La Cina cerca di rimodellare ciò che resta della globalizzazione attraverso una «Via della Seta della salute». L’Italia è uno dei punti di partenza
di Marco Respinti
Indice:
- Carità finta e controllo ipertecnologico
- Piani egemonici
- Il primo ministro italiano Giuseppe Conte e Xi Jinping
Doctors Against Forced Organ Harvesting (DAFOH) è probabilmente l’organizzazione più importante a livello mondiale fra quante denunciano uno degli aspetti più brutali del regime cinese, vale a dire l’espianto forzato di organi da prigionieri di coscienza. Il suo nuovo rapporto su bugie, violazioni dei diritti umani e mire egemoniche ideologiche del PCC è devastante. Nel documento, pubblicato in più lingue, l’Italia ha una posizione speciale come caso di studio di interesse globale.
Intitolato Smascherare la pandemia di COVID-19 (a breve sarà online anche in italiano), il rapporto pubblica una serie notevole di dati sulla manipolazione sistematica della verità e dei dati medici che il PCC ha operato. Una cronologia dello sviluppo del COVID-19 permette peraltro di evidenziare quali siano le responsabilità della Cina nella diffusione della pandemia, avendo il regime minimizzato la minaccia montante nei resoconti presentati all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), avendo rifiutato di consentire ispezioni sul campo da parte di esperti dell’OMS e del personale del Centro statunitense per il controllo delle malattie, e non avendo smesso di diffondere fake news.
Peraltro la Cina mette il mondo intero in un altro grave pericolo «[…] creando la scarsità sul mercato globale delle mascherine, e stabilendo come e quando distribuire gli aiuti», onde dividere «[…] i Paesi europei» mediante «[…] la strategia del “divide et impera”», che anzitutto mina «[…] il commercio tra i vari Paesi per presentarsi successivamente come il soccorritore che “donava” mascherine alle aree devastate». Il PCC ha infatti sfruttato la crisi del coronavirus per estendere il controllo di Pechino sui Paesi stranieri in una versione riveduta del progetto della “Belt and Road Initiative” (BRI), scopo del quale è rimodellare ciò che resta della globalizzazione imponendole “caratteristiche cinesi”.
Carità finta e controllo ipertecnologico
Dei nove capitoli per 41 pagine di cui consta il rapporto, particolarmente importante è il capitolo 3, La diplomazia delle mascherine: un’agenda nascosta, dove si rileva che «tra il 1° marzo 2020 e il 4 aprile 2020 la Cina ha esportato oltre 3,86 miliardi di mascherine, 2,8 milioni di kit di test COVID-19 e oltre 2,4 milioni di termometri a infrarossi», «[…] molti dei quali sono stati venduti, anziché donati, cosicché la dicitura “Made in China” ha iniziato a prendere connotazioni mortali».
Ma, non appena queste spedizioni di ingenti materiali sono giunte a destinazione in molti Paesi (tra cui l’Italia), «[…] sono cominciate anche le proteste sui DPI scadenti, difettosi e persino senza licenza che venivano respinti dai Paesi di tutta Europa. Gli sforzi e il supporto
molto pubblicizzati erano piuttosto un aiuto a mettere in pericolo le vite dei medici professionisti, creando un falso senso di sicurezza». Una manovra, questa, che il rapporto di DAFOH descrive come il tentativo «[…] del Partito Comunista Cinese di sfruttare una tragedia umana, mettendo il profitto prima delle persone in un momento di tragedia sanitaria», con esiti «[…] preoccupanti».
Il capitolo 4, I dubbi sulla Croce Rossa cinese, non è meno agghiacciante. In esso la Società della Croce Rossa cinese (CR) viene definita «un ramo del Partito Comunista Cinese controllato dallo Stato». Come spiega il rapporto, «nel febbraio 2020 la CR cinese è stata messa sotto accusa, in patria e all’estero, per la sua incapacità di distribuire aiuti alle istituzioni che ne avevano più bisogno ed è stata accusata di accumulazione e mala gestione delle forniture urgenti di medicinali nei magazzini. A Wuhan, l’epicentro dell’epidemia di COVID-19 in Cina, sono trapelati video che mostravano funzionari della CR cinese fornire dispositivi di protezione individuale a membri del governo locale, proprio in un momento in cui gli ospedali ne avevano urgente bisogno e questo ha scatenato accese proteste sui social media cinesi».
