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Coronavirus: uiguri deportati come schiavi in altre province per far ripartire l’economia

03/04/2020Ruth Ingram |

Si accumulano le prove e alcuni video documentano il trasferimento in massa degli operai turcofoni inviati a lavorare nelle fabbriche cinesi al di fuori dello Xinjiang

di Ruth Ingram

Operai uiguri e di altre etnie turcofone
Operai uiguri e di altre etnie turcofone in attesa di essere trasferiti al di fuori dello Xinjiang (dal profilo Twitter dell’Uyghur Bulletin)

I video di TikTok e di DouYin filtrati dallo Xinjiang durante le ultime due settimane hanno confermato il timore che Pechino stia usando i giovani uiguri e di altre etnie turcofone come schiavi e come carne da cannone per riavviare l’economia cinese.

Dato che la nazione si sta appena rimettendo in piedi dopo mesi di isolamento, e che gli esperti debbono ancora chiarire del tutto la questione rispetto al virus, i filmati, che mostrano centinaia di uiguri con la mascherina di protezione ammassati negli hub di trasporto in giro per la regione, con ordine di recarsi a lavorare nelle fabbriche delle zone interne della Cina, stanno creando preoccupazione negli attivisti uiguri.

I filmati, che usano il popolare social network cinese per la condivisione di video DouYin, sono stati raccolti da Alip Erkin, uiguro in esilio che attualmente risiede in Australia, che li ha postati sul proprio feed Twitter Uyghur Bulletin. Nonostante un turbine di video negativi provenienti dall’epicentro della persecuzione contro gli uiguri dell’estete scorsa, quasi tutti cassati dal creatore del network Bytedance al principio di quest’anno, alcuni post recenti sono riusciti a superare il firewall e a portare le ultime notizie fin nel mondo esterno.

Secondo Alim Seytoff di Radio Free Asia, i movimenti di massa di persone giovani registrati fuori dalla provincia sono coincisi con il diffuso isolamento del Paese per via del coronavirus, quando agli altri cittadini era vietato lasciare le proprie case. «Questi video sono comparsi nel momento in cui il coronavirus si stava diffondendo in Cina e in tutto il mondo, quando la maggior parte delle fabbriche cinesi erano chiuse e nessuno stava lavorando», ha affermato il cronista. «E noi possiamo vedere soltanto i trasferimenti in massa dei lavoratori uiguri verso altre zone della Cina in questo momento».

Alcuni dei video erano filmati di propaganda del governo, che mostrava uiguri felici in partenza in cerca di fortuna, come parte della triennale «spinta al sollievo dalla povertà» che punta a cancellare la povertà assoluta entro il 2020. Un sottotitolo descrive 850 lavoratori provenienti da famiglie povere di Hotan al loro arrivo con un treno speciale a Korla, per lavorare per sei aziende, fra cui il gruppo tessile Zhongtai e la ditta Litai Silk road.

Seytoff fa notare che era impossibile determinare se queste bande di giovani fossero state trasferite a forza oppure volontariamente. Il dissenso in ogni caso sarebbe inutile. «Se si rifiutano, temono di essere gettati nei campi», ha affermato, riferendosi ai temuti campi per la trasformazione attraverso l’educazione e agli ultimi tre anni di misure draconiane volte a reprimere la cultura, la lingua e la religione uigure, che hanno visto l’incarcerazione senza processo di tre milioni di musulmani uiguri e di altre etnie turcofone, allo scopo evidente di “ri-educazione”.

Il giornalista ha aggiunto che tutti gli uiguri mostrati nei video e che erano stati radunati indossavano delle mascherine. «Chiaramente il coronavirus è un rischio per loro», ha affermato, aggiungendo che fonti affidabili hanno confermato che molti dei giovani arruolati erano in effetti detenuti dei campi, «costretti a lavorare nelle fabbriche della Cina continentale».

Uno schiavo uiguro
Uno schiavo uiguro si chiede quale possa essere la sua prossima destinazione (Da Uyghur Bulletin su Twitter)

Musa Abdulehed ER, uno scrittore e ricercatore che vive a Istanbul, commentando tale esodo si è interrogato sui motivi che hanno spinto Pechino. «Dobbiamo chiederci se per il regime cinese il denaro sia più importante della vita?», ha affermato, concludendo che l’operato del PCC, con l’invio degli uiguri nel centro focale del virus, la dice lunga. «È chiaro che sostenere l’economia è più importante delle vite di questi giovani, specialmente di questi tempi, quando i cinesi han non stanno lavorando nelle fabbriche a causa del virus», ha detto lo scrittore, sottolineando inoltre che il fatto che quasi tutti indossassero le mascherine dimostrava che vi erano ancora reali preoccupazioni per la salute. «Ciò indica con chiarezza che il PCC sta giocando con le vite dei giovani uiguri».

Abdulehed si è quindi ritrovato a dedurre che Pechino fosse indifferente alla vita. «Il governo cinese evidentemente non si cura se costoro vivano o muoiano», ha detto. «Non importa se muoiono, ma muoiano lavorando!», ha affermato cinicamente. «Non possiamo accettarlo e protesteremo con maggior forza», ha detto di nuovo, aggiungendo che infine il mondo sta iniziando ad aprire gli occhi davanti alle malvagità del regime del PCC. «Sono anni che diamo l’allarme per il fatto che la Cina causerà disastri all’umanità. E, qui, con il virus, ne vediamo i risultati».

La sua paura più grande è che i giovani siano stati portati fuori dallo Xinjiang espressamente con il fine che essi cadano vittime del virus e muoiano. «Non escluderei del tutto che il governo cinese abbia questo in mente», ha affermato Abdulehed, menzionando le atrocità che hanno avuto luogo nello Xinjiang, specialmente negli ultimi tre anni. Egli chiede che il mondo prenda coscienza per lo meno della sciagura che è stata inflitta al popolo uiguro e alla sua cultura, ed eserciti pressioni sul PCC affinché rilasci i detenuti, blocchi il lavoro forzato e chiuda i campi. «Gli uiguri debbono poter vivere liberi e come esseri umani», ha implorato.

Contrassegnato con: coronavirus, Musulmani Uiguri

Ruth Ingram

Ruth Ingram, ricercatrice, collabora assiduamente a varie testate, fra cui il sito dell’Institute of War and Peace Reporting (la principale pubblicazione su Asia Centrale e Caucaso), Guardian Weekly e The Diplomat.

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