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Lo «Uyghur Human Rights Act»: cade la maschera del PCC

19/06/2020Marco Respinti |

Firmato dal presidente Trump, difende chi nello Xinjiang è perseguitato per motivi etnici e religiosi, denunciando la politica razzista del regime cinese

di Marco Respinti

ingresso del campo per la trasformazione
Benvenuta “libertà”: l’ingresso del campo per la trasformazione attraverso l’educazione di Yining, nelle cui nove fabbriche sono costretti a lavorare gli internati, per la maggior parte uiguri

L’Uyghur Human Rights Policy Act of 2020 (in precedenza noto come Uyghur Human Rights Policy Act of 2019) è una pietra miliare del diritto, che difende i diritti degli uiguri e delle altre minoranze turcofone musulmane. Nella Regione autonoma uigura dello Xinjiang (RAUX), che gli uiguri preferiscono chiamare Turkestan orientale, il PCC perseguita infatti con durezza queste popolazioni per la loro identità etnica e per la fede religiosa che professano. Dal 17 giugno 2020, giorno in cui il presidente Donald J. Trump lo ha firmato, è legge degli Stati Uniti d’America.

Il disegno di legge era stato originariamente presentato al Senato degli Stati Uniti dal senatore Marco Rubio (del Partito Repubblicano, in rappresentanza della Florida), uno dei più energici sostenitori della libertà religiosa nella RAUX oltre che un critico deciso del PCC, che dal 2015 è stato presidente della US Congressional-Executive Commission on China  e di cui dal 2019 è co-presidente. Approvato all’unanimità dal Senato l’11 settembre 2019, il disegno di legge Rubio è stato ulteriormente rafforzato in una versione introdotta nella Camera dei deputati degli Stati Uniti passata il 3 dicembre con l’unico voto contrario del deputato Thomas Massie (del Partito Repubblicano, in rappresentanza del Kentucky). La versione rafforzata modificata è stata poi introdotta da Rubio al Senato, che l’ha approvata il 14 maggio 2020 di nuovo all’unanimità, per essere ultimamente approvata dalla Camera il 27 maggio, sempre con il solo voto contrario di Massie.

Quando Trump ha firmato la legge, si sono finalmente realizzate le speranze e le richieste di molti, soprattutto di Nury Turkel, noto esponente della diaspora uigura, recentemente nominato membro della Commissione degli Stati Uniti sulla libertà religiosa nel mondo[BS1]. Una delle maggiori organizzazioni della diaspora uigura, il World Uyghur Congress (WUC), che ha sede a Monaco, in Germania, ha espresso piena soddisfazione, e così hanno fatto l’Uyghur Human Rights Project e Campaign for Uyghurs.

La nuova legge invita il Segretario di Stato, e altre autorità, ad applicare sanzioni mirate nei confronti di chi si renda responsabile di violazioni della libertà religiosa, di torture e di altre crudeltà a danno dei cittadini turcofoni della RAUX ai sensi del “Global Magnitsky Act”. Contiene pure misure atte a contrastare il lavoro forzato e una disposizione che condanna specificamente la piaga dei cosiddetti campi per la trasformazione attraverso l’educazione. Come dichiara il WUC, «la politica degli Stati Uniti nei confronti della Repubblica popolare cinese è esplicitamente collegata alla situazione nel Turkestan orientale» laddove pone «i diritti umani e la crisi uigura al primo posto del confronto fra gli Stati Uniti e il governo cinese».

“Religione etnica” e razzismo

L’Uyghur Human Rights Policy Act of 2020 ha portata ampia ed è preciso nelle intenzioni, come rivela il suo titolo integrale: «Legge di condanna delle gravi violazioni dei diritti umani perpetrate a danno dei musulmani turcofoni dello Xinjiang per chiedere la fine delle carcerazioni arbitrarie, della tortura e delle molestie nei confronti di queste comunità dentro e fuori la Cina».

Difende infatti non solo gli uiguri, che sono la maggioranza degli abitanti della RAUX, ma anche tutti gli altri cittadini turcofoni della regione, affermando e allo stesso tempo sottolineando la questione “regionale” chiave.

La premessa è che la religione costituisce sempre una parte essenziale della cultura di un popolo, contribuendo a identificarlo come gruppo umano particolare. Ciò non significa però che la religione sia semplicemente un elemento etnico, ma il contrario. Le etnie sono la differenziazione del genere umano in gruppi diversi. Esistono differenze fisiche tra i gruppi umani, ma sono elementi accidentali dell’unica natura umana biologica e spirituale, alla quale appartengono tutte le persone e tutte le etnie. La cultura aiuta quindi a farci un’idea corretta di cosa sia un gruppo etnico. Di fatto è la cultura, e la religione al cuore di essa, l’elemento chiave per identificare un gruppo “etnico”.

