Per andare a trovare un familiare o uscire dalla regione è necessaria un’autorizzazione del governo. Chi si trattiene di più, può essere punito
di Chang Xin
La Regione autonoma uigura dello Xinjiang costituisce uno dei migliori esempi di come il regime totalitario del PCC monitora e controlla la propria popolazione in ogni aspetto della vita. Oltre alla onnipresente sorveglianza, il controllo su ciò che le persone dicono, fanno o indossano, è totale e inoltre vengono imposti assurdi e restrittivi requisiti anche nelle abitazioni e nei luoghi di lavoro. Come per esempio la registrazione e la codifica degli utensili di lavoro che devono anche essere incatenati o l’obbligo di indossare attrezzature antisommossa. I residenti nello Xinjiang devono anche sottostare a ulteriori vincoli quando si spostano o qualcuno fa loro visita.
Comunicazioni obbligatorie quando si entra o si esce dallo Xinjiang
Alla fine dell’anno scorso, ciascun abitante di una delle comunità residenziali della città di Urumqi ha ricevuto un avviso sul telefono cellulare con cui si ordinava di registrare all’ufficio della comunità tutti gli ospiti provenienti da fuori città. Chi intende visitare amici e parenti o andare a lavorare fuori città, deve ottenere un’autorizzazione scritta dell’ufficio della comunità e dovrà portare con sé tale documento durante tutto il viaggio.
Queste restrizioni imposte ai residenti nello Xinjiang non sono però un caso isolato. Una donna di Shihezi, una città nel nord dello Xinjiang, ha riferito a Bitter Winter che un giorno, in dicembre, aveva appena finito di cenare a casa di suo fratello minore, quando lui l’ha invitata ad andarsene subito perché i funzionari della comunità stavano verificando le registrazioni. Il fratello le ha spiegato nervosamente che, anche se aveva con sé i propri documenti d’identità, la sua visita avrebbe comunque causato problemi a entrambi.
Il fratello della donna aveva aggiunto: «Ora le ispezioni sono molto rigorose, i funzionari della comunità chiedono ai residenti di andare al comitato del villaggio per registrarsi in anticipo se devono ospitare qualcuno a casa loro». Ha raccontato di quando un amico di famiglia era venuto in visita e si era trattenuto un giorno in più dei cinque giorni indicati nella richiesta e ha ricordato: «Quando il comitato del villaggio l’ha scoperto, gli ha ordinato di andarsene immediatamente o di chiedere un nuovo permesso».
Non volendo causare problemi al fratello, la donna se n’è andata immediatamente, ma non appena varcata la soglia, ha incontrato tre funzionari che hanno chiesto di entrare in casa per «dare un’occhiata».
Una donna di Karamay, una prefettura nel nord dello Xinjiang, era infuriata dopo un’analoga esperienza. Un parente che era venuto a farle visita aveva dovuto ripartire in fretta dopo solo due ore. La sua frettolosa partenza era dovuta al nuovo sistema di accesso alla comunità residenziale gestito tramite badge e guardie di sicurezza. Prima di accedere ogni persona deve registrare le proprie generalità e i visitatori che si trattengono per più di due ore possono essere interrogati dal personale della comunità.
Tornare a casa è come visitare un carcere
Liu attualmente vive nella provincia nordorientale del Liaoning, ma la donna è originaria dello Xinjiang dove è tuttora è registrata. All’inizio di quest’anno, lei e il marito si sono recati nello Xinjiang per visitare i propri familiari. Appena arrivata a Urumqi, la polizia l’ha interrogata sulle sue convinzioni religiose e le ha chiesto di fornire i nomi dei suoi superiori sul lavoro e dei funzionari della sua comunità residenziale, il numero di telefono del comandante della stazione di polizia nell’area in cui risiede nel Liaoning e informazioni simili. La polizia ha anche utilizzato attrezzature speciali per verificare la presenza di contenuti “sensibili” nel suo telefono cellulare. Gli accertamenti si sono protratti per circa 20 minuti.
Nella località in cui vivono i suoi genitori, alla donna è stato richiesto di fornire maggiori informazioni alla stazione di polizia e al comitato del villaggio, comprese le sue generalità, il motivo della visita ai parenti e la durata della sua permanenza. Le è stato ordinato di andarsene nel termine preventivamente comunicato alle autorità. Gli agenti di polizia le hanno detto: «Se lei parte qualche ora prima va bene, ma è inaccettabile che lei superi il tempo di permanenza dichiarato».
La donna ritiene che queste complesse procedure di registrazione siano eccessive. «Perché dovrei essere sorvegliata se sto tornando a casa dei miei genitori?». La donna era arrabbiata, secondo lei le misure restrittive nello Xinjiang somigliano e forse sono anche peggiori di quelle introdotte dopo la fondazione della Repubblica popolare cinese nel 1949 o durante la Rivoluzione Culturale. A proposito delle conversazioni avute in famiglia nello Xinjiang la donna ha aggiunto: «Mia sorella minore mi ha avvertito di non dire queste cose a nessun altro, solo ai familiari, altrimenti il governo probabilmente penserà che mi sto ribellando».