposto loro di stare tranquilli, che va bene».
Il secondo punto notevole è la possibilità che non vi sia un quindicesimo Dalai Lama. Un Dalai Lama era indispensabile quando la scuola Geluk deteneva anche il controllo politico del Tibet. «Ho chiarito già dal 1969 che spetta al popolo tibetano decidere se l’istituzione del Dalai Lama debba proseguire oppure no. Saranno i tibetani a decidere. Io non ho preconcetti. Sin dal quinto Dalai Lama, la persona che deteneva quel titolo è stata a capo sia del potere temporale sia di quello spirituale. Dal 2001 ho rinunciato orgogliosamente, volontariamente e felicemente a qualsiasi ruolo politico. Abbiamo già eletto un capo politico (l’Amministrazione Centrale Tibetana di Dharamshala), che detiene la piena responsabilità in ambito temporale. Nel 2011 mi sono poi ritirato del tutto». Ridacchiando, il Dalai Lama ha pure aggiunto che «il mio pensiero è più liberale di quello cinese, che è più ortodosso», dal momento che il PCC ritiene che certamente il prossimo Dalai Lama verrà individuato (naturalmente dal PCC stesso).
Terzo punto importante, il quattordicesimo Dalai Lama ha asserito con decisione che un quindicesimo Dalai Lama, scelto dal PCC come sua reincarnazione, non godrebbe di alcuna credibilità. E che prima della sua morte non sarà solo lui a decidere se la reincarnazione avrà avuto luogo o meno, ma lo stabilirà un’ampia consultazione tra lama e capi laici tibetani e mongoli, esclusi quelli controllati dal PCC. In effetti, una parte importante di questo processo avrebbe dovuto svolgersi durante la XIII Conferenza religiosa delle scuole del buddhismo tibetano e delle tradizioni bon (dal 29 novembre al 1° dicembre scorsi), ma l’assise è stata posticipata. Il motivo lo ha spiegato il Dalai Lama: «Un lama importante (Kathok Getse Rimpoche, a capo della scuola Nyingma) è mancato improvvisamente. La Conferenza ha dovuto quindi essere rimandata poiché questo è il momento del lutto». Questo «non ha nulla a che fare» con la coesistenza di due Karmapa rivali. La massima autorità del buddhismo tibetano ha anche negato contrasti con l’Amministrazione Centrale Tibetana.