Ebbene il PCC perseguita gli uiguri e le altre minoranze turcofone perché li percepisce come gruppi (principalmente) musulmani, ma la persecuzione prende di mira anche i non musulmani e i non credenti. Dal punto di vista di un partito ateo come il PCC, «musulmano» è cioè solo un’etichetta culturale ed etnica. Nei Balcani, per esempio, «musulmani» è talvolta usato nello stesso modo errato come sinonimo di «bosniaci».

Il PCC perseguita insomma le popolazioni turcofone della RAUX a causa sia della loro identità etnica sia della religione che professano, elementi tra cui appunto il Partito non fa differenze. Di fatto però questo è razzismo bello e buono. La condanna delle «violazioni dei diritti umani perpetrate a danno dei musulmani turcofoni dello Xinjiang» sancita dallo Uyghur Human Rights Policy Act of 2020 non è quindi una dichiarazione generica, ma rivela una comprensione puntuale del problema fondamentale. Quello che il PCC pratica è dunque solo razzismo camuffato. In questo momento storico in cui la sensibilità su questo tema è alta, la cosa dovrebbe provocare l’indignazione profonda di governi, istituzioni internazionali, società civili, ONG e gente nelle strade del mondo.

Come i nazisti

Al contempo, condannando le «violazioni dei diritti umani perpetrate a danno dei musulmani turcofoni dello Xinjiang», l’Uyghur Human Rights Policy Act of 2020 confuta e rintuzza l’idea del PCC secondo cui l’arresto e la carcerazione illegale di 3 milioni di uiguri, più migliaia di altri cittadini turcofoni (secondo le ricerche indipendenti più aggiornate), in almeno 1.200 campi nella RUAX (secondo il documentario China Undercover del regista britannico Robin Barnwell), servirebbe a preservare l’ordine sociale contro “facinorosi”, “separatisti” e “terroristi”. Il PCC si comporta come se tutti gli abitanti della RUAX, con la possibile eccezione dei membri del PCC stesso, siano “facinorosi”, “separatisti” e “terroristi”. Ma come è possibile farlo includendo bambini, donne e anziani? La risposta è che non lo è. Bollare un’intera popolazione come «terrorista» è solo il modo per disumanizzarla. La stessa retorica fu usata dai nazisti negli anni 1930 e 1940 per cercare di portare gli ebrei all’estinzione fisica. Ovviamente non tutti i tedeschi sono stati responsabili delle atrocità naziste, e proprio questo la legge statunitense afferma, distinguendo con attenzione fra il popolo cinese e i leader del PCC responsabili della repressione nello Xinjiang.

Questa nuova legge è davvero una nota più che positiva. Ma i problemi dei diritti umani e della libertà religiosa in Cina non si limitano allo Xinjiang o agli uiguri. Ci vorrebbe allora un’altra legge dello stesso tenore che si occupasse dell’oppressione di cui il PCC fa oggetto altre religioni e altre minoranze etniche.

Contrassegnato con: Musulmani Uiguri

Marco Respinti
Marco Respinti

Marco Respinti è il direttore di International Family News. Italiano, è giornalista professionista, membro dell’International Federation of Journalists (IFJ), saggista, traduttore e conferenziere. Ha collaborato e collabora con diversi quotidiani e periodici, sia in versione cartacea sia online, in Italia e all’estero. Autore di libri, ha tradotto e/o curato opere di, fra gli altri, Edmund Burke, Charles Dickens, T.S. Eliot, Russell Kirk, J.R.R. Tolkien, Régine Pernoud e Gustave Thibon. Senior Fellow al Russell Kirk Center for Cultural Renewal, un’organizzazione educativa statunitense apartitica e senza fini di lucro che ha sede a Mecosta, nel Michigan, è anche socio fondatore e membro del Consiglio Direttivo del Center for European Renewal, un’organizzazione educativa paneuropea apartitica e senza fini di lucro che sede a L’Aia, nei Paesi Bassi, nonché membro del Consiglio Consultivo della European Federation for Freedom of Belief. È direttore responsabile del periodico accademico The Journal of CESNUR e di Bitter Winter: A Magazine on Religious Liberty and Human Rights in China.

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