Ma c’è pure dell’altro. Il rapporto di DAFOH descrive la CR cinese come nient’altro che uno strumento nelle mani del PCC per promuovere il tentativo del regime di controllare Paesi esteri. Infatti, «è stato riferito che oltre agli aiuti largamente pubblicizzati della CR cinese, Huawei ha cercato di creare reti 5G basate su cloud direttamente con gli ospedali di Wuhan», cosa che ha causato «[…] immediata preoccupazione per la sicurezza». Insomma, «i tentativi della CR cinese di approfittare della vulnerabilità creata dalla pandemia per spingere il piano del PCC […] indicano che i motivi degli aiuti forniti dalla CR cinese non sono semplicemente umanitari».
Piani egemonici
La CR cinese sembra peraltro essere solamente l’ultima pedina in un grandioso schema votato all’egemonia. Nel gennaio 2017 il Segretario generale del PCC nonché presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, ha firmato un memorandum di intesa con l’OMS per la costruzione di una cosiddetta «Via della Seta della salute», la quale «[…] mirerebbe a migliorare la salute pubblica» nei Paesi lungo la BRI. Ora, sia la BRI sia il pensiero di Xi Jinping, ovvero il suo tentativo neo-post-comunista per rimodellare il mondo, sono parti integranti della Costituzione cinese. E il coronavirus potrebbe ora fungere da veicolo inaspettato, ma opportunamente pilotato, per entrambi.
«Mentre l’epidemia di COVID-19 si è diffusa dalla Cina lungo le rotte della Nuova via della seta» (appunto la BRI), osserva il rapporto di DAFOH, «quegli stessi corridoi, porti e snodi logistici vengono ora utilizzati per fornire supporto medico ai Paesi partner in difficoltà, mentre Pechino cerca di posizionarsi come leader globale nel settore sanitario, una mossa che il presidente cinese Xi Jinping chiama la “Via della Seta della salute”».
Dunque, sostiene il rapporto, la «Via della Seta della salute» è la cornice entro cui Pechino può rilanciare la BRI stessa. Ovviamente la pandemia ha inferto un colpo durissimo anche all’economia cinese, e pure la BRI ne ha sofferto, ma adesso sembra prospettarsi all’orizzonte una nuova occasione. «La Via della Seta della salute», afferma Smascherare la pandemia di COVID-19, può dunque «[…] essere un nuovo comodo vessillo per una politica estera che la Cina non abbandonerà nemmeno sotto pressione».
Il primo ministro italiano Giuseppe Conte e Xi Jinping
È qui che l’Italia entra in scena. L’idea della «Via della Seta della salute» è emersa apertamente durante una conversazione telefonica intercorsa il 16 marzo, mentre l’Italia si trovava nel pieno dell’epidemia da coronavirus, tra Xi Jinping e il primo ministro italiano, Giuseppe Conte; del resto l’Italia è uno dei firmatari europei dei memorandum della BRI cinese. Ora, in quel momento il regime cinese stava inviando «[…] la Croce Rossa cinese in Italia, con il pretesto di fornire aiuti umanitari». Di fatto Pechino aveva cioè già minimizzato la minaccia mortale rappresentata dal COVID-19, «creando così le condizioni che hanno permesso al virus di entrare in Italia e di diffondersi, provocando una catastrofe che il […] Paese non sperimentava da generazioni».
Ora, come scrive DAFOH «[…] il proposito della Cina di imporsi come partner per il 5G in Italia attraverso Huawei, la società di telecomunicazioni con forti legami statali», è «ben documentato». La mossa umanitaria ha dunque avuto lo scopo di «[…] accattivarsi il mercato italiano, creando una maggiore collaborazione economica e diplomatica ed estendendo […] il sistema di controllo basato sulla tecnologia 5G».
Per questo, il 7 maggio, il ramo italiano di DAFOH ha inviato una lettera al governo e al parlamento italiani esortandoli ad agire immediatamente contro le interferenze cinesi. Da quando, poche settimane fa, è stato lanciato l’allarme sull’incredibile e sistematico insabbiamento, da parte cinese, della pandemia, insabbiamento che ha provocato migliaia e migliaia di morti nonché danni in tutto il mondo, l’entusiastico sostegno mostrato dal governo italiano nei confronti della retorica cinese ha scelto un profilo più basso. Riusciranno questi ulteriori sviluppi a esercitare un effetto di lungo termine sulle politiche filocinesi dell’Italia?